http://www.avvocato-penalista-cirolla.blogspot.com/google4dd38cced8fb75ed.html Avvocato penalista ...: marzo 2013

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martedì 26 marzo 2013

Avvocato penalista - Appropriazione indebita (il delitto previsto dall'Articolo 646 del Codice Penale).

Avvocato penalista - Appropriazione indebita (il delitto previsto dall'Articolo 646 del Codice Penale).
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Avvocato penalista - Appropriazione indebita (il delitto previsto dall'Articolo 646 del Codice Penale).
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Chiunque, per procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto, si appropria il denaro o la cosa mobile altrui di cui abbia, a qualsiasi titolo, il possesso, è punito, a querela della persona offesa, con la reclusione fino a tre anni  e con la multa fino a milletrentadue euro.

Se il fatto è commesso su cose possedute a titolo di deposito necessario, la pena è aumentata.
 
Si procede d'ufficio, se ricorre la circostanza indicata nel capoverso precedente o taluna delle circostanze indicate nel numero 11 dell'articolo 61.

""" Per l’avvocato che incassa l’assegno per conto del cliente è appropriazione indebita.

L’avvocato può trattenere l’assegno incassato per conto del cliente solo se dimostra che il proprio credito sia certo ed esigibile.
 
Se l’avvocato riceve un assegno per conto del proprio cliente – assegno consegnatogli dalla controparte a seguito di una causa vittoriosa – e lo incassa sul proprio conto, commette il reato di appropriazione indebita aggravata. Per evitare la condanna, il difensore non può semplicemente affermare, davanti al giudice, che il cliente gli deve ancora dei compensi per l’attività svolta, in suo favore, in giudizio: è necessario, invece, che egli dimostri che tale credito professionale sia esigibile e, soprattutto, certo nel preciso ammontare.
 
Lo ha detto la Cassazione penale, con una recente sentenza [1] con cui ha condannato un avvocato per il reato di appropriazione indebita ai danni del proprio assistito [2] per aver messo all’incasso sul proprio conto un assegno invece destinato a quest’ultimo, al termine di una causa di risarcimento del danno. Secondo la Suprema Corte, il professionista non ha alcuna facoltà di incassare il titolo e trattenere la somma in esso contenuta.
 
L’unico modo che l’avvocato ha per evitare la condanna è di dimostrare non solo l’esistenza di un proprio credito professionale nei confronti del cliente, ma anche che tale credito è certo ed esigibile.

[1] Cass. sent. n. 13801/2013 del 25.03.2013.
[2] Art. 646 cod. pen. """

Fonte La legge per tutti.it .

http://www.laleggepertutti.it/26624_per-lavvocato-che-incassa-lassegno-per-conto-del-cliente-e-appropriazione-indebita
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Avvocato penalista - Appropriazione indebita (il delitto previsto dall'Articolo 646 del Codice Penale).
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lunedì 25 marzo 2013

Avvocato penalista - Violenza privata (Articolo 610 del Codice Penale).

Avvocato penalista - Violenza privata (Articolo 610 del Codice Penale).
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L'Articolo 610 del Codice Penale, intitolato alla Violenza privata, stabilisce che:
 
Chiunque, con violenza o minaccia, costringe altri a fare, tollerare od omettere qualche cosa è punito con la reclusione fino a quattro anni.

La pena è aumentata se concorrono le condizioni prevedute dall'articolo 339.

La violenza e la minaccia, dunque, assumono rilevanza penale per la norma di cui all'art. 610 del codice penale poiché reputate strumenti idonei per coartare la volontà altrui.

Obbligare la moglie a tagliarsi i capelli configura il reato di violenza privata, per come ha statuito la Corte di Cassazione ed è una giusta decisione che approvo e condivido.
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Avvocato penalista - Violenza privata (Articolo 610 del Codice Penale).
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""" Cassazione: obbligare la moglie a tagliare i capelli è violenza privata.

Risponde di violenza privata chi impone alla propria consorte un taglio di capelli radicale.
 
Il marito geloso che taglia i capelli alla moglie contro la sua volontà commette reato di violenza privata.

Lo ha detto, di recente, la Cassazione [1] che ha condannato un carabiniere genovese il quale, dopo aver appreso la notizia di un presunto tradimento, ha sfogato la propria ira contro l’acconciatura della (ex) compagna.
 
A nulla è valsa la ricostruzione avanzata dalla difesa, secondo la quale il passionale militare avrebbe tutt’al più commesso i più lievi reati di minaccia [2] e ingiuria [3] (quest’ultimo configurabile, secondo il codice penale, ogni qualvolta si attuano condotte tali da umiliare l’onore e il decoro della persona offesa).
 
In particolare, la Suprema Corte ha ribadito che se l’umiliazione della persona avviene attraverso l’uso della forza o ricorrendo a strumenti violenti e intimidatori, come nel caso di specie, non si può parlare di ingiuria, ma del ben più grave delitto di violenza privata poiché la vittima, oltre alle offese, subisce una restrizione della propria libertà morale.
 
