http://www.avvocato-penalista-cirolla.blogspot.com/google4dd38cced8fb75ed.html Avvocato penalista ...: febbraio 2015

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sabato 28 febbraio 2015

Avvocato penalista - Il caso Sgarbi - Cordova: la Cassazione ha stabilito che il gestore della rete televisiva è responsabile della diffamazione aggravata a mezzo stampa, poiché manda in onda trasmissioni omettendo l’esercizio del controllo.

Avvocato penalista - Il caso Sgarbi - Cordova: la Cassazione ha stabilito che il gestore della rete televisiva è responsabile della diffamazione aggravata a mezzo stampa, poiché manda in onda trasmissioni omettendo l’esercizio del controllo.
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Avvocato penalista - Il caso Sgarbi - Cordova: la Cassazione ha stabilito che il gestore della rete televisiva è responsabile della diffamazione aggravata a mezzo stampa, poiché manda in onda trasmissioni omettendo l’esercizio del controllo.
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"" Sgarbi – Cordova, diffamazione, responsabilità rete televisiva, controllo
 
Sgarbi – Cordova, diffamazione, responsabilità rete televisiva, controllo
 
Suprema Corte di Cassazione – Terza Sezione Civile – Sentenza dell’ 11 Ottobre 2013 n. 23144
a cura della Dott.ssa Venusia Catania
 
Con la Sentenza n. 23144, terza sez. civ., dell’11 ottobre 2013 la Corte di Cassazione ha affermato che il gestore della rete televisiva è responsabile della diffamazione aggravata poiché manda in onda trasmissioni omettendo l’esercizio del controllo.
 
Nella specie la vicenda tratta la presunta diffamazione ai danni del Magistrato Agostino Cordova avvenuta all’interno della trasmissione televisiva condotta da Vittorio Sgarbi “Sgarbi quotidiani”.
 
Nel 2004 il Tribunale di Roma condannò la R.T.I. Spa (produttrice della trasmissione televisiva), al pagamento di €. 800.000,00 a favore del Magistrato a titolo di risarcimento dei danni per la campagna ritenuta diffamatoria condotta da Sgarbi nel suddetto programma televisivo.
 
La S.C. sulla scia di una precedente giurisprudenza di legittimità (Cass. Sez. III, n. 16382 del 2010) afferma che “la lesione dell’onore e della reputazione altrui commessa col mezzo della televisione costituisce sempre un fatto illecito e antigiuridico, in quanto lesivo dei diritti fondamentali dell’individuo riconosciuti dall’art. 2 Cost. e dall’art. 1 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, anche quando venga commessa da persona che non possa essere chiamata a risponderne, come nel caso del parlamentare che invochi la guarentigia di cui all’art. 68 Cost.
 
Ne consegue che, ricorrendo tale ipotesi, incorre in responsabilità civile il gestore di una rete televisiva che abbia concorso nel produrre il danno ingiusto da diffamazione, responsabilità da ritenersi aggravata dalla natura espansiva del mezzo di diffusione peraltro senza esercitare alcun controllo utile, anche successivo alla diffusione della trasmissione“. ""
 
Fonte sentenze-cassazione.com, qui:
 
 
Avvocato penalista - Il caso Sgarbi - Cordova: la Cassazione ha stabilito che il gestore della rete televisiva è responsabile della diffamazione aggravata a mezzo stampa, poiché manda in onda trasmissioni omettendo l’esercizio del controllo.
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venerdì 27 febbraio 2015

Avvocato penalista - È da escludere il reato di cessione di sostanze stupefacenti qualora si tratti di quantitativi tenui e con principio attivo irrilevante.

Avvocato penalista - È da escludere il reato di cessione di sostanze stupefacenti qualora si tratti di quantitativi tenui e con principio attivo irrilevante.
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Avvocato penalista - È da escludere il reato di cessione di sostanze stupefacenti qualora si tratti di quantitativi tenui e con principio attivo irrilevante.
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"" Cassazione, stupefacenti e principio attivo
 
Cassazione, sostanze stupefacenti e quantificazione del principio attivo
Corte di Cassazione – Sezione III Penale
Sentenza 4 novembre 2013 n. 44420
 
Secondo quanto ha stabilito la Corte di Cassazione con la sentenza in commento, ribadendo alcuni principi già consolidati “Solo un accertamento tecnico specifico avrebbe consentito di quantificare la percentuale e la quantità di principio attivo effettivamente presente in ciascuna delle confezioni e nelle tre confezioni complessivamente considerate” e pertanto “la mancanza di detto accertamento rende impossibile affermare con certezza che il quantitativo modestissimo della sostanza sequestrata possieda livelli di principio attivo tali da avere concreti effetti stupefacenti e da comportare quelle possibili alterazioni dell’organismo che costituiscono l’offesa al bene protetto oggetto di sanzione penale”.
 
