http://www.avvocato-penalista-cirolla.blogspot.com/google4dd38cced8fb75ed.html Avvocato penalista ...: 2006

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venerdì 5 maggio 2006

Avvocato penalista - Il processo per mafia (art. 416 bis c.p.) a carico di Giulio Andreotti.

Avvocato penalista - Il processo per mafia (art. 416 bis c.p.) a carico di Giulio Andreotti.
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Avvocato penalista - Il processo per mafia (art. 416 bis c.p.) a carico di Giulio Andreotti.
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""" Il lato oscuro di Andreotti: le sue colpe certe, i processi, le sentenze.

Quella di Giulio Andreotti è stata, sì, una vita costellata di incarichi prestigiosi.

Ma come ogni storia di vicende umane, il lato oscuro non è mancato.

Al netto delle supposizioni, delle dietrologie, delle dicerie che tra corridoi e redazioni sono filtrate a volte incontrollate, il nome del Divo, oltre a una serie pressoché infinita di personalità spesso finite alla sbarra, è stato associato alla responsabilità certa di alcuni crimini nel corso della sua pluridecennale esperienza in politica.

Vediamo, dunque, i processi che hanno portato alla condanna, o quantomeno alla prescrizione, dell’imputato illustre Giulio Andreotti, assieme a qualche frequentazione poco nobile comprovata nelle ricostruzioni storiche e dibattimentali.
 
Innanzitutto, naturalmente, l’odissea giudiziaria del processo per mafia.

Come è noto, Andreotti evitò il carcere anche dopo la concessione dell’autorizzazione a procedere arrivata dal Senato nel 1993, grazie all’intercorrere della prescrizione, scattata il 21 dicembre 2002.

La sentenza della Corte di Cassazione infatti venne pronunciata quasi due anni dopo il via all’estinzione del reato, il 15 ottobre 2004.

L’impianto accusatorio, che vedeva Andreotti come referente delle cosche mafiose nelle istituzioni, venne confermato fino alla primavera del 1980, data entro la quale Andreotti sarebbe stato riconosciuto colpevole per associazione (a delinquere, n.d.r.) semplice, visto che l’aggravante mafiosa (il delitto di associazione di stampo mafioso, di cui all'art. 416 bis del codice penale, n.d.r.) venne inclusa (incluso, n.d.r.) nel codice penale soltanto a partire dal 1982.

Nel 1985, però, stando alle ricostruzioni del sovrintendente capo Francesco Stramandino, già responsabile della sicurezza di Andreotti alla Farnesina, si sarebbe tenuto un incontro tra Andreotti e il capo mafioso Andrea Manciaracina (vicino a Totò Riina), circostanza confermata dall’imputato che, però, giustificò il faccia a faccia come un confronto sulla legislazione della pesca.

Dunque, dopo un’assoluzione in primo grado e una sentenza in cui veniva riconosciuto all’imputato di aver commesso il reato di associazione per delinquere, a scombinare i piani dell’accusa intervenne la prescrizione.

Nella sentenza, si parla di “un’autentica, stabile ed amichevole disponibilità dell’imputato verso i "mafiosi".

Sugli incontri provati anche a seguito del 1980 tra Andreotti e uomini affiliati a Cosa nostra, la Corte ravvisò la totale assenza di prove per poter ricostruire i contenuti dei dialoghi intercorsi.
 
Così, la sentenza definitiva conferma che “la Corte palermitana non si è limitata ad affermare la generica e astratta disponibilità di Andreotti nei confronti di Cosa Nostra e di alcuni dei suoi vertici, ma ne ha sottolineato i rapporti con i suoi referenti siciliani (del resto in armonia con quanto ritenuto dal Tribunale), individuati in Salvo Lima, nei cugini Salvo e, sia pure con maggiori limitazioni temporali, in Vito Ciancimino, per poi ritenere (in ciò distaccandosi dal primo giudice) l’imputato compartecipe dei rapporti da costoro, sicuramente intrattenuti con Cosa Nostra, rapporti che, nel convincimento della Corte territoriale, sarebbero stati dall’imputato coltivati anche personalmente (con Badalamenti e, soprattutto, con Bontade) e che sarebbero stati per lui forieri di qualche vantaggio elettorale”. """

Fonte Leggi Oggi.it.

http://www.leggioggi.it/2013/05/06/il-lato-oscuro-di-andreotti-le-sue-colpe-certe-processi-le-sentenze/

Leggete il testo integrale della sentenza cliccando sul link che qui segue:

http://www.leggioggi.it/wp-content/uploads/2013/05/Sentenza-Cassazione-Andreotti-2004-1.pdf
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Avvocato penalista - Il processo per mafia (art. 416 bis c.p.)  a carico di Giulio Andreotti.
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martedì 25 aprile 2006

Avvocato penalista - Errori giudiziari: il caso Domenico Morrone da Taranto.