Pienamente condivisibile l’orientamento espresso dalla Corte che dimostra, ancora una volta, di prestare massima sensibilità al grido d’aiuto, più volte ignorato nelle aule di giustizia, delle donne, madri e amanti sempre più spesso “oggetto di reato” [4].
 
[1] Cass. sent. n. 10413/13
[2] Art. 612, c.p.
[3] Art. 594, c.p.
[4] Espressione mutuata dal titolo del libro “La persona oggetto di reato” scritto dall’Avv. Selene Pascasi e dal criminologo Vincenzo Lusa, Ed. Giappichelli, 2011. """

Fonte La Legge per tutti.it

http://www.laleggepertutti.it/26022_cassazione-obbligare-la-moglie-a-tagliare-i-capelli-e-violenza-privata
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Avvocato penalista - Violenza privata (Articolo 610 del Codice Penale).
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lunedì 18 marzo 2013

Avvocato penalista - Abbandono di animali (è il reato previsto dall'art. 727 del codice penale).

Avvocato penalista - Abbandono di animali (è il reato previsto dall'art. 727 del codice penale).
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Il reato in esame si verifica ogni qual volta chiunque abbandoni i propri animali domestici o che abbiano acquisito le abitudini della cattività.

La pena per esso prevista è l'arresto fino ad un anno o l'ammenda da 1000 a 10.000  euro.

E mi sembra un'equa e giusta previsione, meno che per la misura e per la tipologia delle pene per essa alternativamente previste o comminate, atteso che l'indole malvagia di chi abbandona i propri animali domestici non è gran che dissimile dall'indole criminale di chi abbandona i propri congiunti o le persone più care che la vita gli ha immeritatamente donato o messo accanto.   
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Avvocato penalista - Abbandono di animali (è il reato previsto dall'art. 727 del codice penale).
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""" Maltrattamento di animali: anche se non c’è volontà e lesioni.

Animali maltrattati e abbandonati: punita anche la semplice dimenticanza.

Per commettere il reato di maltrattamento di animali [1] non è necessario che l’agente abbia avuto la specifica volontà di commettere il maltrattamento: è sufficiente l’aver semplicemente omesso (anche per incuria, dimenticanza, negligenza, ecc.) i propri doveri di custodia e di cura. Lo ha precisato la Cassazione con una recente sentenza [2].

Così, si ha il reato in questione anche nel caso di semplice abbandono di un animale all’interno di un’autovettura esposta ai raggi del sole durante la stagione estiva per un tempo prolungato.

Allo stesso modo, si viene ugualmente puniti per tale reato se l’animale non abbia subito, a seguito della condotta in questione, una concreta lesione fisica. È infatti sufficiente che esso abbia sofferto semplici patimenti.

In pratica.

Si è puniti con l’ammenda da 1000 a 10.000  se si detiene il proprio animale in condizioni incompatibili con la sua natura, anche se ciò non avviene per una volontà specifica e anche se all’animale non derivino concrete lesioni fisiche.

[1] Art. 727 cod. pen.
[2] Cass. sent. n. 5971 del 7.02.2013. """

Fonte La legge per tutti.it

http://www.laleggepertutti.it/24815_maltrattamento-di-animali-anche-se-non-ce-volonta-e-lesioni
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Avvocato penalista - Abbandono di animali (è il reato previsto dall'art. 727 del codice penale).
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sabato 9 marzo 2013

Avvocato penalista - Oltraggio a un pubblico ufficiale (Il reato previsto e punito dall'Articolo 341 Bis del Codice penale).

Avvocato penalista - Oltraggio a un pubblico ufficiale (Il reato previsto e punito dall'Articolo 341 Bis del Codice penale).
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Avvocato penalista - Oltraggio a un pubblico ufficiale (Il reato previsto e punito dall'Articolo 341 Bis del Codice penale).
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L'Articolo 341 Bis del Codice penale, intitolato all'Oltraggio a un pubblico ufficiale, prevede che:
 
Chiunque, in luogo pubblico o aperto al pubblico e in presenza di più persone, offende l'onore ed il prestigio di un pubblico ufficiale mentre compie un atto d'ufficio ed a causa o nell'esercizio delle sue funzioni è punito con la reclusione fino a tre anni.
 
La pena è aumentata se l'offesa consiste nell'attribuzione di un fatto determinato.
 
Se la verità del fatto è provata o se per esso l'ufficiale a cui il fatto è attribuito è condannato dopo l'attribuzione del fatto medesimo, l'autore dell'offesa non è punibile.
 
Ove l'imputato, prima del giudizio, abbia riparato interamente il danno, mediante risarcimento di esso sia nei confronti della persona offesa sia nei confronti dell'ente di appartenenza della medesima, il reato è estinto.

(Il reato di oltraggio a pubblico ufficiale era già previsto dall'art. 341 del codice penale, abrogato dall'art. 18, comma 1, della Legge 25 Giugno 1999, n °. 205 ed è stato successivamente reinserito nel codice penale, all'art. 341 bis, dall'art. 1, comma 8, della Legge 15.07.2009, n°. 94, pubblicata nella G.U. del 24.07.2009, n°. 170 - S.O. n°. 128, con decorrenza dal 08.08.2009.)

