http://www.avvocato-penalista-cirolla.blogspot.com/google4dd38cced8fb75ed.html Avvocato penalista ...: dicembre 2014

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mercoledì 31 dicembre 2014

Avvocato penalista - Droghe, stupefacenti e concetto di lieve entità al fine dell’attenuante in materia di condotta di spaccio, secondo la Corte di Cassazione.

Avvocato penalista - Droghe, stupefacenti e concetto di lieve entità al fine dell’attenuante in materia di condotta di spaccio, secondo la Corte di Cassazione.
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Avvocato penalista - Droghe, stupefacenti e concetto di lieve entità al fine dell’attenuante in materia di condotta di spaccio, secondo la Corte di Cassazione.
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"" Droga, lieve entità, attenuante. Chiarimenti della Cassazione

Droga, lieve entità, attenuante. Chiarimenti della Cassazione

Suprema Corte di Cassazione III Sezione Penale
Sentenza 10 aprile – 14 maggio 2014, n. 19870
Presidente Teresi – Relatore Gazzara

Con la sentenza che di seguito si riporta la Cassazione ha affrontato un tema molto interessante ovvero ciò che significa, giuridicamente parlando, lieve entità al fine dell’attenuante in materia di condotta di spaccio di stupefacenti.

Secondo la Suprema Corte, infatti, richiamando alcune decisioni sul punto e ribadendone il principio nelle stesse espresso ma anche tenendo presente la sopravvenuta sentenza della Coorte Costituzionale n. 32/2014 (che ha dichiarato la non conformità a Costituzione dei d.L. 272/05, convertito in L. 49/06), ha osservato che il concetto stesso di lieve entità (e dunque la sussistenza dell’attenuante) deve sempre essere complessivamente valutato insieme a tutti gli altri parametri previsti dal. art. 73 comma 5 d.p.r. n. 309/1990 ovverosia valutazione dei mezzi, dei modi e delle circostanze d’azione relative al caso concreto.

Si legge nella sentenza, “La pronuncia della Consulta ha come conseguenza la applicazione nel caso in esame delle fattispecie incriminatrici e del trattamento sanzionatorio previsti dalla precedente normativa, contenuta nel d.P.R. 309/90, con particolare riguardo alla entità della pena da infliggere per i reati concernenti le sostanze incluse nelle tabelle Il e IV, allegate alla legge“.

In particolare, concludono gli ermellini “le condotte di detenzione illecita di sostanza psicotropa qualificata “droga leggera” risultavano, e oggi risultano, punibili con la reclusione da anni 2 ad anni 6, oltre la multa, dunque con pena edittale diversa e minore da quella assunta come riferimento dal giudice di merito, visto che la Corte distrettuale ha ritenuto di non potere effettuare alcun intervento in melius sul trattamento sanzionatorio sul rilievo che il Gip era partito, nel determinare la sanzione, dal minimo edittale di anni 6 di reclusione“. ""

Fonte sentenze-cassazione.com, qui:

http://www.sentenze-cassazione.com/droga-lieve-entita-attenuante-chiarimenti-cassazione/
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Avvocato penalista - Droghe, stupefacenti e concetto di lieve entità al fine dell’attenuante in materia di condotta di spaccio, secondo la Corte di Cassazione.
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martedì 30 dicembre 2014

Avvocato penalista - Il teste ammesso può non escutersi solo quando ricorre la sufficienza di prove e la mancata opposizione alla sua non escussione.

Avvocato penalista - Il teste ammesso può non escutersi solo quando ricorre la sufficienza di prove e la mancata opposizione alla sua non escussione.
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Avvocato penalista - Il teste ammesso può non escutersi solo quando ricorre la sufficienza di prove e la mancata opposizione alla sua non escussione.
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"" Ammissione e non escussione del teste. Sufficienza delle prove

Ammissione e non escussione del teste. Sufficienza delle prove

Suprema Corte di Cassazione V Sezione Penale
Sentenza 20 maggio – 24 luglio 2014, n. 32946
Presidente Savani – Relatore Zaza

La Cassazione, con la sentenza che si riporta al link in fondo all’articolo, ha trattato un caso in cui vi era stata dapprima l’ammissione del teste ma poi quest’ultimo non veniva escusso dal giudice.

La Cassazione ha osservato alcuni aspetti particolari relativi al caso di specie e, in particolare, al fatto che non vi è stata nessuna opposizione per la mancata escussione del teste alla chiusura della fase dibattimentale e la sufficienza delle prove raccolte nel corso del processo i cui capi d’imputazione nei confronti dell’imputato riguardavano i reati di cui agli artt. 594 e 612 c.p. e per i quali veniva ritenuto responsabile e condannato dai giudici territoriali poiché sputando più volte addosso alla parte offesa avrebbe anche detto a quest’ultimo che gli avrebbe reso la vita impossibile minacciando di ucciderlo tagliandogli la testa.

Articolo 594 Codice Penale Ingiuria

Chiunque offende l’onore o il decoro di una persona presente è punito con la reclusione fino a sei mesi o con la multa fino a cinquecentosedici euro.

Alla stessa pena soggiace chi commette il fatto mediante comunicazione telegrafica o telefonica, o con scritti o disegni, diretti alla persona offesa.

La pena è della reclusione fino a un anno o della multa fino a milletrentadue euro, se l’offesa consiste nell’attribuzione di un fatto determinato (4).

Le pene sono aumentate qualora l’offesa sia commessa in presenza di più persone [595-599].

Articolo 612 Codice Penale Minaccia

Chiunque minaccia ad altri un ingiusto danno è punito, a querela della persona offesa, con la multa fino a 1.032 euro.

Se la minaccia è grave, o è fatta in uno dei modi indicati nell’articolo 339, la pena è della reclusione fino a un anno e si procede d’ufficio.

(importi incrementati a norma dell’art. 113, c. 1, l. n. 689/1981. Qualora proceda il giudice di pace si applicano le sanzioni previste ex art. 52, c. 2, lett. a), d.lgs. 28-8-2000, n. 274.) ""

Fonte sentenze-cassazione.com, qui:

http://www.sentenze-cassazione.com/ammissione-non-escussione-teste-sufficienza-delle-prove/
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Avvocato penalista - Il teste ammesso può non escutersi solo quando ricorre la sufficienza di prove e la mancata opposizione alla sua non escussione.
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lunedì 29 dicembre 2014

Avvocato penalista - La Guida in stato di ebbrezza o sotto l'influenza dell'alcool, vietata e punita dall'Art. 186 del C.d.S., prevale rispetto al maltempo.

Avvocato penalista - La Guida in stato di ebbrezza o sotto l'influenza dell'alcool, vietata e punita dall'Art. 186 del C.d.S., prevale rispetto al maltempo.
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Avvocato penalista - La Guida in stato di ebbrezza o sotto l'influenza dell'alcool, vietata e punita dall'Art. 186 del C.d.S., prevale rispetto al maltempo. 
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"" Guida in stato di ebbrezza. Irrilevante il maltempo

Guida in stato di ebbrezza. Irrilevante il maltempo

Suprema Corte di Cassazione Quarta Sezione Penale
Sentenza n. 22669/2014 ud. 27/05/2014 – dep.30/05/2014
Dott. BRUSCO Carlo Giuseppe – Presidente –
Dott. ROMIS Vincenzo – Consigliere –
Dott. DOVERE Salvatore – Consigliere –
Dott. IANNELLO Emilio – Consigliere –
Dott. SERRAO Eugenia – rel. Consigliere -

La Cassazione, con la sentenza che di seguito si riporta, ha esaminato un caso relativo alla guida in stato di ebbrezza e, in particolare, si è soffermata nello spiegare come l’alta percentuale alcolica rinvenuta sul conducente del veicolo che ha provocato l’incidente rende del tutto irrilevanti altre eventuali concause quali ad esempio le condizioni atmosferiche avverse.

Il fatto che piovesse nel momento in cui si è verificato l’incidente non discolpa colui che ha causato l’incidente pertanto, secondo i giudici di Piazza Cavour, non risulta condivisibile “quanto asserito dal ricorrente in merito al fatto che si sarebbe pretesa dall’imputato una prova a discolpa per dirimere una situazione di contraddittorietà probatoria, introducendo sotto l’apparente censura alla motivazione una questione di fatto che si sottrae al giudizio di legittimità, ossia la valutazione della prova” e, motivando il rigetto del ricorso precisano che, con riferimento ai fatti di causa.