Avvocato penalista - Errori giudiziari: il caso Domenico Morrone da Taranto.
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Avvocato penalista - Errori giudiziari: il caso Domenico Morrone da Taranto.
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Domenico Morrone, un uomo di Taranto di 42 anni, venne condannato a 21 anni di reclusione per il duplice omicidio di due studenti del luogo, avvenuto il 30 gennaio 1991, davanti alla scuola media “D’Aquino” nel quartiere Tamburi, alla periferia di Taranto.
 
Le due vittime,  Antonio Sebastio, di 15 anni, e Giovanni Battista, di 17,  furono sorprese da un sicario che sparò ripetutamente contro di loro con una pistola calibro 22.
 
In base agli indizi raccolti da Polizia e Carabinieri, coordinati dalla Procura presso il Tribunale di Taranto, Morrone, poche ore dopo i fatti, fu sottoposto a fermo per duplice omicidio, detenzione, porto illegale di arma da fuoco e di munizioni, nonché per spari in luogo pubblico.

Sia dopo il fermo, sia durante i processi a suo carico, l’imputato ha sempre negato ogni addebito.

In base alla ricostruzione accusatoria, movente del duplice omicidio sarebbe stata la vendetta per un litigio con Giovanni Battista, avvenuto per futili motivi una ventina di giorni prima del duplice omicidio.

A seguito del litigio, il Morrone era stato gambizzato e, poco tempo più tardi, secondo una testimonianza, avrebbe minacciato di morte i due ragazzi, ritenendoli legati alla criminalità e responsabili del suo ferimento.
 
Secondo i primi giudici Morrone avrebbe ucciso per vendetta. Dopo un litigio con i ragazzi, l'allora ventisettenne fu ferito alle gambe. E per vendicarsi del litigio e del ferimento li avrebbe ammazzati.

Ma ad uccidere i due ragazzi era stata un'altra persona.
 
Dopo aver scontato 16 anni per la condanna definitiva a 21 anni di reclusione, è stato assolto dalla Corte di Appello di Lecce, che lo ha prosciolto dall'accusa, al termine del processo di revisione.

"Prima di entrare in udienza mi facevo il segno della croce e mi ripetevo: "Questa volta capiranno che sono innocente". L'ho fatto per 16 anni. Ma ogni volta, anche se le prove erano a mio favore, i giudici del Tribunale di Taranto le ignoravano. Non si schiodavano dalla loro teoria a senso unico: ero io l'assassino, il colpevole. Alla fine continuavo a farmi il segno della croce, ma non credevo più di riuscire a dimostrare la mia innocenza", ha riferito Domenico Morrone in una sua intervista.
 
Oggi Domenico Morrone ha 42 anni. Un terzo della sua vita l'ha spesa dietro le sbarre, ingiustamente.
 
Non era vero che fosse stato lui l'assassino dei due ragazzi. E la verità è venuta fuori, grazie alle confessioni di due pentiti che hanno aperto le porte alla revisione del processo, in conclusione del quale la Corte d'Appello di Lecce l'ha assolto con formula piena, ossia "Per non aver commesso il fatto".
 
Ovviamente ed a seguito di ciò, si sono aperte anche le porte per l'azione civile di risarcimento del danno contro lo Stato per errore giudiziario.
 
"Venerdì, per l'ultima volta, sono stato contento di dormire in carcere con i miei amici, detenuti e poliziotti, uomini che hanno capito la mia storia e mi hanno aiutato ad avere coraggio. Volevo festeggiare con loro.
 
Avremmo voluto brindare a champagne, ma non è possibile portare alcolici in cella, così abbiamo brindato con il pensiero e con gli sguardi", ha soggiunto Domenico Morrone nella sua intervista.
    
"Da ragazzo non ho mai preso nemmeno una multa. Il mio sogno era aprire una pescheria".
 
"La verità era sotto gli occhi di tutti - ripete - ma nessuno la voleva vedere. Oggi sono libero e sono felice. Però non è una felicità piena. Continuo a chiedermi perché nessuno mi ha mai creduto? Era tanto difficile ammettere di aver sbagliato? Mi hanno umiliato. Perché?", conclude Morrone nella sua intervista.
 
Per due volte la Cassazione ha rinviato il processo alla Corte di Assise d'Appello, perché Morrone aveva un alibi credibile, ma i giudici pugliesi hanno sempre confermato la sua condanna.

E' riuscito ad ottenere la revisione del processo grazie alle rivelazioni di due pentiti della locale criminalità organizzata, i quali hanno rivelato che ad uccidere i ragazzi era stato un uomo del loro clan, tale Antonio Boccuni, per vendicare lo scippo che la madre aveva subito la mattina del delitto, il quale è già in carcere, poiché condannato all'ergastolo per altri delitti.
 
Oggi Domenico Morrone fa l'operatore ecologico, in quanto tre anni prima della sua assoluzione definitiva ha ottenuto la semilibertà e da allora si prende cura della madre ammalata.
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Avvocato penalista - Errori giudiziari: il caso Domenico Morrone da Taranto.
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lunedì 24 aprile 2006

Avvocato penalista - Errori giudiziari: il caso dell'omicidio del tenente colonnello dei Carabinieri, Giuseppe Russo, e del suo intimo amico, Prof. Filippo Costa.