Commette il reato di oltraggio a un pubblico ufficiale chi offende l’onore di un pubblico ufficiale nell’esercizio delle sue funzioni in un luogo pubblico od aperto al pubblico.
 
L’offesa può essere generica e deve essere tale da arrecare un danno all’onore e al prestigio della persona o dell’istituzione che rappresenta. Essa deve essere pronunciata durante il compimento di una funzione propria dell’ufficio a cui il pubblico ufficiale è preposto.

Pertanto non costituisce oltraggio l’offesa diretta ad un pubblico ufficiale che non sta esercitando le proprie funzioni nel momento in cui viene offeso.
 
Per luogo pubblico si intende anche uno spazio privato ma aperto al pubblico per la funzione a cui è adibito, come, ad esempio, un centro commerciale, una clinica privata, ecc.
 
La pena è della reclusione fino a tre anni.

Essa è aumentata, se l’offesa consiste nell’attribuzione di un fatto determinato; ma, se si dimostra la veridicità del fatto, si evita la condanna.
 
Il reato si estingue e chi lo ha commesso non è più punibile se risarcisce interamente il danno causato alla persona e all’ente di rappresentanza.

Molto spesso basta anche una semplice, ma sentita o sincera, richiesta di scuse.
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Avvocato penalista - Oltraggio a un pubblico ufficiale (Il reato previsto e punito dall'Articolo 341 Bis del Codice penale).
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venerdì 8 marzo 2013

Avvocato penalista - Resistenza a un pubblico ufficiale (il reato di cui all'Art. 337 del Codice Penale).

Avvocato penalista - Resistenza a un pubblico ufficiale (il reato di cui all'Art. 337 del Codice Penale).
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L'Art. 337 del Codice Penale, intitolato alla Resistenza a un pubblico ufficiale, prevede che:

Chiunque usa violenza o minaccia per opporsi a un pubblico ufficiale  o ad un incaricato di un pubblico servizio, mentre compie un atto di ufficio o di servizio, o a coloro che, richiesti, gli prestano assistenza, è punito con la reclusione da sei mesi a cinque anni.
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Avvocato penalista - Resistenza a un pubblico ufficiale (il reato di cui all'Art. 337 del Codice Penale).
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Il reato di resistenza  a un pubblico ufficiale si distingue dal reato di violenza o minaccia a un pubblico ufficiale, di cui al precedente art. 336 del codice penale per il fatto che in questo caso il mezzo della violenza o della minaccia non ha lo scopo di costringere il pubblico ufficiale a non fare un atto d’ufficio, ma quello di impedirgli di farlo.

Anche la resistenza nei confronti di chi presta assistenza a un pubblico ufficiale su sua richiesta viene punita da questa stessa norma e con la medesima pena in essa prevista.
 
Costituisce resistenza a un pubblico ufficiale, per esempio, anche la semplice fuga, a piedi o a bordo di un veicolo; la resistenza cosiddetta passiva, come il rimanere fermi o legati a qualcosa per impedire di essere portati via; la minaccia di un'auto lesione, ecc.

La pena prevista per questo delitto è quella della reclusione da sei mesi a cinque anni.
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Avvocato penalista - Resistenza a un pubblico ufficiale (il reato di cui all'Art. 337 del Codice Penale).
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giovedì 7 marzo 2013

Avvocato penalista - Violenza o minaccia a un pubblico ufficiale (Articolo 336 del Codice Penale).

Avvocato penalista - Violenza o minaccia a un pubblico ufficiale (Articolo 336 del Codice Penale).
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L'articolo 336 del Codice Penale, intitolato al delitto di Violenza o minaccia a un pubblico ufficiale, prevede che:
 
Chiunque usa violenza o minaccia ad un pubblico ufficiale o ad un incaricato di un pubblico servizio, per costringerlo a fare un atto contrario ai propri doveri, o ad omettere un atto dell'ufficio o del servizio, è punito con la reclusione da sei mesi a cinque anni.

La pena è della reclusione fino a tre anni, se il fatto è commesso per costringere alcuna delle persone anzidette a compiere un atto del proprio ufficio o servizio, o per influire, comunque, su di essa.
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Avvocato penalista - Violenza o minaccia a un pubblico ufficiale (Articolo 336 del Codice Penale).
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Ognuno di noi è libero di esprimere il proprio disappunto o di ribellarsi verso l'operato di un pubblico ufficiale, a seguito di un suo provvedimento (controllo, multa, sanzione amministrativa od altro che sia), se lo considera ingiusto, ma solo se la disapprovazione rientra in certi limiti; se ed ove si oltrepassano certi limiti, si commette reato e si rischia di essere condannati penalmente.
 
Ad ognuno di noi sarà capitato di sentire di dover protestare contro l'operato di un pubblico ufficiale a causa della indignazione per un suo provvedimento reputato ingiusto ed immeritato.

Il  diritto di manifestare la nostra disapprovazione per l'operato ingiusto del pubblico ufficiale, però, non comprende in se anche la nostra protesta minacciosa o violenta, nel senso inteso e proibito dall'art. 336 del codine penale.