“Il giudice di merito ha, in realtà, escluso che l’istruttoria avesse consegnato un esito contraddittorio ed ha ritenuto che, una volta accertato che il veicolo condotto dall’imputato, in stato di ebbrezza alcolica, fosse andato ad urtare una vettura ferma al bordo della strada, la circostanza che al momento del sinistro piovesse non fosse idonea a rendere dubbio il collegamento causale tra lo stato di ebbrezza (rectius tra la condotta colposa del conducente) ed il sinistro, con buon governo del principio di causalità, correttamente richiamato nella pronuncia, secondo il quale, per escludere il collegamento causale tra la condotta dell’agente e l’evento alla stessa materialmente conseguente, è necessario accertare la sopravvenienza di un evento che, inserendosi nell’iter causale, abbia innescato un percorso eziologico completamente diverso rispetto a quello determinato dall’agente ovvero, pur inserendosi nel percorso causale collegato alla condotta, si connoti per l’assoluta anomalia ed eccezionalità (ex multis Sez. 4^, n. 10626 del 19/02/2013, P.C. in proc. Morgando, Rv.256391 Sez. 4^, n. 23309 del 29/04/2011, Cocon, Rv. 250695; Sez. 4^ n. 42502 del 25/09/2009, Begnardi e altri, Rv. 245460, in tema di incidente stradale)”. ""

Fonte sentenze-cassazione.com, qui:

http://www.sentenze-cassazione.com/guida-in-ebbrezza-irrilevante-maltempo/
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Avvocato penalista - La Guida in stato di ebbrezza o sotto l'influenza dell'alcool, vietata e punita dall'Art. 186 del C.d.S., prevale rispetto al maltempo. 
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domenica 28 dicembre 2014

Avvocato penalista - La Violazione degli obblighi di assistenza familiare ovvero il reato previsto e punito dall'Art. 570 del Codice Penale.

Avvocato penalista - La Violazione degli obblighi di assistenza familiare ovvero il reato previsto e punito dall'Art. 570 del Codice Penale.
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Avvocato penalista - La Violazione degli obblighi di assistenza familiare ovvero il reato previsto e punito dall'Art. 570 del Codice Penale.
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"" Violazione degli obblighi di assistenza familiare

Violazione degli obblighi di assistenza familiare

Suprema Corte di Cassazione – Penale VI Sezione
Sentenza del 3 Giugno 2014 n. 23017

La Cassazione, con la sentenza che si riporta al link in fondo all’articolo, ha esaminato un caso relativo all’adempimento dell’obbligo di assicurare i mezzi di sussistenza in favore del genitore affidatario.

Nel caso di specie, la Corte d’Appello di Catania confermava nei confronti dell’imputato la condanna emessa per il reato ex articolo 570 secondo comma del codice penale in quanto veniva riconosciuto colpevole per avere fatto mancare i mezzi di sussistenza alla moglie, dalla quale era separato non per colpa, non versando l’assegno di mantenimento a titolo di contributo per il mantenimento della minore.

La difesa dell’imputato presentava dunque ricorso per Cassazione per i seguenti motivi : – l’eccezione di incompetenza territoriale dei Tribunale di Modica in favore di quello di Ragusa era stata formulata all’udienza di prima trattazione e quindi tempestivamente, differentemente da quanto argomentato dalla Corte d’appello, che aveva disatteso l’eccezione solo con tale infondato rilievo; – insussistenza dello stato di bisogno della donna, nonché della stessa minore alla quale l’imputato non avrebbe fatto mancare nulla.

Piazza Cavour ha ritenuto “errata la risposta della Corte d’appello essendo effettivamente tempestiva l’eccezione di incompetenza territoriale” tuttavia gli ermellini hanno rilevato come detta censura sia comunque “infondata in diritto“.

Circa il secondo motivo la Corte rileva che lo stesso sia in parte inammissibile e in parte infondato e ribadisce un principio già affermato in precedenti sentenze secondo cui «l’adempimento dell’obbligo di assicurare i mezzi di sussistenza non può che concretizzarsi con la messa a disposizione – continuativa, regolare e certa, che non lasci pause o inadeguatezze – dei mezzi economici in favore del genitore affidatario, responsabile immediato di una ‘gestione’ ordinata delle quotidiane esigenze di ‘sussistenza’ del minore; o, quantomeno, con la contribuzione autonoma ma in accordo, nei suoi contenuti, con il genitore affidatario».

Infatti, continua la Corte “i contributi economici materiali che, pur comportando impegno di risorse a vantaggio mediato del minore, non siano armonici al coordinamento delle sue esigenze primarie, non sono idonei all’adempimento dell’obbligo: si pensi a spese, da parte del genitore non affidatario, voluttuarie e comunque superflue o non indispensabili, pur in favore del minore (come le regalie invocate nella prospettazione difensiva), che intervengano in presenza di difficoltà, da parte del genitore affidatario, nell’assicurare il quotidiano soddisfacimento delle esigenze primarie: vitto adeguato, alloggio confortevole, scuola, sanità.

E’ indubbio che tali esigenze primarie, perché tali, debbono essere assolte prioritariamente, sicchè ogni regalia occasionale da parte del genitore obbligato che si ponga, come nella fattispecie ricostruita dai Giudici del merito, in alternativa alla regolare contribuzione per concorrere, per la propria parte, a sollevare il minore dalle naturali permanenti esigenze di sostentamento, è assolutamente irrilevante“.

Articolo 570 Codice Penale Violazione degli obblighi di assistenza familiare

Chiunque, abbandonando il domicilio domestico, o comunque serbando una condotta contraria all’ordine o alla morale delle famiglie, si sottrae agli obblighi di assistenza inerenti alla potestà dei genitori [c.c. 147, 316], [alla tutela legale] o alla qualità di coniuge [c.c. 143, 146], è punito con la reclusione fino a un anno o con la multa da centotre euro a milletrentadue euro.

Le dette pene si applicano congiuntamente a chi:

1) malversa o dilapida i beni del figlio minore [c.c. 2] o del coniuge;

2) fa mancare i mezzi di sussistenza ai discendenti [540; c.c. 75] di età minore [c.c. 2], ovvero inabili al lavoro, agli ascendenti [c.c. 540; 75] o al coniuge, il quale non sia legalmente separato per sua colpa.

Il delitto è punibile a querela della persona offesa salvo nei casi previsti dal numero 1 e, quando il reato è commesso nei confronti dei minori, dal numero 2 del precedente comma.

Le disposizioni di questo articolo non si applicano se il fatto è preveduto come più grave reato da un’altra disposizione di legge. ""

Fonte sentenze-cassazione.com, qui:

http://www.sentenze-cassazione.com/violazione-degli-obblighi-assistenza-familiare/
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Avvocato penalista - La Violazione degli obblighi di assistenza familiare ovvero il reato previsto e punito dall'Art. 570 del Codice Penale.
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sabato 27 dicembre 2014

Avvocato penalista - Commette Furto (Art. 624 C.P.), e non Appropriazione indebita (Art. 646 C.P.), il parcheggiatore abusivo che scappa con l'auto.

Avvocato penalista - Commette Furto (Art. 624 C.P.), e non Appropriazione indebita (Art. 646 C.P.), il parcheggiatore abusivo che scappa con l'auto.

Personalmente, rilevo che nel caso vagliato si è trattato soltanto di una volgare truffa, atteso che le specifiche modalità di commissione del fatto reato integrano pienamente gli elementi costitutivi del reato di Truffa (Art. 640 C.P.), non potendosi certo disconoscere che lo spacciarsi per parcheggiatore da parte di un ladro non concreti gli artifizi o raggiri previsti dall'Art. 640 C.P.

L'Art. 640 del Codice Penale, intitolato alla Truffa, infatti, prevede e stabilisce che:
 
Chiunque, con artifizi o raggiri, inducendo taluno in errore, procura a sé o ad altri un ingiusto profitto con altrui danno, è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni e con la multa da cinquantuno euro a milletrentadue euro.
 
La pena è della reclusione da uno a cinque anni e della multa da trecentonove euro a millecinquecentoquarantanove euro:
 
1) se il fatto è commesso a danno dello Stato o di un altro ente pubblico o col pretesto di far esonerare taluno dal servizio militare;
 
2) se il fatto è commesso ingenerando nella persona offesa il timore di un pericolo immaginario o l'erroneo convincimento di dovere eseguire un ordine dell'Autorità.
 
2 bis) se il fatto è commesso in presenza della circostanza di cui all’articolo 61, numero 5).
 
Il delitto è punibile a querela della persona offesa, salvo che ricorra taluna delle circostanze previste dal capoverso precedente o un'altra circostanza aggravante.
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Avvocato penalista - Commette Furto (Art. 624 C.P.), e non Appropriazione indebita (Art. 646 C.P.), il parcheggiatore abusivo che scappa con l'auto.
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"" Se il posteggiatore scappa con l’auto commette furto o appropriazione indebita?
 
Se il posteggiatore scappa con l’auto commette furto o appropriazione indebita?
 
Suprema Corte di Cassazione II Sezione Penale
Sentenza 12 marzo – 29 aprile 2014, n. 17957
Presidente Marasca – Relatore Demarchi Albengo
 
Nella scena del film “Scuola di ladri” (diretto da Neri Parenti 1986), Paolo Villaggio, Lino Banfi e Massimo Boldi (rispettivamente Dalmazio, Amalio ed Egisto Siraghi) tra le varie prove del “tirocinio” per diventare “veri ladri” come lo zio Aliprando Siraghi (Enrico Maria Salerno), devono rubare delle auto fingendosi parcheggiatori.
 
Al cinema una scena del genere interpretata dai succitati attori farà sicuramente morir dal ridere ma se vi dicessi che fatti del genere sono più comuni di quel che si possa pensare e che le prossime vittime potreste essere voi… c’è poco da ridere vero?
 