Avvocato penalista - Errori giudiziari: il caso dell'omicidio del tenente colonnello dei Carabinieri, Giuseppe Russo, e del suo intimo amico, Prof. Filippo Costa.  
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Avvocato penalista - Errori giudiziari: il caso dell'omicidio del tenente colonnello dei Carabinieri, Giuseppe Russo, e del suo intimo amico, Prof. Filippo Costa. 
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""" In Sicilia - è stato scritto da qualcuno - oltre a quello dei Santi, c’è anche un altro calendario. Quello che ricorda le vite spezzate dei tanti Eroi che hanno deciso di sacrificare la propria vita per sconfiggere Cosa Nostra. È un calendario triste, che mette rabbia ma che dà anche tanto orgoglio, perché i nostri Martiri condividono coi Santi una qualità: essere esempio. """
 
La sera del 20 agosto 1977, il tenente colonnello dei Carabinieri, Giuseppe Russo, che al tempo aveva 47 anni, aveva deciso di farsi una passeggiata insieme all’insegnante e suo intimo amico Filippo Costa, che di anni ne aveva 57.

Improvvisamente, vennero avvicinati da tre killer che li ammazzarono senza possibilità di scampo.

Tra i killer c’era anche tale Leoluca Bagarella, il cognato di Totò Riina - in quanto fratello della moglie di quest'ultimo - noto autore di alcuni degli omicidi di mafia più efferati, tra cui la morte del piccolo Giuseppe Di Matteo, l’assassinio di Boris Giuliano, la strage di Capaci, ecc.
 
Il tenente colonnello dei Carabinieri Giuseppe Russo, che, al momento del fatto, era in congedo da alcuni mesi, venne ucciso perché "scomodo", in quanto, essendo stato comandante del Nucleo investigativo dei Carabinieri di Palermo, conosceva approfonditamente la mafia ed i suoi capi e perché le sue inchieste avevano portato nella patrie galere molti boss e loro gregari.
 
Del duplice ed efferato omicidio, fino al 1994, furono incolpati tre poveri pastori siciliani, i quali sono rimasti in carcere, ingiustamente, per ben 16 anni.

Successivamente, le dichiarazioni di alcuni pentiti, tra cui e soprattutto quella di Gaspare Mutolo,  svelarono la verità "vera".

Gaspare Mutolo, infatti, in una delle sue tante dichiarazioni da pentito, disse anche dei veri mandanti ed esecutori del duplice omicidio del tenente colonnello dei Carabinieri, Giuseppe Russo, e del suo intimo amico, Prof. Filippo Costa, affermando quanto qui segue:

"Per l’omicidio Russo e Costa ci sono persone che stanno pagando con la condanna all’ergastolo, ma che sono completamente innocenti e fanno pena soltanto a guardarle".

Sembrava una serata d’estate come tante altre, quella del 20 agosto 1977 a Ficuzza, a due passi da Corleone.
 
Erano circa le 21.30, quando il colonnello dei carabinieri Giuseppe Russo decise di uscire per fare due passi, dopo aver cenato con la moglie nella piccola casetta al primo piano che dava sulla piazza.
 
Insieme all’amico professore Filippo Costa cominciarono a passeggiare diretti verso il bar.
 
Russo era in maglietta e pantaloncini.
 
Al bar entrò soltanto lui, per fare una telefonata – scrisse Mario Francese sul Giornale di Sicilia del 21 agosto 1997, ricostruendone gli ultimi minuti di vita – Costa invece attese fuori.

Un minuto dopo i due amici riprendevano la loro passeggiata.
 
Nello stesso momento vi fu chi si accorse di una "Fiat 128", di colore verde, che procedeva lentamente per il viale principale, evidentemente controllando i movimenti di Russo e Costa.

L’auto continuò la sua marcia fino alla parte alta della piazza, effettuò una inversione ad ’U’ e si fermò proprio davanti all’abitazione del tenente colonnello Russo.

I due amici erano vicini alla macchina degli assassini, ma non se ne resero conto, perché non potevano rendersene conto.
 
La sera del vile agguato, a Ficuzza, il gruppo di fuoco era composto da Pino Greco, detto "Scarpuzzedda", da Vincenzo Puccio ed era capeggiato personalmente da Leoluca Bagarella, su mandato del cognato, Totò Riina, e dell’altro boss corleonese Bernardo Provenzano.

Per il duplice omicidio di Ficuzza, in un primo momento, furono "erroneamente" condannati tre pastori del luogo, Salvatore Bonello, Rosario Mulè e Casimiro Russo, che si era autoaccusato e aveva chiamato in correità gli altri due.
 
I due amici, Russo e Costa, ad un certo punto si fermarono e Russo tirò fuori una sigaretta ed una scatola di fiammiferi Minerva, ma non ebbe il tempo di accendere e fumarsi la sua ultima sigaretta.

Alle 22,15, dalla Fiat 128 scesero tre o quattro uomini, a viso scoperto, i quali, lentamente, per non destare sospetti, si incamminarono verso i due.