Se disapproviamo il comportamento del pubblico ufficiale in maniera minacciosa o violenta, rischiamo di essere chiamati a rispondere del delitto di cui all'art. 336 del codice penale.   

Il reato di violenza o minaccia a un pubblico ufficiale si concreta ogni qual volta si minaccia o si costringe, mediante violenza fisica o minaccia, un pubblico ufficiale a compiere un atto contrario ai propri doveri o ad omettere un atto doveroso del suo ufficio.

Il reato è punito con la reclusione da sei mesi a cinque anni.

Se, però, la violenza o la minaccia hanno solo il fine di costringere il pubblico ufficiale a compiere un atto o, comunque, di influire sulla sua volontà, la pena è della reclusione fino a tre anni.
 
L'articolo 357 del Codice Penale ci fornisce la Nozione del pubblico ufficiale e ci dice che:

Agli effetti della legge penale, sono pubblici ufficiali coloro i quali esercitano una pubblica funzione legislativa, giudiziaria o amministrativa.

Agli stessi effetti è pubblica la funzione amministrativa disciplinata da norme di diritto pubblico e da atti autoritativi, e caratterizzata dalla formazione e dalla manifestazione della volontà della pubblica amministrazione o dal suo svolgersi per mezzo di poteri autoritativi o certificativi.
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Avvocato penalista - Violenza o minaccia a un pubblico ufficiale (Articolo 336 del Codice Penale).
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mercoledì 6 marzo 2013

Avvocato penalista - E' peculato (Art. 314 del codice penale) il reato in cui incorre il sindaco che porta con sé la moglie nei suoi viaggi istituzionali o nelle sue trasferte fuori sede.

Avvocato penalista - E' peculato (Art. 314 del codice penale) il reato in cui incorre il sindaco che porta con sé la moglie nei suoi viaggi istituzionali o nelle sue trasferte fuori sede.

Lo stesso reato è configurabile a carico degli assessori comunali, dei consiglieri comunali, degli incaricati di un pubblico servizio e dei pubblici ufficiali in genere, che si facciano accompagnare nei loro viaggi istituzionali, nelle loro trasferte o nelle loro missioni, dalle rispettive mogli o da altri soggetti estranei alle cariche da essi ricoperte od alle funzioni da essi espletate.

Lo ha stabilito una recente e condivisibilissima sentenza della Corte di Cassazione.   
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Avvocato penalista - E' peculato (Art. 314 del codice penale) il reato in cui incorre il sindaco che porta con sé la moglie nei suoi viaggi istituzionali o nelle sue trasferte fuori sede.
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L'Art. 314 del Codice Penale, intitolato al reato di Peculato, infatti, prevede che:
 
Il pubblico ufficiale (c.p. 357) o l'incaricato di un pubblico servizio (c.p. 358), che, avendo per ragione del suo ufficio o servizio il possesso o comunque la disponibilità di denaro (c.p. 458) o di altra cosa mobile altrui (c.c. 812, 814), se ne appropria, è punito con la reclusione da tre a dieci anni.
 
Si applica la pena della reclusione da sei mesi a tre anni quando il colpevole ha agito al solo scopo di fare uso momentaneo della cosa, e questa, dopo l'uso momentaneo, è stata immediatamente restituita.
 
Ed, in base al dato normativo che qui precede, mi sembra evidente che anche l'uso di denaro pubblico - cioè di tutti - per spese non necessarie al fine del corretto svolgimento delle funzioni istituzionali (quali le spese di vitto, di alloggio e di viaggio di persone estranee alle funzioni istituzionali) sia una forma illecita di appropriazione del denaro o dei beni mobili altrui.  
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""" Peculato per il sindaco che porta con sé la moglie nei viaggi istituzionali.

Commette peculato l’amministratore dell’ente locale se, nel viaggio organizzato dall’ente, porta con sé la moglie o qualsiasi altro parente a spese dell’amministrazione.

La Cassazione ha recentemente condannato [1], con l’accusa di peculato, un sindaco, un assessore e un consigliere per aver portato con sé le rispettive consorti in un viaggio organizzato dall’ufficio, facendo ricadere sulla cittadinanza le spese sostenute per la trasferta di queste ultime. La sanzione non è stata di poco conto: due anni di reclusione oltre all’interdizione dai pubblici uffici.

Gli oneri destinati al vitto e alloggio per le delegazioni pubbliche non possono essere beneficiati da chi non ha alcun titolo istituzionale e non ricopra incarichi per conto dell’ufficio. E ciò anche se il rendiconto dell’intero viaggio sia stato approvato successivamente dagli uffici dell’ente. Ciò che rileva, infatti, è che, di fatto, vi sia stata la destinazione di una parte delle somme pubbliche a copertura di costi estranei al soddisfacimento di interessi della collettività.