Il ladro è sempre al posto giusto e pronto ad agire e nei film a volte basta portare un cappello con visiera e attendere qualche minuto fuori da un lussuoso hotel oppure da un elegante ristorante per ritrovarsi in mano le chiavi dei clienti. Troppo semplice è vero ma succede anzi il più delle volte, le auto vengono rubate con “astuzia” e non con lo scasso.
 
Il caso che ha trattato la Corte di Cassazione con la sentenza in commento, riguarda proprio il furto di un’automobile e, dal punto di vista del diritto, appare molto interessante la decisione che è stata presa dai giudici di Piazza Cavour perchè chiarisce alcune differenze tra il reato di furto e quello di appropriazione indebita.
 
Articolo 624 Codice Penale Furto
 
Chiunque s’impossessa della cosa mobile altrui, sottraendola a chi la detiene, al fine di trarne profitto per sé o per altri, è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni e con la multa da centocinquantaquattro euro a cinquecentosedici euro [625, 626, 649].
 
Agli effetti della legge penale, si considera cosa mobile anche l’energia elettrica e ogni altra energia che abbia un valore economico [c.c. 814; c. nav. 1148].
 
Il delitto è punibile a querela della persona offesa, salvo che ricorra una o più delle circostanze di cui agli articoli 61, n. 7 e 625.
 
Articolo 646 Codice Penale Appropriazione indebita
 
Chiunque, per procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto, si appropria il denaro o la cosa mobile altrui di cui abbia, a qualsiasi titolo, il possesso, è punito, a querela della persona offesa [120], con la reclusione fino a tre anni e con la multa fino a milletrentadue euro.
 
Se il fatto è commesso su cose possedute a titolo di deposito necessario [c.c. 1783-1797], la pena è aumentata.
 
Si procede d’ufficio [c. nav. 1144-1146], se ricorre la circostanza indicata nel capoverso precedente o taluna delle circostanze indicate nel numero 11 dell’articolo 61 [649]
 
Nel caso di specie, un posteggiatore abusivo, con la scusa di parcheggiare l’autovettura, sottraeva il veicolo alla legittima proprietaria.
 
Il ricorrente sosteneva che il tribunale abbia erroneamente applicato l’articolo 646 del codice penale, ritenendo che la fattispecie contestata integrasse il reato di furto invece che quello di appropriazione indebita.
 
Il tribunale ha ritenuto che l’assoluta illiceità della causa del contratto intervenuto tra l’indagato e la persona offesa rendesse impossibile l’interversione del possesso che si richiede per la configurabilità dei delitto di cui all’articolo 646 cod. pen.
 
Il ricorrente riteneva che la nozione di possesso accolta dal diritto penale fosse più ampia di quella civilistica ed includesse anche chi abbia solo la detenzione, a qualsiasi titolo, del bene, purché esplicantesi al di fuori della diretta vigilanza del proprietario; poiché la persona offesa aveva dato spontaneamente e consapevolmente le chiavi della vettura all’indagato, così facendo gli aveva attribuito la piena disponibilità sul bene, per cui nessun rilievo può avere la causa illecita del negozio. ""
 
Fonte sentenze-cassazione.com, qui:
 
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Avvocato penalista - Commette Furto (Art. 624 C.P.), e non Appropriazione indebita (Art. 646 C.P.), il parcheggiatore abusivo che scappa con l'auto.
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venerdì 26 dicembre 2014

Avvocato penalista - E' reo di Lesioni personali colpose, Articolo 590 del Codice Penale, il padrone di un cane pitbull, se non ne impedisce l'aggressività.

Avvocato penalista - E' reo di Lesioni personali colpose, Articolo 590 del Codice Penale, il padrone di un cane pitbull, se non ne impedisce l'aggressività.
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Avvocato penalista - E' reo di Lesioni personali colpose, Articolo 590 del Codice Penale, il padrone di un cane pitbull, se non ne impedisce l'aggressività.
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L'Articolo 590 del Codice Penale, intitolato alle Lesioni personali colpose, infatti, prevede e stabilisce che:

Chiunque cagiona ad altri, per colpa, una lesione personale è punito con la reclusione fino a tre mesi o con la multa fino a trecentonove euro.

Se la lesione è grave, la pena è della reclusione da uno a sei mesi o della multa da centoventitre euro a seicentodiciannove euro; se è gravissima, della reclusione da tre mesi a due anni o della multa da trecentonove euro a milleduecentotrentanove euro.

Se i fatti di cui al precedente capoverso sono commessi con violazione delle norme sulla disciplina della circolazione stradale o di quelle per la prevenzione degli infortuni sul lavoro, la pena per le lesioni gravi è reclusione da tre mesi a un anno o della multa da euro 500 a euro 2.000 e la pena per le lesioni gravissime è della reclusione da uno a tre anni.

Nei casi di violazione delle norme sulla circolazione stradale, se il fatto è commesso da soggetto in stato di ebbrezza alcolica ai sensi dell'articolo 186, comma 2, lettera c), del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285, e successive modificazioni, ovvero da soggetto sotto l'effetto di sostanze stupefacenti o psicotrope, la pena per le lesioni gravi è della reclusione da sei mesi a due anni e la pena per le lesioni gravissime è della reclusione da un anno e sei mesi a quattro anni.

Nel caso di lesioni di più persone si applica la pena che dovrebbe infliggersi per la più grave delle violazioni commesse, aumentata fino al triplo; ma la pena della reclusione non può superare gli anni cinque.

Il delitto è punibile a querela della persona offesa, salvo nei casi previsti nel primo e secondo capoverso, limitatamente ai fatti commessi con violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro o relative all'igiene del lavoro o che abbiano determinato una malattia professionale.

"" Lesioni colpose se il pitbull aggredisce un bagnante

Lesioni colpose se il pitbull aggredisce un bagnante
Suprema Corte di Cassazione Penale Quarta Sezione
Sentenza del 29 Maggio 2014, N. 22229

La Corte di Cassazione, con la sentenza che si riporta al link in fondo all’articolo ha affermato che scatta il reato di lesioni colpose nei confronti del proprietario del cane (nel caso di specie un pitbull) nel caso in cui l’animale riesca a raggiungere un bagnante e ad aggredirlo alle spalle.

I fatti di causa ricostruiti dai giudici territoriali : le persone offese, mentre si trovavano in un lido di una località balneare erano raggiunti da un ragazzo e da una ragazza che portavano con loro un cane di razza pitbull privo di museruola.

Mentre una delle parti offese faceva il bagno, è stato raggiunto a nuoto e aggredito dal suddetto cane, riportando lesioni personali.

Il giovane che portava con sé il cane rifiutava di fornire le proprie generalità e, per il tramite del numero di targa dell’autovettura a bordo della quale costui si era allontanato, si risaliva all’identità del medesimo (anche se, in seguito all’episodio, la parte offesa ha rappresentato che questo si era recato più volte a visitarlo sia durante la permanenza presso l’ospedale che sul luogo di lavoro).

Secondo gli ermellini, in base a quanto emerso chiaramente dagli atti e dalla sentenza impugnata la colpevolezza dell’imputato “consiste nella mancata adeguata custodia dell’animale, custodia che gli competeva in qualità di proprietario“. ""

Fonte sentenze-cassazione.com, qui:

http://www.sentenze-cassazione.com/lesioni-colpose-se-pitbull-aggredisce-bagnante/
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Avvocato penalista - E' reo di Lesioni personali colpose, Articolo 590 del Codice Penale, il padrone di un cane pitbull, se non ne impedisce l'aggressività.
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giovedì 25 dicembre 2014

Avvocato penalista - Il reato di Maltrattamenti in famiglia o verso i fanciulli, di cui all'Articolo 572 del Codice Penale, si concreta anche per le violenze psicologiche e non solo per le violenze fisiche.

Avvocato penalista - Il reato di Maltrattamenti in famiglia o verso i fanciulli, di cui all'Articolo 572 del Codice Penale, si concreta anche per le violenze psicologiche e non solo per le violenze fisiche.
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Avvocato penalista - Il reato di Maltrattamenti in famiglia o verso i fanciulli, di cui all'Articolo 572 del Codice Penale, si concreta anche per le violenze psicologiche e non solo per le violenze fisiche.
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"" Maltrattamenti in famiglia. Violenze fisiche e psicologiche

Maltrattamenti in famiglia. Violenze fisiche e psicologiche

Suprema Corte di Cassazione VI Sezione Penale
Sentenza 19 marzo – 13 maggio 2014, n. 19674
Presidente De Roberto – Relatore De Amicis

La quarta sezione penale della Suprema Corte di Cassazione, con la sentenza che di seguito si riporta, in materia di maltrattamenti in famiglia, ha affermato la rilevanza penale per la configurazione del reato in commento, non solo delle “percosse, lesioni, minacce privazioni ed umiliazioni imposte alla vittima ma anche gli atti di disprezzo e di offesa arrecati alla sua dignità che si risolvano nell’inflizione di vere e proprie sofferenze morali (Sez. 6, n. 44700 dei 08/10/2013, dep. 06/11/2013, Rv. 256962)”.