Appena furono vicini ai due amici, aprirono il fuoco con le loro pistole calibro 38 e spararono tutti in direzione del tenente colonnello Russo, tranne uno, armato di fucile, che aveva avuto il compito di uccidere anche il Professor Costa.
 
Gli assassini erano sicuramente molto tesi nel momento i cui compivano il loro crimine.

Poiché uno di loro, lanciandosi contro il tenente colonnello Russo, per finirlo, gli cadde addosso.

Si rialzò immediatamente e, come in preda ad un raptus, imbracciò il fucile e sparò alla testa, prima al tenente colonnello Russo, e poi al Professor Costa, col metodo classico del colpo di grazia.

L'assassino voleva essere certo che l’esecuzione fosse completata, come dagli ordini ricevuti.

Nell'allontanarsi dal luogo del duplice misfatto, uno degli assassini perse i propri occhiali, che furono ritrovati sotto il corpo senza vita del tenente colonnello Giuseppe Russo.
 
Dopo i primi riscontri, ci si convinse quasi da subito che si trattava di un duplice delitto di mafia, che era stato preparato fin nei più minimi dettagli da almeno da 26 giorni.

La Fiat 128, usata per l'agguato e trovata abbandonata a tre chilometri da Ficuzza, infatti, era stata rubata a Palermo il 25 luglio, ossia 26 giorni prima dell'esecuzione del delitto.

Il 29 ottobre 1997, cioè vent’anni dopo, la II sezione della Corte di Assise di Appello di Palermo ha condannato definitivamente all’ergastolo Leonluca Bagarella, Totò Riina e Bernardo Provenzano per il duplice omicidio commesso a Ficuzza la sera del 20 agosto 1976.
 
Ma perché i killer della mafia hanno deciso di uccidere anche il Prof. Costa?

Forse perché temevano che Russo gli avesse parlato del grande affare della "diga di Garcia".

Ed anche se il tenente colonnello  Russo non avesse mai rivelato nulla al suo amico, Prof. Costa, chi avrebbe mai potuto convincere i loro assassini del contrario... ?
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Avvocato penalista - Errori giudiziari: il caso dell'omicidio del tenente colonnello dei Carabinieri, Giuseppe Russo, e del suo intimo amico, Prof. Filippo Costa. 
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mercoledì 8 marzo 2006

Avvocato penalista - Omicidio preterintenzionale.

Avvocato penalista - Omicidio preterintenzionale.

In caso di omicidio preterintenzionale, non occorre nè il dolo misto a colpa, nè il dolo misto a responsabilità oggettiva; ma basta il dolo del delitto meno grave.
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Avvocato penalista - Omicidio preterintenzionale.
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""" Omicidio preterintenzionale: nè dolo misto a colpa nè dolo misto a responsabilità oggettiva.
Basta il dolo del delitto meno grave.

Corte di Cassazione, Sezione V Penale, Sentenza 8 marzo 2006 (dep. 14 aprile 2006), n. 13673/2006 (469/2006)

1 - La Corte di Assise di Appello di Milano ha confermato la condanna inflitta ad H.A.A. dal GUP di Milano, con generiche e diminuente di rito, ad anni 4 e mesi 6 di reclusione, ai sensi  dell'art. 584 cp, per avere cagionato il 4.5.99 la morte di E.D. per tromboembolia polmonare massiva da frattura pelvica (sx), colpendola ripetutamente con schiaffi e calci in data 28.4.99.

La sentenza ricostruisce che il 28 aprile, secondo le testimonianze acquisite, l'imputata, vista la E. seduta per via su una panchina con tre amiche, si avvicinava sorridendo e, datole improvvisamente uno schiaffo, l'afferrava per i capelli e la strattonava piu' volte. Nel "parapiglia" seguito, per l'intervento delle altre donne, l'offesa cadeva in terra e la H. continuava a colpirla a calci, tra l'altro uno alla parte destra dell'inguine.
 
Il movente di questo suo comportamento era dovuto all'insulto, che sosteneva di aver subito dall'E., per non aver  provveduto a restituirle la somma prestatale di L. 220.000.

Alla E., trasportata in ospedale, veniva riscontrato tra l'altro il trauma di cui imputazione, che le immobilizzava l'arto inferiore sinistro.

Dimessa, con prognosi di gg. 30-35, era trovata morta in casa 6 giorni dopo. """
 
(Leggete il testo integrale della sentenza cliccando sul link che segue):

http://www.penale.it/page.asp?mode=1&IDPag=295

Fonte Penale.it .
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Avvocato penalista - Omicidio preterintenzionale.
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domenica 5 marzo 2006

Avvocato penalista - Voto di scambio (com'è noto ai più) o Scambio elettorale politico-mafioso è il delitto previsto e punito dall'articolo 416-ter del Codice penale.