La Cassazione ha ricordato che il reato di peculato entra in gioco tutte le volte in cui vi è una appropriazione del denaro pubblico per un profitto proprio o altrui. È stato proprio il caso di specie, in cui le spese per la partecipazione alla trasferta non sono state distratte per una finalità pubblica, ma, al contrario, destinate a finalità estranee agli interessi della pubblica amministrazione, consentendo a soggetti privati (i parenti degli amministratori), pur senza alcun titolo, di partecipare al viaggio a spese dell’ente pubblico.

L’ente poi si era auto-assolto, ratificando il proprio operato con l’approvazione, in delibera comunale, delle spese sostenute. Una mossa tanto scontata quanto inutile, secondo la giusta interpretazione della Cassazione.

[1] Cass. sent. n. 7492 del 15.02.2013. """

Fonte La legge per tutti.it .

http://www.laleggepertutti.it/24272_peculato-per-il-sindaco-che-porta-con-se-la-moglie-nei-viaggi-istituzionali
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Avvocato penalista - E' peculato (Art. 314 del codice penale) il reato in cui incorre il sindaco che porta con sé la moglie nei suoi viaggi istituzionali o nelle sue trasferte fuori sede.
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martedì 5 marzo 2013

Avvocato penalista - Le telecamere sugli autobus sono lecite solo per filmare gli eventuali incidenti, ma non possono registrare le conversazioni dei passeggeri, i loro pettegolezzi, le loro diffamazioni od i loro progetti criminali.

Avvocato penalista - Le telecamere sugli autobus sono lecite solo per filmare gli eventuali incidenti, ma non possono registrare le conversazioni dei passeggeri, i loro pettegolezzi, le loro diffamazioni od i loro progetti criminali.
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Avvocato penalista - Le telecamere sugli autobus sono lecite solo per filmare gli eventuali incidenti, ma non possono registrare le conversazioni dei passeggeri, i loro pettegolezzi, le loro diffamazioni od i loro progetti criminali.

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""" Telecamere sugli autobus: salvi i pettegolezzi.

Si alle telecamere sugli autobus per filmare gli incidenti, a condizione però che non registrino l’audio con le conversazioni dei passeggeri.
 
Il Garante della Privacy ha appena autorizzato alcune società di trasporto pubblico all’installazione di telecamere sul parabrezza anteriore dei mezzi: serviranno per filmare la sede stradale e l’interno dell’abitacolo nei venti secondi anteriori e successivi ad eventuali incidenti stradali.

Tale sistema servirà per agevolare la ricostruzione del sinistro, accertando eventuali responsabilità e garantendo la sicurezza degli utenti.
 
Il sistema, avverte il Garante, non dovrà riprendere il conducente né dovrà registrare le conversazioni che avvengono a bordo dell’autobus.
 
Inoltre dovranno essere posti dei cartelli all’interno degli autobus che avvisino gli utenti della presenza delle telecamere.
 
Dovranno essere resi noti, ai dipendenti e ai conducenti dei mezzi pubblici, le modalità con cui verranno trattati e custoditi i dati personali.
 
Poiché nell’occhio della telecamera potrebbero finire tanto i passeggeri del mezzo quanto eventuali conducenti di autovetture che si trovino a passare sullo stesso tratto stradale, della presenza di tali sistemi di registrazione bisognerà dare un’informativa dettagliata alla collettività attraverso la pubblicazione sul sito web dell’azienda.
 
Le registrazioni dovranno essere integralmente cancellate entro due anni dalla ripresa: tale è infatti il termine massimo per chiedere, in giudizio, il risarcimento danni per eventuali sinistri stradali. """
 
Fonte La legge per tutti.it.

http://www.laleggepertutti.it/25188_telecamere-sugli-autobus-salvi-i-pettegolezzi
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Avvocato penalista - Le telecamere sugli autobus sono lecite solo per filmare gli eventuali incidenti, ma non possono registrare le conversazioni dei passeggeri, i loro pettegolezzi, le loro diffamazioni od i loro progetti criminali.
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lunedì 4 marzo 2013

Avvocato penalista - Non è diffamazione (art. 595, comma 3, del codice penale; art. 596-bis del codice penale ed artt. 57, 57-bis e 58 del codice penale) l'affermazione di un giornalista - "si sospetta che ..."- rivolta ad una persona determinata.

Avvocato penalista - Non è diffamazione (art. 595, comma 3, del codice penale; art. 596-bis del codice penale ed artt. 57, 57-bis e 58 del codice penale) l'affermazione di un giornalista - "si sospetta che ..."- rivolta ad una persona determinata.

Lo ha stabilito la nostra Corte di Cassazione con la sua sentenza indicata nell'articolo che qui segue.

Le sentenze, come si sa, vanno rispettate, anche se e quando non sono gran che condivisibili.

Ma - e si sa anche questo - se il diritto di critica (che è diverso e distinto dal diritto di cronaca) ha una tutela costituzionale maggiore, che gli deriva dall'art. 21 della Costituzione e che prevale rispetto ai diritti che la stessa Costituzione riconosce ai soggetti criticati, ciò non vuol dire che la maggiore tutela costituzionale riservatagli costituisca anche una specie di "salvacondotto" per fare ciò che gli pare, come gli pare o per esprimersi come "meglio" sa o riesce ad estrinsecarsi.