In poche parole, col suddetto principio, già affermato dalla Corte in diversi precedenti, si chiarisce in maniera cristallina che “il reato di maltrattamenti in famiglia è integrato dalla condotta dell’agente che sottopone la moglie ad atti di vessazione reiterata e tali da cagionarle sofferenza, prevaricazione ed umiliazioni, in quanto costituenti fonti di uno stato di disagio continuo ed incompatibile con normali condizioni di esistenza (Sez. 6, n. 55 del 08/11/2002, dep. 08/01/2003, Rv. 223192).“

Articolo 572 Codice Penale Maltrattamenti in famiglia o verso fanciulli

Chiunque, fuori dei casi indicati nell’articolo precedente, maltratta una persona della famiglia [540], o un minore degli anni quattordici, o una persona sottoposta alla sua autorità, o a lui affidata per ragione di educazione, istruzione, cura, vigilanza o custodia, o per l’esercizio di una professione o di un’arte, è punito con la reclusione da uno a cinque anni.

Se dal fatto deriva una lesione personale grave [583], si applica la reclusione da quattro a otto anni; se ne deriva una lesione gravissima [583 2], la reclusione da sette a quindici anni; se ne deriva la morte, la reclusione da dodici a venti anni. ""

Fonte sentenze-cassazione.com, qui:

http://www.sentenze-cassazione.com/maltrattamenti-in-famiglia-violenze-fisiche-psicologiche/
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Avvocato penalista - Il reato di Maltrattamenti in famiglia o verso i fanciulli, di cui all'Articolo 572 del Codice Penale, si concreta anche per le violenze psicologiche e non solo per le violenze fisiche.
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mercoledì 24 dicembre 2014

Avvocato penalista - Assumere un minore come bagnino integra il reato di cui agli Artt. 81, cpv 8, comma 1, e 26, comma 2, della legge n°. 977/1967, come modificati dagli Artt. 9 e 14 del D. Lvo n°. 345/1999.

Avvocato penalista - Assumere un minore come bagnino integra il reato di cui agli Artt. 81, cpv 8, comma 1, e 26, comma 2, della legge n°. 977/1967, come modificati dagli Artt. 9 e 14 del D. Lvo n°. 345/1999.
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Avvocato penalista - Assumere un minore come bagnino integra il reato di cui agli Artt. 81, cpv 8, comma 1, e 26, comma 2, della legge n°. 977/1967, come modificati dagli Artt. 9 e 14 del D. Lvo n°. 345/1999.
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"" Penale, minore che lavora come bagnino

Penale, minore che lavora come bagnino

Suprema Corte di Cassazione III Sezione Penale
Sentenza 30 gennaio – 14 maggio 2014, n. 19848
Presidente Fiale – Relatore Orilia

La Cassazione, con la sentenza che si riporta in fondo alla pagina, ha esaminato il caso di due minori che lavoravano come bagnini presso una struttura balneare.

In primo grado, il proprietario della struttura veniva dichiarato colpevole della contravvenzione di cui agli artt. 81 cpv, 8 comma 1 e 26 comma 2 della legge n. 977/1967 (come modificati dagli artt. 9 e 14 del D. Lvo 345/1999) per avere, quale titolare di uno stabilimento balneare, in tempi diversi ed in esecuzione del medesimo disegno criminoso, assunto due minori con le mansioni di bagnino senza sottoporli a preventiva visita medica al fine di stabilire l’idoneità psicofisica all’attività lavorativa cui sarebbero stati adibiti.

Ha motivato la decisione sulla base della deposizione resa dall’Ispettore del Lavoro che aveva eseguito il sopralluogo.

E’ stato proposto ricorso per Cassazione dal difensore dell’imputata denunziando con unico motivo, l’inosservanza della legge penale e di altre norme giuridiche di cui si deve tener conto nell’applicazione della legge penale: rileva in particolare che il possesso delle condizioni psicofisiche costituisce un accertamento propedeutico al rilascio del brevetto di bagnino e che tale accertamento è stato delegato dallo Stato alla Società Nazionale di Salvamento, ente morale ONLUS.

Non si comprende, dunque, come potrebbe essere rilasciato un titolo specifico senza accertamenti altrettanto specifici, relativi alla verifica della sussistenza delle condizioni per il rilascio.

Secondo il ricorrente il Tribunale ha disatteso anche l’efficacia dei poteri dello Stato delegati alla Società Nazionale di Salvamento e addirittura il precetto costituzionale dell’art. 45. ""

Fonte sentenze-cassazione.com, qui:

http://www.sentenze-cassazione.com/penale-minore-lavora-come-bagnino/
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Avvocato penalista - Assumere un minore come bagnino integra il reato di cui agli Artt., 81, cpv 8, comma 1, e 26, comma 2, della legge n°. 977/1967, come modificati dagli Artt. 9 e 14 del D. Lvo n°. 345/1999.
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martedì 23 dicembre 2014

Avvocato penalista - E' Falsità ideologica commessa dal pubblico ufficiale in atti pubblici, Art. 479 del Codice Penale, creare un registro del professore contenente dati difformi rispetto ai dati del registro di classe.

Avvocato penalista - E' Falsità ideologica commessa dal pubblico ufficiale in atti pubblici, Art. 479 del Codice Penale, creare un registro del professore contenente dati difformi rispetto ai dati del registro di classe.
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Avvocato penalista - E' Falsità ideologica commessa dal pubblico ufficiale in atti pubblici, Art. 479 del Codice Penale, creare un registro del professore contenente dati difformi rispetto ai dati del registro di classe.
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"" Professore Vs Alunni, il registro di classe e quello del professore

Il registro di classe e quello del professore

Falsità ideologica commessa dal pubblico ufficiale in atti pubblici

Suprema Corte di Cassazione V Sezione Penale
Sentenza 8 aprile – 4 giugno 2014, n. 23237
Presidente Oldi – Relatore Demarchi Albengo

La Corte di Cassazione si è occupata di un caso molto particolare che interesserà tutti gli scolari che non hanno un buon rapporto coi loro professori.

Nella sentenza in commento, i giudici di Piazza Cavour hanno esaminato il caso di un docente di una scuola superiore che era stato indagato per il reato di cui all’articolo 479 del codice penale “per aver, in qualità di docente, formato un falso registro di fisica” apponendo nei confronti di un alunno una scarsa valutazione (voto 3) in una data in cui il succitato alunno risultava indicato nel registro di classe come assente.

Il docente veniva indagato anche perchè a carico dell’alunno, a scrutini già conclusi, aveva apposto detto voto insufficiente.

Il G.U.P. di Crotone, ha deciso di non procedere nei confronti dell’imputato e “dichiarava non luogo a procedere nei confronti dell’imputato perché il fatto non sussiste” in quanto dal registro di classe e dalle dichiarazioni rilasciate dal Dirigente scolastico, emergeva che nel giorno in cui è stato apposto il voto insufficiente all’alunno quest’ultimo fosse entrato in classe in ritardo e, pertanto, non risultava assente durante il giorno in cui era stato registrato il voto.

La persona offesa proponeva dunque ricorso per Cassazione lamentando l’inosservanza ed erronea applicazione della legge penale in quanto “il giudicante non avrebbe effettuato alcuna valutazione sulle motivazioni per le quali l’istituto scolastico non ha mai fornito il cosiddetto registro di classe, sia al pubblico ministero che alla persona offesa, né ha dato spiegazioni in merito all’esistenza di due registri attestanti le assenze ed i ritardi, nonché adeguata motivazione in merito alla diversità di indicazione degli stessi“.

Inoltre, lamentava anche “la mancanza della motivazione in ordine all’ipotesi di reato contestata all’imputato, circa l’apposizione, a scrutini già conclusi“.

Secondo i Supremi Giudici “il ricorso della parte civile è fondato; manca, infatti, nella sentenza una valutazione circa la possibilità che nel giudizio dibattimentale venissero approfondite e chiarite le prove disponibili, al fine di sciogliere i dubbi circa le riscontrate contraddittorietà, non solo documentali“.

Si legge nelle motivazioni della sentenza che “il giudice di merito non prende posizione sull’esistenza di più registri, sulla loro contraddittorietà e sul fatto che l’insegnante, giustificando tale condotta inusuale con una motivazione apparentemente inconsistente, tenesse un registro a casa propria.

Pertanto, a parere della Corte, che ha annullato la sentenza impugnata rinviando tutto al Tribunale di Crotone per un nuovo esame, “sussiste il lamentato ed assoluto difetto di motivazione in ordine al secondo fatto di reato contestato e cioè quello relativo all’apposizione, a scrutini già conclusi, della ulteriore valutazione espressa nei confronti della persona offesa“

Articolo 479 Codice Penale Falsità ideologica commessa dal pubblico ufficiale in atti pubblici

Il pubblico ufficiale, che ricevendo o formando un atto nell’esercizio delle sue funzioni, attesta falsamente che un fatto è stato da lui compiuto o è avvenuto alla sua presenza, o attesta come da lui ricevute dichiarazioni a lui non rese, ovvero omette o altera dichiarazioni da lui ricevute, o comunque attesta falsamente fatti dei quali l’atto è destinato a provare la verità, soggiace alle pene stabilite nell’art. 476 [487, 493] ""

Fonte sentenze-cassazione.com, qui:

http://www.sentenze-cassazione.com/professore-vs-alunni-registro-classe-professore/
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Avvocato penalista - E' Falsità ideologica commessa dal pubblico ufficiale in atti pubblici, Art. 479 del Codice Penale, creare un registro del professore contenente dati difformi rispetto ai dati del registro di classe.
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lunedì 22 dicembre 2014

Avvocato penalista - Molestia o disturbo alle persone ossia il reato di cui all'Articolo 660 del Codice Penale e quando è reato abituale o reato continuato.