Avvocato penalista - Voto di scambio (com'è noto ai più) o Scambio elettorale politico-mafioso è il delitto previsto e punito dall'articolo 416-ter del Codice penale.
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L'articolo 416-ter del Codice penale, intitolato allo Scambio elettorale politico-mafioso, prevede che:

La pena stabilita dal primo comma dell'art. 416-bis si applica anche a chi ottiene la promessa di voti prevista dal terzo comma del medesimo articolo 416-bis in cambio della erogazione di denaro.
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Avvocato penalista - Voto di scambio (com'è noto ai più) o Scambio elettorale politico-mafioso è il delitto previsto e punito dall'articolo 416-ter del Codice penale.
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Il reato di Scambio elettorale politico-mafioso, introdotto dal D.L. n°. 306 del 1992, convertito con modificazioni dalla legge n°. 356 del 7 agosto 1992, allo scopo di contrastare i legami politico-mafiosi, è strettamente connesso con la fattispecie prevista dall'art. 416-bis del Codice Penale e prevede la medesima pena di cui al primo comma dell'art. 416-bis per chi ottiene la promessa dei voti dalla criminalità organizzata (il procacciamento di voti per sé o per altri o l'ostacolo al libero esercizio del diritto od alla libertà di voto rientra tra i programmi dell'associazione mafiosa) in cambio della erogazione di denaro.
 
Indubbiamente, è una norma che ha dei grossolani limiti in punto di compiuta configurazione dei suoi elementi costitutivi e le fondate critiche nei suoi confronti non sono mancate, ma, anzi, sono state numerosissime, poiché essa configura la realizzazione del delitto solo se c'è lo scambio promessa-denaro tra l'associazione criminale ed il politico, laddove, in cambio dell'aiuto elettorale, l'organizzazione criminale potrebbe ottenere innumerevoli e distinti altri utili illeciti.

Alla luce di quanto precede, il suo ambito di efficace operatività risulta molto scarso e limitato.

Per una disamina di questa specifica figura criminosa del nostro Codice Penale, vedete qui:

http://www.treccani.it/enciclopedia/scambio-elettorale-politico-mafioso_(Diritto-on-line)/

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Avvocato penalista - Voto di scambio (com'è noto ai più) o Scambio elettorale politico-mafioso è il delitto previsto e punito dall'articolo 416-ter del Codice penale.
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sabato 4 marzo 2006

Avvocato penalista - Il concorso esterno in associazione mafiosa o associazione di tipo mafioso.

Avvocato penalista - Il concorso esterno in associazione mafiosa o associazione di tipo mafioso.
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Avvocato penalista - Il concorso esterno in associazione mafiosa o associazione di tipo mafioso.
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Il reato di concorso esterno in associazione mafiosa o associazione di tipo mafioso non è previsto da alcuna norma di natura penale del nostro ordinamento giuridico, ma è un delitto di evidente elaborazione giurisprudenziale e, come tale, privo di supporto normativo ed incostituzionale.

Con le espressioni concorso esterno in associazione di tipo mafioso o concorso esterno in associazione mafiosa si è inteso indicare una forma di compartecipazione del reato di Associazione di tipo mafioso, previsto e punito dall'art. 416 bis del codice penale italiano.
 
Il concorso esterno si realizzerebbe con l'apporto di un contributo effettivo al perseguimento degli scopi illeciti di un'associazione di tipo mafioso, pur senza però prender parte al sodalizio mafioso.

A parte l'ovvia considerazione giuridica che non compete ai giudici la funzione normativa - che è, invece, di competenza del legislatore per espressa disposizione costituzionale - ma solo la funzione giurisdizionale e, cioè, quella di applicare le leggi (auspicabilmente bene e con senso di giustizia), vi è soltanto da rilevare che il quadro normativo che qui di seguito viene evidenziato, già preesistente rispetto alle elucubrazioni giurisprudenziali in tema di creazione di "nuove figure di reato", fornisce tutti gli strumenti per poter perseguire efficacemente chiunque concorra nel reato di associazione di tipo mafioso o di associazione mafiosa, mi chiedo: che bisogno c'era di creare e di usare una nuova "figura criminosa", pur senza averne alcun titolo o diritto?

Se l'Articolo 110 del Codice Penale stabilisce che, quando una o più  persone concorrono nel medesimo reato, ciascuna di esse soggiace alla pena per questo stabilita, a cosa serve una nuova ed illegittima "figura criminosa", che si distingue da ciò che già c'è solo per la sua illegittimità, per la sua incostituzionalità e per la sua aggettivazione di "esterno"...
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L'Art. 25 della Costituzione, prevede che:
 
Nessuno può essere distolto dal giudice naturale precostituito per legge.
 
Nessuno può essere punito se non in forza di una legge che sia entrata in vigore prima del fatto commesso.
 
Nessuno può essere sottoposto a misure di sicurezza se non nei casi previsti dalla legge.

L' Articolo 1 del Codice Penale, intitolato ai Reati e pene: disposizione espressa di legge, dice che:
 
Nessuno può essere punito per un fatto che non sia espressamente preveduto come reato dalla legge, né con pene che non siano da essa stabilite.