Si può criticare molto bene senza essere necessariamente maleducati od irriguardosi verso la persona (fisica o giuridica) che si critica; senza ingenerare sospetti diffamatori sulla sua onorabilità e senza invadere o menomare la sua sfera etica o morale, adombrando dubbi, sospetti o tendenziosità.
 
Come la stessa nostra Suprema Corte di Cassazione ha stabilito in numerosissime sue eccellenti ed ottime sentenze.      
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Avvocato penalista - Non è diffamazione (art. 595, comma 3, del codice penale; art. 596-bis del codice penale ed artt. 57, 57-bis e 58 del codice penale) l'affermazione di un giornalista - "si sospetta che ..."- rivolta ad una persona determinata.
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""" “ Si sospetta che…” non è diffamazione: assolto giornalista di Report.

Il diritto di critica del giornalista d’inchiesta, anche se espresso in forma di dubbio, prevale rispetto al diritto all’immagine dell’azienda.
 
“Senza giri di parole si sospetta proprio della più grande raffineria italiana di Monopoli: abbiamo girato la domanda al presidente”: è stata questa la frase che ha fatto scattare l’accusa per diffamazione nei confronti di un giornalista della trasmissione televisiva “Report”.
 
Non sono stati però di questo avviso né i Tribunali di primo e di secondo grado, né soprattutto la Cassazione [1].
 
È salvo, dunque, il diritto di critica del giornalista d’inchiesta, che non deve essere soggetto a “censure a priori”. La regola che si può evincere da queste pronunce, infatti, è che la denuncia di “situazioni oscure”, se è fatta in una forma lessicale dubitativa (“si sospetta che”), è lecita purché:
 
- il sospetto non sia del tutto assurdo;
- vi sia un interesse pubblico all’oggetto dell’indagine giornalistica.

In questi casi, dunque, riceve maggiore tutela l’autore del servizio giornalistico che l’interesse dell’operatore economico su cui ricade il sospetto.

Il giornalista ha diritto ad esprimere il proprio pensiero, denunciando sospetti di illeciti (ciò coincide, del resto, col diritto della collettività a essere informata non solo sulle notizie di cronaca, ma anche su temi sociali).

Questa libertà di espressione non può essere censurata a propri, ma va valutata caso per caso, in relazione alle modalità concrete con cui essa viene manifestata.

[1] Cass. sent. n. 9337 del 27.02.2013. """

Fonte La legge per tutti.it

http://www.laleggepertutti.it/25203_si-sospetta-che-non-e-diffamazione-assolto-giornalista-di-report

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Avvocato penalista - Non è diffamazione (art. 595, comma 3, del codice penale; art. 596-bis del codice penale ed artt. 57, 57-bis e 58 del codice penale) l'affermazione di un giornalista - "si sospetta che ..."- rivolta ad una persona determinata.
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domenica 3 marzo 2013

Avvocato penalista - Abbandono di persone minori o incapaci (art. 591 del codice penale) e difesa delle vittime del reato di abbandono di persone minori o incapaci.

Avvocato penalista - Abbandono di persone minori o incapaci (art. 591 del codice penale) e difesa delle vittime del reato di abbandono di persone minori o incapaci.
 
L'articolo 591 del Codice penale, intitolato all'abbandono di persone minori o incapaci, prevede che:

Chiunque abbandona una persona minore degli anni quattordici, ovvero una persona incapace, per malattia di mente o di corpo, per vecchiaia, o per altra causa, di provvedere a se stessa, e della quale abbia la custodia o debba avere la cura, è punito con la reclusione da sei mesi a cinque anni.
 
Alla stessa pena soggiace chi abbandona all’estero un cittadino italiano minore degli anni diciotto, a lui affidato nel territorio dello Stato per ragioni di lavoro.
 
La pena è della reclusione da uno a sei anni se dal fatto deriva una lesione personale, ed è da tre a otto anni se ne deriva la morte.

Le pene sono aumentate se il fatto è commesso dal genitore, dal figlio, dal tutore o dal coniuge, ovvero dall’adottante o dall’adottato.
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Avvocato penalista - Abbandono di persone minori o incapaci (art. 591 del codice penale) e difesa delle vittime del reato di abbandono di persone minori o incapaci.
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E' il nuovo servizio legale professionale, altamente innovativo, qualificato e specialistico, ideato dall'Avvocato Cirolla e rivolto alle vittime del reato di abbandono di persone minori o incapaci.

Esso consiste nelle varie attività di assistenza, consulenza, difesa e rappresentanza legali in favore delle vittime del reato di  abbandono di persone minori o incapaci, a partire dalla fase delle indagini preliminari - alle quali si affiancheranno le indagini difensive, dirette dall'Avvocato Cirolla e supportate dai migliori investigatori privati di sua fiducia, nonché dai suoi più qualificati collaboratori scientifici, tutti altamente preparati e competenti nelle varie e rispettive branche delle scienze criminalistiche di cui si occupano - fino al giudizio di cassazione ed al successivo giudizio per il risarcimento dei danni.