Avvocato penalista - Molestia o disturbo alle persone ossia il reato di cui all'Articolo 660 del Codice
Penale e quando è reato abituale o reato continuato.
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Avvocato penalista - Molestia o disturbo alle persone ossia il reato di cui all'Articolo 660 del Codice Penale e quando è reato abituale o reato continuato.  
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"" Molestie, discrimine tra reato continuato e reato abituale
 
Molestie, discrimine tra reato continuato e reato abituale
 
Suprema Corte di Cassazione I Sezione Penale
Sentenza 29 aprile – 5 giugno 2014, n. 23619
Presidente Cortese – Relatore Zampetti
 
Con la sentenza che di seguito si riporta, la Cassazione ha trattato alcuni interessanti aspetti relativi al reato di molestie.
 
In particolare, con riferimento al reato di cui sopra, la Corte si è preoccupata di distinguere tra reato continuato e reato abituale.
 
Gli ermellini hanno dunque affermato che “il reato di molestie non è necessariamente abituale, potendo essere realizzato anche con una sola azione, di tal che la reiterazione delle azioni di disturbo ben può configurare ipotesi di continuazione (v. Rv. 248982, 247960; ecc.).
 
Peraltro tale impostazione di carattere generale non impedisce di rilevare che, in fatto, la vicenda concreta si sia snodata con caratteristiche tali da rendere la condotta abituale ed integrante il reato solo nella globalità unitaria delle condotte“.
 
“Nella fattispecie – continuano i supremi giudici – ciò si rende evidente considerando che si trattò di tre episodi racchiusi nel breve giro di due mesi.
 
Tanto ritenuto, occorre escludere la ritenuta continuazione.
 
Ciò comporta l’eliminazione della frazione di pena, un mese di arresto, irrogata a tale titolo; in definitiva la pena finale viene ad essere determinata in mesi tre di arresto, fermo il resto”.
 
Articolo 660 Codice Penale Molestia o disturbo alle persone
 
Chiunque, in un luogo pubblico o aperto al pubblico, ovvero col mezzo del telefono, per petulanza o per altro biasimevole motivo, reca a taluno molestia o disturbo è punito con l’arresto fino a sei mesi o con l’ammenda fino a euro 516 [c.p. 659]. ""
 
Fonte sentenze-cassazione.com, qui:
 
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Avvocato penalista - Molestia o disturbo alle persone ossia il reato di cui all'Articolo 660 del Codice Penale e quando è reato abituale o reato continuato.  
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domenica 21 dicembre 2014

Avvocato penalista - Il divieto di intercettazioni di conversazioni o comunicazioni tra avvocato e indagato, Artt. 103 e 271 c.p.p., riguarda solo le conversazioni e le comunicazioni che attengono alla funzione difensiva.

Avvocato penalista - Il divieto di intercettazioni di conversazioni o comunicazioni  tra avvocato e indagato, Artt. 103 e 271 c.p.p.,  riguarda solo  le conversazioni  e le comunicazioni  che attengono alla funzione difensiva.
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Avvocato penalista - Il divieto di intercettazioni di conversazioni o comunicazioni  tra avvocato e indagato, Artt. 103 e 271 c.p.p., riguarda solo  le conversazioni  e le comunicazioni  che attengono alla funzione difensiva.
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"" Intercettazione telefonica tra avvocato e indagato

Intercettazione telefonica tra avvocato e indagato

Suprema Corte di Cassazione II Sezione Penale
Sentenza 29 maggio – 18 giugno 2014, n. 26323
Presidente Gentile – Relatore Rago

La Corte di Cassazione, con la sentenza che si riporta, ha esaminato un caso relativo all’utilizzabilità della conversazione telefonica intercorsa tra un indagato e il proprio difensore, che lo assisteva in una causa di separazione, in cui l’uomo confessava di aver commesso i fatti per cui era indagato.

Va rammentato che la ratio del divieto di intercettazioni di conversazioni di cui all’art. 103 cod. proc. pen. va rinvenuta nella tutela dell’esercizio della funzione difensiva e, quindi, di un diritto costituzionalmente protetto: da qui il divieto di utilizzabilità previsto dal combinato disposto degli artt. 103/7 e 271 cod. proc. pen.

Di conseguenza, i requisiti perché possa essere fatta valere la suddetta inutilizzabilità è necessario che il difensore venga a conoscenza dei fatti a causa dell’esercizio delle funzioni difensive o della propria professione (Cass. 17979/2013 riv 255516) e sempre che attengano alla funzione esercitata (SSUU 25/1993 riv 195628).

Pertanto, poiché “il divieto in questione non riguarda indiscriminatamente tutte le conversazioni di chi rivesta la qualità di difensore e per il solo fatto di tale qualifica” (SSUU cit.), a contrario, il divieto in esame non è invocabile:

a) se la conversazione non sia pertinente all’attività professionale svolta: Cass. 2951/2007 riv 238441.

b) se la conversazione integra essa stessa un’ipotesi di reato: Cass. 35656/2003 riv 226659.

Ricorda la Corte che “Non ogni colloquio fra cliente e difensore, può essere qualificato come rientrante nell’ambito del mandato difensivo, ma solo quello che, in considerazione del contenuto complessivo della conversazione, possa far ritenere che l’avvocato, in quell’occasione, abbia svolto il suo tipico ruolo di difensore, ruolo che si esplica, come correttamente rilevato dal ricorrente, in consigli, strategie difensive, richieste di chiarimenti ecc..“

Secondo la Corte, “proprio perché la fattispecie è singolare, trattandosi di un colloquio intercorso fra soggetti pacificamente legati anche da un rapporto di amicizia o comunque di familiarità sicuramente esulante dal semplice rapporto professionale che lega il difensore al cliente il Tribunale avrebbe dovuto meglio valutare:

a) se il lungo monologo dell’indagato fosse finalizzato ad ottenere consigli difensivi dall’amico avvocato, o, non fosse, piuttosto, una mera manifestazione del profondo rancore che nutriva nei confronti della moglie, confidenza che avrebbe potuto fare a chiunque altri con cui fosse in stretti rapporti di amicizia;

b) se le (rare) risposte date dall’avvocato, fossero di natura professionale (e, quindi, rientranti nell’ambito del mandato difensivo) oppure avessero una mera natura consolatoria ed “amicale” a fronte delle confidenze ricevute.

In conclusione, alla stregua di quanto appena illustrato, l’ordinanza va annullata e gli atti trasmessi al tribunale il quale, nel nuovo esame, si atterrà al seguente principio di diritto:

“In tema di garanzie di libertà dei difensori previste dall’art. 103 cod. proc. pen., il divieto di intercettazioni di conversazioni o comunicazioni non riguarda indiscriminatamente tutte le conversazioni di chi rivesta la qualità di difensore e per il solo fatto di tale qualifica, ma solo le conversazioni che attengono alla funzione esercitata.

Di conseguenza, nell’ipotesi in cui venga intercettato un colloquio fra l’indagato ed un avvocato legati da uno stretto rapporto di amicizia e familiarità, il giudice, al fine di stabilire se quel colloquio sia o no utilizzabile, all’esito di un esame globale ed unitario dell’intera conversazione, deve valutare:

a) se quanto detto dall’indagato sia finalizzato ad ottenere consigli difensivi, o, non sia, piuttosto, una mera confidenza che potrebbe essere fatta a chiunque altri con cui si trovi in stretti rapporti di amicizia;

b) se quanto detto dall’avvocato sia di natura professionale (e, quindi, rientrante nell’ambito del mandato difensivo) oppure abbia una mera natura consolatoria ed amicale a fronte delle confidenze ricevute”.

Articolo 103 Codice di Procedura Penale Garanzie di libertà del difensore

1. Le ispezioni [244 c.p.p.] e le perquisizioni [247 c.p.p.] negli uffici dei difensori sono consentite solo:

a) quando essi o altre persone che svolgono stabilmente attività nello stesso ufficio sono imputati [60, 61 c.p.p.], limitatamente ai fini dell’accertamento del reato loro attribuito;

b) per rilevare tracce o altri effetti materiali del reato o per ricercare cose o persone specificamente predeterminate.

2. Presso i difensori e gli investigatori privati autorizzati e incaricati in relazione al procedimento, nonché presso i consulenti tecnici [225 c.p.p.] non si può procedere a sequestro [253 c.p.p.] di carte o documenti relativi all’oggetto della difesa, salvo che costituiscano corpo del reato.