L'Articolo 2 del Codice Penale, intitolato alla Successione di leggi penali, stabilisce che:
 
Nessuno può essere punito per un fatto che, secondo la legge del tempo in cui fu commesso, non costituiva reato (art. 25 Cost.). Nessuno può essere punito per un fatto che, secondo una legge posteriore, non costituisce reato; e, se vi è stata condanna, ne cessano l'esecuzione e gli effetti penali. Se vi è stata condanna a pena detentiva e la legge posteriore prevede esclusivamente la pena pecuniaria, la pena detentiva inflitta si converte immediatamente nella corrispondente pena pecuniaria, ai sensi dell'articolo 135. Se la legge del tempo in cui fu commesso il reato e le posteriori sono diverse, si applica quella le cui disposizioni sono più favorevoli al reo, salvo che sia stata pronunciata sentenza irrevocabile ( art. 648 c.p.p.). Se si tratta di leggi eccezionali o temporanee, non si applicano le disposizioni dei capoversi precedenti. Le disposizioni di questo articolo si applicano altresì nei casi di decadenza e di mancata ratifica di un decreto-legge e nel caso di un decreto-legge convertito in legge con emendamenti.
 
L'Articolo 110 del Codice Penale, intitolato alla Pena per coloro che concorrono nel reato, prevede che:
 
Quando più persone concorrono nel medesimo reato, ciascuna di esse soggiace alla pena per questo stabilita, salve le disposizioni degli articoli seguenti.
 
L'Articolo 416 bis, intitolato alle Associazioni di tipo mafioso anche straniere, stabilisce che:
 
Chiunque fa parte di un'associazione di tipo mafioso formata da tre o più persone, è punito con la reclusione da sette a dodici anni.
 
Coloro che promuovono, dirigono o organizzano l'associazione sono puniti, per ciò solo, con la reclusione da nove a quattordici anni.
 
L'associazione è di tipo mafioso quando coloro che ne fanno parte si avvalgono della forza di intimidazione del vincolo associativo e della condizione di assoggettamento e di omerta` che ne deriva per commettere delitti, per acquisire in modo diretto o indiretto la gestione o comunque il controllo di attività economiche, di concessioni, di autorizzazioni, appalti e servizi pubblici o per realizzare profitti o vantaggi ingiusti per sé o per altri ovvero al fine di impedire od ostacolare il libero esercizio del voto o di procurare voti a sé o ad altri in occasione di consultazioni elettorali.
 
Se l'associazione è armata si applica la pena della reclusione da nove a quindici anni nei casi previsti dal primo comma e da dodici a ventiquattro anni nei casi previsti dal secondo comma.
 
L'associazione si considera armata quando i partecipanti hanno la disponibilità, per il conseguimento della finalità dell'associazione, di armi o materie esplodenti, anche se occultate o tenute in luogo di deposito.
 
Se le attività economiche di cui gli associati intendono assumere o mantenere il controllo sono finanziate in tutto o in parte con il prezzo, il prodotto, o il profitto di delitti, le pene stabilite nei commi precedenti sono aumentate da un terzo alla metà.
 
Nei confronti del condannato è sempre obbligatoria la confisca delle cose che servirono e furono destinate a commettere il reato e delle cose che ne sono il prezzo, il prodotto, il profitto o che ne costituiscono l'impiego.

(Decadono inoltre di diritto le licenze di polizia, di commercio, di commissionario astatore presso i mercati annonari all'ingrosso, le concessioni di acque pubbliche e i diritti ad esse inerenti nonché le iscrizioni agli albi di appaltatori di opere o di forniture pubbliche di cui il condannato fosse titolare).
 
Le disposizioni del presente articolo si applicano anche alla camorra, alla 'ndrangheta e alle altre associazioni, comunque localmente denominate, anche straniere, che valendosi della forza intimidatrice del vincolo associativo perseguono scopi corrispondenti a quelli delle associazioni di tipo mafioso.
 
Per una breve, ma esaustiva ed essenziale analisi della nuova "figura criminosa" e del suo itinerario evolutivo, vedere qui:

http://www.treccani.it/enciclopedia/il-concorso-esterno-nei-reati-associativi_(Il-Libro-dell'anno-del-Diritto)/
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Avvocato penalista - Il concorso esterno in associazione mafiosa o associazione di tipo mafioso.
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venerdì 3 marzo 2006

Avvocato penalista - Associazioni di tipo mafioso anche straniere, il delitto previsto e punito dall'articolo 416 bis del Codice Penale.

Avvocato penalista - Associazioni di tipo mafioso anche straniere, il delitto previsto e punito dall'articolo 416 bis del Codice Penale.
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Avvocato penalista - Associazioni di tipo mafioso anche straniere, il delitto previsto e punito dall'articolo 416 bis del Codice Penale.
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L'articolo 416 bis del Codice Penale, intitolato alle Associazioni di tipo mafioso anche straniere, prevede che:

Chiunque fa parte di un'associazione di tipo mafioso formata da tre o più persone, è punito con la reclusione da sette a dodici anni.
 
Coloro che promuovono, dirigono o organizzano l'associazione sono puniti, per ciò solo, con la reclusione da nove a quattordici anni.
 