Si tratta di un servizio legale nuovo ed innovativo, nonché efficace ed utile per le vittime del reato di abbandono di persone minori o incapaci, che viene svolto da professionisti competenti, seri, qualificati e specialisti ognuno nel proprio settore.

Possono usufruire di questo specifico servizio legale anche le Associazioni, le Fondazioni o le altre organizzazioni anti-abbandono di persone minori o incapaci esistenti sul territorio italiano od europeo, sia che operino in ambito ecclesiastico o diocesano, sia che operino in ambito civile o laico.
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Avvocato penalista - Abbandono di persone minori o incapaci (art. 591 del codice penale) e difesa delle vittime del reato di abbandono di persone minori o incapaci.
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sabato 2 marzo 2013

Avvocato penalista - Integra il reato di corruzione alla polizia, al fine di evitare la sanzione di una multa, il fatto di chi offre una somma di denaro; ma solo se offre una somma non irrisoria.

Avvocato penalista - Integra il reato di corruzione alla polizia, al fine di evitare la sanzione di una multa, il fatto di chi offre una somma di denaro; ma solo se offre una somma non irrisoria.
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Avvocato penalista - Integra il reato di corruzione alla polizia, al fine di evitare la sanzione di una multa, il fatto di chi offre una somma di denaro; ma solo se offre una somma non irrisoria.
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Lo ha stabilito una recente sentenza della nostra Corte Suprema di Cassazione.

Personalmente, penso che si tratti di una sentenza da rispettare - come ogni sentenza - sebbene affatto condivisibile; e vi spiego perché.

1. In primo luogo, per una ragione di ordine sistematico, atteso che in nessuna delle norme contenute nel nostro codice penale, in materia di corruzione, è prevista la misura della somma o della qualsiasi altra utilità non dovuta al pubblico ufficiale tra i loro rispettivi elementi costitutivi;

2. In secondo luogo, per una ragione di ordine logico, poiché nessuno di noi - sebbene corruttore occasionale o professionale, pagherebbe mai 100 per risparmiare 50;

3. In terzo luogo, perché occorre sempre configurare bene i reati che si contestano a qualcuno e, nel caso di specie, più che di art. 341 bis del codice penale, sia nella sua forma abrogata, che nella sua forma novellata, si è trattato di art. 322 del codice penale, anche nella sua forma prima della novella di cui all'art. 1 della Legge 6 novembre 2012, n°. 190.

L'Art. 322 del codice penale, intitolato alla Istigazione alla corruzione, infatti, prevede, anche nella sua attuale veste, novellata dall'art. 1 della L. 6 novembre 2012, n. 190, che:

Chiunque offre o promette denaro od altra utilità non dovuti ad un pubblico ufficiale o ad un incaricato di un pubblico servizio, per l'esercizio delle sue funzioni o dei suoi poteri, soggiace, qualora l'offerta o la promessa non sia accettata, alla pena stabilita nel primo comma dell'articolo 318, ridotta di un terzo. (1)

Se l'offerta o la promessa è fatta per indurre un pubblico ufficiale o un incaricato di un pubblico servizio ad omettere o a ritardare un atto del suo ufficio, ovvero a fare un atto contrario ai suoi doveri, il colpevole soggiace, qualora l'offerta o la promessa non sia accettata, alla pena stabilita nell'articolo 319, ridotta di un terzo.

La pena di cui al primo comma si applica al pubblico ufficiale o all'incaricato di un pubblico servizio che sollecita una promessa o dazione di denaro o altra utilità per l'esercizio delle sue funzioni o dei suoi poteri. (2)

La pena di cui al secondo comma si applica al pubblico ufficiale o all'incaricato di un pubblico servizio che sollecita una promessa o dazione di denaro od altra utilità da parte di un privato per le finalità indicate dall'articolo 319.

(1)così modificato dall'art. 1, L. 6 novembre 2012, n. 190.
(2)così modificato dall'art. 1, L. 6 novembre 2012, n. 190.

Per cui, nel caso, si tratta di Istigazione alla corruzione tentata o di tentativo di Istigazione alla corruzione e non certo di Oltraggio a pubblico ufficiale o ad incaricato di un pubblico servizio.

L'Art. 341 bis del codice penale, intitolato all'Oltraggio a pubblico ufficiale, infatti prevede che:

Chiunque, in luogo pubblico o aperto al pubblico e in presenza di più persone, offende l’onore ed il prestigio di un pubblico ufficiale mentre compie un atto d’ufficio ed a causa o nell’esercizio delle sue funzioni è punito con la reclusione fino a tre anni.

La pena è aumentata se l’offesa consiste nell’attribuzione di un fatto determinato. Se la verità del fatto è provata o se per esso l’ufficiale a cui il fatto è attribuito è condannato dopo l’attribuzione del fatto medesimo, l’autore dell’offesa non è punibile.

Ove l’imputato, prima del giudizio, abbia riparato interamente il danno, mediante risarcimento di esso sia nei confronti della persona offesa sia nei confronti dell’ente di appartenenza della medesima, il reato è estinto.