3. Nell’accingersi a eseguire una ispezione, una perquisizione o un sequestro nell’ufficio di un difensore, l’autorità giudiziaria a pena di nullità [177-186 c.p.p.] avvisa il consiglio dell’ordine forense del luogo perché il presidente o un consigliere da questo delegato possa assistere alle operazioni. Allo stesso, se interviene e ne fa richiesta, è consegnata copia del provvedimento.

4. Alle ispezioni, alle perquisizioni e ai sequestri negli uffici dei difensori procede personalmente il giudice ovvero, nel corso delle indagini preliminari, il pubblico ministero in forza di motivato decreto di autorizzazione del giudice.

5. Non è consentita l’intercettazione relativa a conversazioni o comunicazioni [266 c.p.p.] dei difensori, degli investigatori privati autorizzati e incaricati in relazione al procedimento, dei consulenti tecnici e loro ausiliari, né a quelle tra i medesimi e le persone da loro assistite.

6. Sono vietati il sequestro e ogni forma di controllo della corrispondenza [254 c.p.p.] tra l’imputato e il proprio difensore in quanto riconoscibile dalle prescritte indicazioni, salvo che l’autorità giudiziaria abbia fondato motivo di ritenere che si tratti di corpo del reato.

7. Salvo quanto previsto dal comma 3 e dall’articolo 271, i risultati delle ispezioni, perquisizioni, sequestri, intercettazioni di conversazioni o comunicazioni, eseguiti in violazione delle disposizioni precedenti, non possono essere utilizzati [191 c.p.p.]

Articolo 271 Codice di Procedura Penale Divieti di utilizzazione

1. I risultati delle intercettazioni non possono essere utilizzati [191] qualora le stesse siano state eseguite fuori dei casi consentiti dalla legge o qualora non siano state osservate le disposizioni previste dagli articoli 267 e 268 commi 1 e 3. 2.

Non possono essere utilizzate [191] le intercettazioni relative a conversazioni o comunicazioni delle persone indicate nell’articolo 200 comma 1, quando hanno a oggetto fatti conosciuti per ragione del loro ministero, ufficio o professione, salvo che le stesse persone abbiano deposto sugli stessi fatti o li abbiano in altro modo divulgati [103]. 3. In ogni stato e grado del processo il giudice dispone che la documentazione delle intercettazioni previste dai commi 1 e 2 sia distrutta, salvo che costituisca corpo del reato[253 2]. ""

Fonte sentenze-cassazione.com, qui:

http://www.sentenze-cassazione.com/intercettazione-telefonica-avvocato-indagato/
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Avvocato penalista - Il divieto di intercettazioni di conversazioni o comunicazioni  tra avvocato e indagato, Artt. 103 e 271 c.p.p., riguarda solo  le conversazioni  e le comunicazioni  che attengono alla funzione difensiva.
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sabato 20 dicembre 2014

Avvocato penalista - Educare con violenza fisica sul minore è Abuso dei mezzi di correzione o di disciplina ossia il reato di cui all'Art. 571 del Codice Penale.

Avvocato penalista - Educare con violenza fisica sul minore è Abuso dei mezzi di correzione o di disciplina ossia il reato di cui all'Art. 571 del Codice Penale.
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Avvocato penalista - Educare con violenza fisica sul minore è Abuso dei mezzi di correzione o di disciplina ossia il reato di cui all'Art. 571 del Codice Penale.
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"" Educatore e violenza fisica su minore

Educatore e violenza fisica su minore

Corte di Cassazione Sezione Quinta Penale
sentenza 16 maggio – 16 giugno 2014, n. 25790

Vietato educare utilizzando dei metodi violenti nei confronti dei minori. Sembra qualcosa di scontato da dire ma forse ancora non tutti la pensano in questo modo e, pertanto, la Cassazione, con la sentenza che si riporta al link in fondo alla pagina, ha dovuto ribadire tale principio, già più volte espresso in altre decisioni.

L’impugnante lamenta il mancato riconoscimento dell’esimente dell’esercizio di un diritto, ossia del diritto proprio dell’educatore a realizzare la correzione e la disciplina del minore affidatogli, in un caso nel quale non solo lo jus corrigendi, ossia l’uso di mezzi leciti di correzione, è stato escluso dal giudice del merito ma, per di più, è stato escluso anche l’abuso dei mezzi leciti di correzione e disciplina (articolo 571 c.p. originariamente contestato) per far luogo all’addebito del reato di violenza privata, la cui integrazione presuppone il ricorso a mezzi illeciti, sia pure per pretese finalità educative.

Resta infatti insuperato il principio più volte ribadito dalla giurisprudenza di legittimità ‐ al quale la sentenza impugnata si è perfettamente allineata ((Sez. 6, Sentenza n. 4904 del 18/03/1996 Ud. (dep. 16/05/1996 ) Rv. 205033; Sez. 5, Sentenza n. 10841 del 09/05/1986 Ud. (dep. 14/10/1986 ) Rv. 173956) - secondo cui, relativamente a minori, il termine “correzione” va assunto come sinonimo di educazione, con riferimento ai connotati intrinsecamente conformativi di ogni processo educativo.

E non può ritenersi tale l’uso della violenza finalizzato a scopi educativi: ciò sia per il primato che l’ordinamento attribuisce alla dignità della persona, anche del minore, ormai soggetto titolare di diritti e non più, come in passato, semplice oggetto di protezione (se non addirittura di disposizione) da parte degli adulti; sia perché non può perseguirsi, quale meta educativa, un risultato di armonico sviluppo di personalità, sensibile ai valori di pace, di tolleranza, di connivenza utilizzando un mezzo violento che tali fini contraddice.

Ne consegue che l’eccesso nel ricorso a mezzi di correzione, in sé illeciti, non rientra nella fattispecie dell’art. 571 cod. pen. (abuso di mezzi di correzione) giacché a tale condizione soltanto può ammettersi la configurazione dell’abuso punibile in maniera attenuata, rispetto ad altri e più gravi reati.

Articolo 571 Codice Penale Abuso dei mezzi di correzione o di disciplina

Chiunque abusa dei mezzi di correzione o di disciplina in danno di una persona sottoposta alla sua autorità, o a lui affidata per ragione di educazione, istruzione, cura, vigilanza o custodia, ovvero per l’esercizio di una professione o di un’arte, è punito, se dal fatto deriva il pericolo di una malattia nel corpo o nella mente, con la reclusione fino a sei mesi.

Se dal fatto deriva una lesione personale, si applicano le pene stabilite negli articoli 582 e 583, ridotte a un terzo; se ne deriva la morte, si applica la reclusione da tre a otto anni [572]. ""

Fonte sentenze-cassazione.com, qui:

http://www.sentenze-cassazione.com/educatore-violenza-fisica-minore/
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Avvocato penalista - Educare con violenza fisica sul minore è Abuso dei mezzi di correzione o di disciplina ossia il reato di cui all'Art. 571 del Codice Penale.
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venerdì 19 dicembre 2014

Avvocato penalista - La visita medica dell'imputato costituisce legittimo impedimento a comparire in udienza solo in rapporto alle specifiche e impellenti condizioni di salute dell’imputato medesimo.

Avvocato penalista - La visita medica dell'imputato costituisce legittimo impedimento a comparire in udienza solo in rapporto alle specifiche e impellenti condizioni di salute dell’imputato medesimo.
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Avvocato penalista - La visita medica dell'imputato costituisce legittimo impedimento a comparire in udienza solo in rapporto alle specifiche e impellenti condizioni di salute dell’imputato medesimo.
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"" Visita medica dell’imputato e legittimo impedimento

Visita medica dell’imputato e legittimo impedimento

Suprema Corte di Cassazione III Sezione Penale
Sentenza 17 – 26 giugno 2014, n. 27684
Presidente Squassoni – Relatore Ramacci

La Corte di Cassazione, con la sentenza che si riporta di seguito, ha esaminato un caso relativo all’impossibilità di partecipare ad un’udienza da parte dell’imputato a causa di una visita medica a cui lo stesso doveva sottoporsi.

In diverse occasioni, la recente giurisprudenza, ha avuto modo di trattare questo argomento affermando che il fatto di doversi sottoporre ad visita medica non costituisce un legittimo ed assoluto impedimento a partecipare al processo nel caso in cui tale accertamento possa essere spostato in altra data senza che ci siano ripercussioni sullo stato di salute dell’imputato.

A tal proposito la Corte richiama alcune precedenti decisioni secondo le quali “la necessità dell’imputato di sottoporsi ad un accertamento medico non costituisce legittimo ed assoluto impedimento a partecipare al processo quando detto accertamento sia certificato come indifferibile a causa delle esigenze organizzative della struttura sanitaria presso cui deve essere eseguito e non in ragione delle specifiche ed impellenti condizioni di salute dell’imputato medesimo (Sez. V n. 45659, 30 dicembre 2010)“.

Il ricorso è stato ritenuto inammissibile in quanto, a parer dei supremi giudici, la Corte territoriale che ha opportunamente valutato i fatti “ha escluso il carattere di urgenza degli accertamenti in ragione della risalente data di prescrizione e la mancanza del requisito dell’assoluto impedimento a comparire stante l’assenza di diagnosi.