L'associazione è di tipo mafioso quando coloro che ne fanno parte si avvalgono della forza di intimidazione del vincolo associativo e della condizione di assoggettamento e di omertà che ne deriva per commettere delitti, per acquisire in modo diretto o indiretto la gestione o comunque il controllo di attività economiche, di concessioni, di autorizzazioni, appalti e servizi pubblici o per realizzare profitti o vantaggi ingiusti per sé o per altri ovvero al fine di impedire od ostacolare il libero esercizio del voto o di procurare voti a sé o ad altri in occasione di consultazioni elettorali.
 
Se l'associazione è armata si applica la pena della reclusione da nove a quindici anni nei casi previsti dal primo comma e da dodici a ventiquattro anni nei casi previsti dal secondo comma.
 
L'associazione si considera armata quando i partecipanti hanno la disponibilità, per il conseguimento della finalità dell'associazione, di armi o materie esplodenti, anche se occultate o tenute in luogo di deposito.
 
Se le attività economiche di cui gli associati intendono assumere o mantenere il controllo sono finanziate in tutto o in parte con il prezzo, il prodotto, o il profitto di delitti, le pene stabilite nei commi precedenti sono aumentate da un terzo alla metà.
 
Nei confronti del condannato è sempre obbligatoria la confisca delle cose che servirono e furono destinate a commettere il reato e delle cose che ne sono il prezzo, il prodotto, il profitto o che ne costituiscono l'impiego. (Decadono inoltre di diritto le licenze di polizia, di commercio, di commissionario astatore presso i mercati annonari all'ingrosso, le concessioni di acque pubbliche e i diritti ad esse inerenti nonché le iscrizioni agli albi di appaltatori di opere o di forniture pubbliche di cui il condannato fosse titolare).
 
Le disposizioni del presente articolo si applicano anche alla camorra, alla 'ndrangheta e alle altre associazioni, comunque localmente denominate, anche straniere, che valendosi della forza intimidatrice del vincolo associativo perseguono scopi corrispondenti a quelli delle associazioni di tipo mafioso.

""" Associazioni di tipo mafioso anche straniere.
 
L’art. 416 bis c.p., introdotto dalla l. n. 646/1982 e modificato dalla l. n. 125/2008, stabilisce che l’associazione per delinquere è di tipo mafioso quando i suoi membri si avvalgono della forza di intimidazione del vincolo associativo, e della condizione di assoggettamento e di omertà che ne deriva, per commettere delitti, per acquisire in modo diretto o indiretto la gestione o comunque il controllo di attività economiche, per realizzare profitti o vantaggi ingiusti per sé o per altri, od ostacolare il libero esercizio del voto o procurare voti a sé o ad altri in occasione di consultazioni elettorali.
 
Essendo la capacità di sopraffazione l’elemento peculiare del metodo mafioso, carattere identificativo di questo tipo di associazione è la forza intimidatrice, intesa come possibilità di avvalersi della pressione derivante dal vincolo associativo, a prescindere dal compimento di specifici atti intimidativi.
 
L'associazione si considera armata quando i partecipanti hanno la disponibilità, per il conseguimento delle attività dell'associazione, di armi o materie esplodenti, anche se occultate e tenute in un luogo di deposito.

Le disposizioni di questa norma si applicano, inoltre, alla camorra e alle altre associazioni che perseguono scopi corrispondenti a quelli delle associazioni di tipo mafioso."""

Fonte Treccani.it :

http://www.treccani.it/enciclopedia/associazioni-di-tipo-mafioso-anche-straniere/
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Avvocato penalista - Associazioni di tipo mafioso anche straniere, il delitto previsto e punito dall'articolo 416 bis del Codice Penale.
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giovedì 2 marzo 2006

Avvocato penalista - L'Associazione per delinquere, il reato previsto e punito dall'art. 416 del Codice penale.

Avvocato penalista - L'Associazione per delinquere, il reato previsto e punito dall'art. 416 del Codice penale.
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L'Articolo 416 del Codice Penale, intitolato alla Associazione per delinquere, prevede che:

Quando tre o più persone si associano allo scopo di commettere più delitti, coloro che promuovono o costituiscono od organizzano l'associazione sono puniti, per ciò solo, con la reclusione da tre a sette anni.

Per il solo fatto di partecipare all'associazione, la pena è della reclusione da uno a cinque anni.

I capi soggiacciono alla stessa pena stabilita per i promotori.

Se gli associati scorrono in armi le campagne o le pubbliche vie, si applica la reclusione da cinque a quindici anni.

La pena è aumentata se il numero degli associati è di dieci o più.

Se l'associazione è diretta a commettere taluno dei delitti di cui agli articoli 600, 601 e 602, si applica la reclusione da cinque a quindici anni nei casi previsti dal primo comma e da quattro a nove anni nei casi previsti dal secondo comma.
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Avvocato penalista - L'Associazione per delinquere, il reato previsto e punito dall'art. 416 del Codice penale.
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Gli elementi costitutivi o tratti caratteristici di questa fattispecie di reato sono i seguenti:

la stabilità dell’accordo, ossia l’esistenza di un vincolo associativo destinato a perdurare nel tempo anche dopo la commissione dei singoli reati specifici che attuano il programma dell’associazione. La stabilità del vincolo associativo dà al delitto in esame la tipica natura del reato permanente;

l'esistenza di un programma di delinquenza volto alla commissione di una pluralità indeterminata di delitti. La commissione di un solo delitto, infatti, non integra la fattispecie in esame.