E va sempre letto ed inteso in combinata lettura con l'art. 393 bis del codice penale, intitolato alla Causa di non punibilità, il quale a sua volta prevede che:

Non si applicano le disposizioni degli articoli 336, 337, 338, 339, 341-bis, 342 e 343 quando il pubblico ufficiale o l’incaricato di un pubblico servizio ovvero il pubblico impiegato abbia dato causa al fatto preveduto negli stessi articoli, eccedendo con atti arbitrari i limiti delle sue attribuzioni.

Come si vede gli elementi costitutivi delle due - e distinte - figure criminose non sono identici e, dunque, a nessuno è dato di confondere o di applicare l'una al posto dell'altra o viceversa.

Sono d'accordo circa il fatto che resti "tuttavia la possibilità di processare l’uomo per il diverso reato di oltraggio a pubblico ufficiale, per via dell’implicita offesa all’onore o al prestigio dell’uniforme", insita nella sua proposta di corruzione; ma solo se ed a condizione che se ne sia vagliata attentamente la specifica condotta nei distinti casi specifici, poiché, in caso contrario, vale quanto qui sopra precede o quanto fin qui detto.  
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""" Corruzione alla polizia per evitare la multa: solo se si offre una somma non irrisoria.
 
Per tentare di corrompere un agente della polizia ed evitare la contravvenzione è necessario avere il portafogli pieno. Scagionato l’uomo che aveva con sé 10 euro.
 
Per commettere il reato di istigazione alla corruzione nei confronti dell’agente che ha elevato la contravvenzione è necessario offrire a quest’ultimo una somma seria e non irrisoria. Così l’automobilista che faccia scivolare, nella tasca del poliziotto, una banconota da 10 euro per evitare il verbale, non è punibile per l’illecito suddetto.
 
Resta tuttavia la possibilità di processare l’uomo per il diverso reato di oltraggio a pubblico ufficiale, per via dell’implicita offesa all’onore e al prestigio dell’uniforme [1].
 
È l’ultimo orientamento della Cassazione [2], che ha ribaltato la condanna inflitta invece dalla Corte di Appello di Napoli per reato di istigazione alla corruzione nei riguardi di due agenti della stradale da parte di un automobilista che aveva offerto, a questi ultimi, una somma irrisoria.
 
[1] Si trattava di fatto anteriore alla L. 15.07.2009 n. 94 in vigore dall’8.08.2009, che ha introdotto all’art. 1 la previsione del delitto di “oltraggio a pubblico ufficiale” oggi previsto e punito dall’art. 341 bis cod. pen.
[2] Cass. sent. n. 75050 del 15.02.2013. """
 
Fonte La legge per tutti.it .

http://www.laleggepertutti.it/24497_corruzione-alla-polizia-per-evitare-la-multa-solo-se-si-offre-una-somma-non-irrisoria
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Avvocato penalista - Integra il reato di corruzione alla polizia, al fine di evitare la sanzione di una multa, il fatto di chi offre una somma di denaro; ma solo se offre una somma non irrisoria.
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venerdì 1 marzo 2013

Avvocato penalista - Approfittare di una persona depressa è circonvenzione di incapace.

Avvocato penalista - Approfittare di una persona depressa è circonvenzione di incapace.
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Avvocato penalista - Approfittare di una persona depressa è circonvenzione di incapace.
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""" Approfittare di una persona depressa è circonvenzione di incapace.
 
Non è necessario che la vittima sia incapace di intende e volere: per la circonvenzione di incapace è sufficiente abusare di un soggetto stressato, solo o semplicemente depresso.
 
Abusare dello stato di debolezza psichica di una persona è illecito penale: la circonvenzione di incapace, infatti, scatta tutte le volte in cui si tende a influire sulla volontà di una persona con una patologia clinica accertata che ne riduce la capacità di intende e volere.
 
Una recente sentenza della Cassazione [1], tuttavia, ha notevolmente ampliato i confini di questo illecito.

La Corte ha infatti chiarito che non è necessario che l’incapacità della vittima sia clinicamente e legalmente accertata.

È sufficiente, per incorrere nel rischio di un procedimento penale, approfittarsi di uno stato di depressione altrui, tale da far mancare capacità critica.

Non serve quindi una vera e propria infermità psichica, ma basta anche una più lieve deficienza psichica o una alterazione dello stato psicologico, come può essere quello di un disagio esistenziale dettato dalle sofferenze della vita (così, per esempio, la solitudine, lo stress o la depressione).
 
Nel caso di specie, la vittima aveva una profonda fragilità emotiva, dettata dalla scomparsa del figlio e dalla recente separazione col marito; i due imputati avevano sfruttato questa condizione di soggezione psicologica e di stato di bisogno per impartire, alla donna degli ordini di vario genere.
 
[1] Cass. sent. n. 9249 del 27.02.2013. """

Fonte la legge per tutti.it.

http://www.laleggepertutti.it/25087_approfittare-di-una-persona-depressa-e-circonvenzione-di-incapace
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Avvocato penalista - Approfittare di una persona depressa è circonvenzione di incapace.
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