Ne consegue che le argomentazioni sviluppate nel motivo di ricorso sono del tutto prive di pregio“. ""

Fonte sentenze-cassazione.com, qui:

http://www.sentenze-cassazione.com/visita-medica-dellimputato-legittimo-impedimento/
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Avvocato penalista - La visita medica dell'imputato costituisce legittimo impedimento a comparire in udienza solo in rapporto alle specifiche e impellenti condizioni di salute dell’imputato medesimo.
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giovedì 18 dicembre 2014

Avvocato penalista - Non pagare il taxi e prendere a pugni i poliziotti chiamati dal tassista è Resistenza a un pubblico ufficiale, Articolo 337 del Codice Penale.

Avvocato penalista -  Non pagare il taxi e prendere a pugni i poliziotti chiamati dal tassista è  Resistenza a un pubblico ufficiale, Articolo 337 del Codice Penale.

Personalmente, sento di rilevare che nel fatto in esame sono ravvisabili anche altre ipotesi di reato non viste, sia dai giudici di merito che dai giudici di legittimità, tra cui e per esempio, le Percosse e le Lesioni personali, atteso che i pugni percuotono e procurano lesioni...
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Avvocato penalista -  Non pagare il taxi e prendere a pugni i poliziotti chiamati dal tassista è  Resistenza a un pubblico ufficiale, Articolo 337 del Codice Penale.
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"" Resistenza a un pubblico ufficiale, non paga il taxi e prende a pugni due poliziotti
 
Resistenza a un pubblico ufficiale, non paga il taxi e prende a pugni due poliziotti

Suprema Corte di Cassazione VI Sezione Penale
Sentenza 17 – 30 giugno 2014, n. 28144
Presidente Di Virginio – Relatore Capozzi
 
La Corte di Piazza Cavour, con la sentenza che si riporta al link in fondo all’articolo, ha esaminato un caso relativo al mancato pagamento della corsa col taxi da parte del cliente che veniva svegliato da due poliziotti, chiamati dal tassista, i quali lo invitavano a saldare il conto.

L’uomo però non si è lasciato convincere e invece di pagare il conto ha preso a pugni i poliziotti finendo sotto processo penale per rispondere del reato di resistenza a pubblico ufficiale.

Dopo una sentenza assolutoria emessa dal Tribunale di Verona la Corte d’appello di Venezia riformava detta decisione riconoscendo in capo all’imputato la responsabilità per il reato di cui all’articolo 337 c.p.

Articolo 337 Codice Penale Resistenza a un pubblico ufficiale

Chiunque usa violenza o minaccia per opporsi a un pubblico ufficiale o ad un incaricato di un pubblico servizio, mentre compie un atto di ufficio o di servizio, o a coloro che, richiesti, gli prestano assistenza, è punito con la reclusione da sei mesi a cinque anni [339].

Avverso la sentenza della Corte d’Appello di Venezia veniva proposto ricorso in Cassazione lamentando erronea applicazione della legge penale e mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione in relazione alla ritenuta esclusione della scriminante ex art. 393 bis c.p. ovvero di quella ex art. 4 d. lgt. 288/44, risultando illogica l’affermata irrilevanza della querela sporta dall’imputato e da sua madre in ordine alle arbitrarie modalità di accesso degli operanti all’abitazione ed alla loro aggressione ai danni dell’imputato.

La Cassazione però ha dichiarato il ricorso inammissibile in quanto generico poiché “con motivazione priva di vizi logici e giuridici la Corte veneziana ha escluso la ipotesi esimente ravvisata in primo grado in favore del ricorrente sul duplice rilievo costituito dall’aver gli operanti agito nell’ambito dei doveri d’istituto siccome allertati dalla denuncia di un tassista che aveva visto allontanarsi il ricorrente, servitosi del suo taxi, senza che egli facesse ritorno per pagarlo come prospettatogli“.

Inoltre, continuano i giudici, “negando la attualità e la proporzionalità tra offesa e reazione tenuto conto che l’imputato – a fronte del fastidio avvertito per essere stato svegliato – aveva colpito immediatamente con un violento pugno ad un occhio uno dei poliziotti, continuando ad insultare e minacciare i poliziotti fino ad essere bloccato solo dopo una violenta colluttazione“.

Pertanto, conclude la Corte, “del tutto correttamente è stata ritenuta ininfluente la diversa prospettazione contenuta nella querela proposta dall’imputato e dalla madre, oggetto di separato giudizio, ed a fronte della versione degli operanti che hanno assunto di aver avuto accesso alla abitazione dell’imputato con il consenso dei proprietari e considerata la modalità e durata dei fatti incompatibile con l’ipotizzata opposizione all’accesso.

Nondimeno è corretta la osservazione della sentenza secondo la quale le lesioni patite dall’imputato risultano successive ai fatti oggetto del processo e, pertanto, non possono influire su di essi“.

Articolo 393 bis Codice Penale Causa di non punibilità

Non si applicano le disposizioni degli articoli 336, 337, 338, 339, 341 bis, 342 e 343 quando il pubblico ufficiale o l’incaricato di un pubblico servizio ovvero il pubblico impiegato abbia dato causa al fatto preveduto negli stessi articoli, eccedendo con atti arbitrari i limiti delle sue attribuzioni.

- L’articolo 4 del decreto legislativo luogotenenziale 14 settembre 1944, n. 288 dispone che non si applicano le disposizioni di cui all’articolo 337 e all’articolo 339, comma 2, codice penale quando il pubblico ufficiale o l’incaricato di pubblico servizio ovvero il pubblico impiegato abbia dato causa al reato preveduto nell’articolo 337 c.p. eccedendo con atti arbitrari i limiti delle proprie attribuzioni.

La scriminante prevista dall’articolo 4 del D. Lgs. Lgt. 14 settembre 1944 n. 288 ricorre quando il fatto delittuoso sia causato da un comportamento arbitrario del soggetto tutelato che ecceda i limiti e le finalità del potere attribuitogli nel pubblico interesse. ""

Fonte sentenze-cassazione.com, qui:

http://www.sentenze-cassazione.com/resistenza-pubblico-ufficiale-non-paga-taxi-prende-pugni-poliziotti/ 
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Avvocato penalista -  Non pagare il taxi e prendere a pugni i poliziotti chiamati dal tassista è  Resistenza a un pubblico ufficiale, Articolo 337 del Codice Penale.
 
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mercoledì 17 dicembre 2014

Avvocato penalista - La diserzione, la simulazione di infermità e la truffa militare, integrano rispettivamente i reati di cui agli Artt. 148 c.p.m.p., n. 2; 159 c.p.m.p.; 234 c.p.m.p., commi 1 e 2; 47 c.p.m.p., n. 2, e 81 cpv. c.p., continuati e pluriaggravati.

Avvocato penalista - La diserzione, la simulazione di infermità e la truffa militare, integrano rispettivamente i reati di cui agli Artt. 148 c.p.m.p., n. 2; 159 c.p.m.p.; 234 c.p.m.p., commi 1 e 2; 47 c.p.m.p., n. 2, e 81 cpv. c.p., continuati e pluriaggravati.
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Avvocato penalista - La diserzione, la simulazione di infermità e la truffa militare, integrano rispettivamente i reati di cui agli Artt. 148 c.p.m.p., n. 2; 159 c.p.m.p.; 234 c.p.m.p., commi 1 e 2; 47 c.p.m.p., n. 2, e 81 cpv. c.p., continuati e pluriaggravati.
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"" Diserzione, simulazione e truffa militare

Diserzione, simulazione e truffa militare

Corte di Cassazione, Sezione 1 penale, Sentenza 30 aprile 2014, n. 18252

Diserzione, Simulazione, infermità, Truffa militare, Conflitto positivo di giurisdizione,  Connessione procedimenti, reati comuni e militari, Presupposti, Gravità

Con la sentenza n° 18252/14 che si commenta di seguito, la Cassazione si trova a dover risolvere un conflitto di giurisdizione sollevato dal Gup del Tribunale Militare di Roma nei confronti del Gup del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere.

La questione ruota intorno alla portata dispositiva dell’articolo 13 c.p.p. comma 2, in forza del quale “la connessione di procedimenti fra reati comuni e reati militari opera soltanto qualora il reato comune sia piu’ grave di quello militare “avuto riguardo ai criteri previsti dall’articolo 16, comma 3“.

Dalla lettera della disposizione del codice emerge che la connessione a favore della giurisdizione del giudice ordinario e’ confermata nelle ipotesi in cui il reato comune sia piu’ grave o di pari gravita’ rispetto a quello militare.

Nel caso in esame, essendo il reato comune ( punito con la reclusione da quattro mesi a due anni ) meno grave di quello militare, dichiara la giurisdizione del Tribunale militare di Roma limitatamente al reato di cui all’articolo 234 c.p.m.p., comma 2, cui dispone la trasmissione degli atti relativi.

Articolo 234 – Codice Penale Militare di Pace Truffa

Il militare, che, con artifici o raggiri, inducendo taluno in errore, procura a sé o ad altri un ingiusto profitto con danno di altro militare, è punito con la reclusione militare da sei mesi a tre anni. La pena è della reclusione militare da uno a cinque anni:

1. se il fatto è commesso a danno dell’amministrazione militare o col pretesto di fare esonerare taluno dal servizio militare;

2. se il fatto è commesso, ingenerando nella persona offesa il timore di un pericolo immaginario o l’erroneo convincimento di dover eseguire un ordine dell’autorità.