Parte della dottrina e della giurisprudenza richiede, inoltre, l’esistenza di un terzo requisito e, cioè, che l’associazione sia dotata di una "organizzazione", anche minima, ma adeguata rispetto al fine che si ripromette di raggiungere.

Sul punto, però, non vi è uniformità di vedute: secondo una parte della dottrina, non è necessaria alcuna organizzazione; secondo un'altra parte, invece, è indispensabile una struttura ben delineata e "gerarchicamente" organizzata.

Infine, secondo parte della giurisprudenza, talvolta è sufficiente anche una struttura "rudimentale".

Essendo un reato di pericolo, è sufficiente la costituzione dell’associazione ai fini della punibilità.

L’elemento soggettivo è il dolo specifico.

L’art. 416 del c.p. distingue la promozione, la costituzione e l’organizzazione dalla semplice partecipazione all'associazione e prevede pene diverse in rapporto ai ruoli rispettivamente ricoperti.
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Avvocato penalista - L'Associazione per delinquere, il reato previsto e punito dall'art. 416 del Codice penale.
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mercoledì 1 marzo 2006

Avvocato penalista - Appropriazione indebita ossia il reato di cui all'Articolo 646 del Codice Penale.

Avvocato penalista - Appropriazione indebita ossia il reato di cui all'Articolo 646 del Codice Penale.
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Avvocato penalista - Appropriazione indebita ossia il reato di cui all'Articolo 646 del Codice Penale.
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L'Articolo 646 del Codice Penale, intitolato alla Appropriazione indebita, prevede che:

Chiunque, per procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto, si appropria il denaro o la cosa mobile altrui di cui abbia, a qualsiasi titolo, il possesso, è punito, a querela della persona offesa, con la reclusione fino a tre anni e con la multa fino a milletrentadue euro.
 
Se il fatto è commesso su cose possedute a titolo di deposito necessario, la pena è aumentata.
 
Si procede d'ufficio, se ricorre la circostanza indicata nel capoverso precedente o taluna delle circostanze indicate nel numero 11 dell'articolo 61 (c.p.).
 
L’appropriazione indebita è il reato configurabile a carico di chiunque, trovandosi a qualunque titolo in possesso del denaro o di altre cose mobili altrui, se ne sia appropriato, ossia si sia comportato, senza autorizzazione, come se ne fosse il proprietario, al fine di procurare un profitto per sé o per altri.
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Avvocato penalista - Appropriazione indebita ossia il reato di cui all'Articolo 646 del Codice Penale.
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domenica 1 gennaio 2006

Avvocato penalista - Il traffico illecito di rifiuti (tossici o nocivi) ovvero il reato previsto e punito dall'Art. 260 del Decreto Legislativo 3 aprile 2006, n°. 152.

Avvocato penalista - Il traffico illecito di rifiuti (tossici o nocivi) ovvero il reato previsto e punito dall'Art. 260 del Decreto Legislativo 3 aprile 2006, n°. 152.
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Avvocato penalista - Il traffico illecito di rifiuti (tossici o nocivi) ovvero il reato previsto e punito dall'Art. 260 del Decreto Legislativo 3 aprile 2006, n°. 152.
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L'Art. 260 del Decreto Legislativo 3 aprile 2006, n°. 152, intitolato alle Attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti, prevede e stabilisce che:
 
1. Chiunque, al fine di conseguire un ingiusto profitto, con piu' operazioni   e   attraverso   l'allestimento  di  mezzi  e  attivita' continuative  organizzate, cede, riceve, trasporta, esporta, importa, o  comunque  gestisce abusivamente ingenti quantitativi di rifiuti e' punito con la reclusione da uno a sei anni.
 
2.  Se  si  tratta di rifiuti ad alta radioattivita' si applica la pena della reclusione da tre a otto anni.
 
3. Alla  condanna  conseguono  le  pene  accessorie  di  cui agli articoli   28,  30,  32 bis  e  32 ter  del  codice  penale,  con  la limitazione di cui all'articolo 33 del medesimo codice.
 
4. Il giudice, con la sentenza di condanna o con quella emessa ai sensi  dell'articolo  444  del  codice di procedura penale, ordina il ripristino   dello   stato   dell'ambiente   e  puo'  subordinare  la concessione     della    sospensione    condizionale    della    pena all'eliminazione del danno o del pericolo per l'ambiente.
 
Come è evidente, la norma penale che precede si denota alquanto lacunosa e malfatta, atteso che non precisa a quali tipologie di rifiuti si riferisca il divieto di traffico di rifiuti da essa stabilito e vietato, nel quale potrebbero rientrare, così come è formulata, anche i rifiuti non tossici o non nocivi...
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Avvocato penalista - Il traffico illecito di rifiuti (tossici o nocivi) ovvero il reato previsto e punito dall'Art. 260 del Decreto Legislativo 3 aprile 2006, n°. 152.
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