La condanna importa la rimozione.

Articolo 13 Codice di Procedura Penale Connessione di procedimenti di competenza di giudici ordinari e speciali

1. Se alcuni dei procedimenti connessi appartengono alla competenza di un giudice ordinario e altri a quella della Corte costituzionale [102, 134 Cost.], è competente per tutti quest’ultima.

2. Fra reati comuni e reati militari, la connessione di procedimenti opera soltanto quando il reato comune è più grave di quello militare, avuto riguardo ai criteri previsti dall’articolo 16 comma 3.

In tale caso, la competenza per tutti i reati è del giudice ordinario

Articolo 640 Codice Penale Truffa

Chiunque, con artifizi o raggiri, inducendo taluno in errore, procura a sé o ad altri un ingiusto profitto con altrui danno, è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni e con la multa da cinquantuno euro a milletrentadue euro.

La pena è della reclusione da uno a cinque anni e della multa da trecentonove euro a millecinquecentoquarantanove euro:

1) se il fatto è commesso a danno dello Stato o di un altro ente pubblico o col pretesto di far esonerare taluno dal servizio militare [c.p.m.p. 162, 32quater];

2) se il fatto è commesso ingenerando nella persona offesa il timore di un pericolo immaginario o l’erroneo convincimento di dovere eseguire un ordine dell’Autorità [649].

2 bis) se il fatto è commesso in presenza della circostanza di cui all’articolo 61, numero 5).

Il delitto è punibile a querela della persona offesa, salvo che ricorra taluna delle circostanze previste dal capoverso precedente o un’altra circostanza aggravante. ""

Fonte sentenze-cassazione.com, qui:

http://www.sentenze-cassazione.com/diserzione-simulazione-truffa-militare/
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Avvocato penalista - La diserzione, la simulazione di infermità e la truffa militare, integrano rispettivamente i reati di cui agli Artt. 148 c.p.m.p., n. 2; 159 c.p.m.p.; 234 c.p.m.p., commi 1 e 2; 47 c.p.m.p., n. 2, e 81 cpv. c.p., continuati e pluriaggravati.
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martedì 16 dicembre 2014

Avvocato penalista - Pubblicare un falso annuncio di incontri su internet comporta la condanna per la contravvenzione di cui all'Articolo 660 del Codice Penale ossia per Molestia o disturbo alle persone.

Avvocato penalista - Pubblicare un falso annuncio di incontri su internet comporta la condanna per la contravvenzione di cui all'Articolo 660 del Codice Penale ossia per Molestia o disturbo alle persone.

Personalmente, rilevo una grave lacuna nel giudizio penale che segue, concluso con la sentenza della Corte di Cassazione in esame, ossia l'assenza di ogni riferimento al pur sussistente delitto di falso.
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Avvocato penalista - Pubblicare un falso annuncio per incontri su internet comporta la condanna per la contravvenzione di cui all' Articolo 660 del Codice Penale ossia per Molestia o disturbo alle persone.
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"" Condannato per aver pubblicato un falso annuncio per incontri
 
Condannato per aver pubblicato un falso annuncio per incontri
 
Corte di Cassazione, sez. I Penale
Sentenza 4 aprile – 9 ottobre 2014, n. 42043
Presidente Cortese – Relatore Magi
 
L’imputato era stato ritenuto colpevole, in primo e secondo grado, per il reato di cui all’articolo 660 del codice penale, perchè aveva inserito su un sito internet un annuncio apparentemente scritto dalla persona offesa con cui la stessa, fornendo il proprio numero di telefono, si mostrava disponibile ad incontri a sfondo sessuale.
 
La donna, in conseguenza dell’annuncio, aveva ricevuto numerose telefonate oggettivamente moleste, basate sui contenuti del ‘falso‘ annuncio e, pertanto, sussiste a parere dei giudici territoriali, la responsabilità per le molestie ricevute dalla donna, essendone l’imputato l’autore mediato.
 
Secondo quanto è emerso nei primi gradi di giudizio, infatti, coloro che composero il numero di telefono della donna erano infatti indotti in errore dall’imputato circa la sua volontà di offrirsi, determinata dai contenuti del ‘post‘.
 
Il reato viene ritenuto configurabile anche sotto l’aspetto psicologico posto che la volontà dell’imputato era diretta, in tal modo, a creare molestia e disturbo alla persona presa di mira.
 
Pertanto, il reato è stato dunque consumato a mezzo del telefono, strumento utilizzato dal soggetti chiamanti sulla base della esatta indicazione dei numero, derivante dall’azione dell’imputato.
 
Veniva dunque proposto ricorso per Cassazione da parte dell’imputato il quale lamentava che il suo comportamento “avrebbe, al più, potuto essere incriminato per concorso (art. 110 cod. pen.) con i soggetti chiamanti, dato che ha fornito un contributo causale alla consumazione del reato ma non ha posto in essere la condotta tipica, limitandosi ad inserire l’annuncio sul sito internet“.
 
Secondo i giudici di Piazza Cavour “risultano corrette le argomentazioni giuridiche che hanno condotto alla conferma della decisione di primo grado e le critiche operate nel ricorso appaiono slegate dal reale percorso decisorio, con cui non si confrontano in modo adeguato“.
 
Gli ermellini chiariscono che “nell’ipotesi di cui all’art. 48 cod. pen., infatti, il soggetto punibile non commette l’azione tipica prevista dalla norma incriminatrice, ma determina le condizioni affinchè altri – incorrendo in errore – la commettano“.
 
Proprio per questo motivo, continuano i giudici, “il legislatore prevede l’assenza di punizione per l’autore della condotta tipica (data l’esistenza di errore sul fatto che costituisce reato, che altera il processo volitivo) e punisce il solo ‘determinatore’ , in apparente deroga alle norme in tema di concorso di persone nel reato. La deroga è solo apparente perchè anche le norme in tema di concorso implicano l’esistenza dell’elemento psicologico dei reato e della imputabilità soggettiva di ogni concorrente, come prevede – tra l’altro – l’art. 111 cod. pen. in modo analogo alla disposizione qui richiamata”.
 
Nel caso in esame “ricorre pienamente detta condizione, posto che la pubblicazione sul sito internet – pacificamente posta in essere dall’imputato – di un annuncio che rappresentava la falsa volontà della persona offesa di offrirsi sessualmente (con indicazione del reale recapito telefonico della medesima) induceva in errore i soggetti frequentatori del sito, con sottostante volontà del C. di determinare, tramite la successiva azione materiale di costoro, un pregiudizio alla ignara vittima“.
 
In conclusione, la Corte ha dichiarato inammissibile il ricorso osservando che “la condotta tipica di cui all’art. 660 cod. pen. veniva pertanto commessa con il mezzo dei telefono – così come prevede la norma incriminatrice applicata – da parte di soggetti non punibili, in quanto tratti in errore – dal C. – circa la reale volontà della destinataria delle chiamate di rendersi disponibile ad incontri.
 
Né tale valutazione può dirsi eccentrica rispetto alla contestazione in fatto – con pieno esercizio sul punto dei diritti difensivi dell’imputato – posto che la contestazione descriveva in maniera dettagliata tanto la condotta tenuta dall’imputato che quella tenuta dai soggetti autori materiali delle chiamate“.
 
Articolo 660 Codice Penale Molestia o disturbo alle persone
 
Chiunque, in un luogo pubblico o aperto al pubblico, ovvero col mezzo del telefono, per petulanza o per altro biasimevole motivo, reca a taluno molestia o disturbo è punito con l’arresto fino a sei mesi o con l’ammenda fino a cinquecentosedici euro.
 
Articolo 48 Codice Penale Errore determinato dall’altrui inganno
 
Le disposizioni dell’articolo precedente si applicano anche se l’errore sul fatto che costituisce il reato è determinato dall’altrui inganno; ma, in tal caso, del fatto commesso dalla persona ingannata risponde chi l’ha determinata a commetterlo.
 
Articolo 111 Codice Penale Determinazione al reato di persona non imputabile o non punibile
 
Chi ha determinato a commettere un reato una persona non imputabile [86, 88, 96 1, 97, 98], ovvero non punibile a cagione di una condizione o qualità personale [46, 48], risponde del reato da questa commesso, e la pena è aumentata.
 
Se si tratta di delitti per i quali è previsto l’arresto in flagranza, la pena è aumentata da un terzo alla metà.
 
Se chi ha determinato altri a commettere il reato ne è il genitore esercente la responsabilità genitoriale, la pena è aumentata fino alla metà o, se si tratta di delitti per i quali è previsto l’arresto in flagranza, da un terzo a due terzi. ""
 
Fonte sentenze-cassazione.com, qui:
 
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Avvocato penalista - Pubblicare un falso annuncio per incontri su internet comporta la condanna per la contravvenzione di cui all' Articolo 660 del Codice Penale ossia per Molestia o disturbo alle persone.
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