Già con la sentenza n.23319/13 la Corte, escludendo l’ipotesi di spaccio, aveva chiarito l’irrilevanza del principio attivo nel caso in cui fosse talmente basso da non poter ridurre la modificazione dell’assetto necroscopico dell’utilizzatore.
 
In quest’ultimo caso il legale dell’imputato ricorreva in cassazione proprio perchè non era stato accertato il grado di purezza della sostanza stupefacente sequestrata e anche perchè non vi erano prove che la droga fosse detenuta ai fini dello spaccio.
 
Entrambi i motivi venivano accolti dai supremi giudici che non hanno condiviso quanto affermato dai giudici territoriali sul fatto che in presenza di «circostanze di fatto indicative della destinazione allo spaccio».
 
Richiamando altri precedenti, gli ermellini, hanno affermato che «l’accertamento del principio attivo può influire sulla stessa sussistenza dell’offensività della condotta di detenzione a fini di spaccio».
 
È da escludere, dunque, il reato di cessione di sostanze stupefacenti qualora si tratti di quantitativi «talmente tenui e con principio attivo irrilevante tale da non poter indurre, neppure in maniera trascurabile, la modificazione dell’assetto necroscopico dell’utilizzatore» (Cassazione, 16154/11 e 21814/10). ""
 
Fonte sentenze-cassazione.com, qui:
 
 
Avvocato penalista - È da escludere il reato di cessione di sostanze stupefacenti qualora si tratti di quantitativi tenui e con principio attivo irrilevante.
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giovedì 26 febbraio 2015

Avvocato penalista - Viola il diritto di difesa il giudice che ignora il fax inviatogli dall’avvocato, con cui gli preannuncia di arrivare in ritardo all'udienza.

Avvocato penalista - Viola il diritto di difesa il giudice che ignora il fax inviatogli dall’avvocato, con cui gli preannuncia di arrivare in ritardo all'udienza.
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Avvocato penalista - Viola il diritto di difesa il giudice che ignora il fax inviatogli dall’avvocato, con cui gli preannuncia di arrivare in ritardo all'udienza.
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"" Il fax dell’avvocato ritardatario non può essere ignorato dal giudice

Corte di Cassazione Penale Terza Sezione
Sentenza n. 45190 del 8 Novembre 2013
Presidente: Fiale A.

Con la sentenza che si riporta la Cassazione ha affermato che viola in diritto di difesa ignorare il fax inviato dall’avvocato che annuncia al giudice di arrivare in udienza in ritardo.

Più nello specifico la Corte ha spiegato che “l’ordinanza impugnata risulta affetta da nullità perché conseguente proceduralmente a una lesione del diritto di difesa, non essendo stato consentito alla parte offesa e al suo difensore di avvalersi concretamente dell’avviso dell’udienza per parteciparvi, in quanto a essi si è negato per il concreto esercizio del diritto un lasso di tempo adeguato rispetto all’orario in cui era fissata l’udienza, lasso di tempo ragionevole – alla luce del notorio e del senso comune – per superare gli imprevisti e i brevi ritardi scusabili da essi derivati, pur essendo stata tale situazione preventivamente e tempestivamente comunicata al Tribunale dal difensore.

In tal modo, invero, la tutela del contraddittorio evincibile dall’articolo 127 c.p.p. si è attestata a un livello formalistico e pertanto non è stata garantita in modo effettivo alla parte ora ricorrente”. ""

Fonte sentenze-cassazione.com, qui:

http://www.sentenze-cassazione.com/il-fax-dellavvocato-ritardatario-puo-ignorato-dal-giudice/
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Avvocato penalista - Viola il diritto di difesa il giudice che ignora il fax inviatogli dall’avvocato, con cui gli preannuncia di arrivare in ritardo all'udienza.
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mercoledì 25 febbraio 2015

Avvocato penalista - Il decreto di citazione a giudizio è nullo se non è preceduto dalla notifica all’imputato dell’avviso di conclusione delle indagini.

Avvocato penalista - Il decreto di citazione a giudizio è nullo se non è preceduto dalla notifica all’imputato dell’avviso di conclusione delle indagini.
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Avvocato penalista - Il decreto di citazione a giudizio è nullo se non è preceduto dalla notifica all’imputato dell’avviso di conclusione delle indagini.
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"" Notifica, imputato, nullità, assenza, rinvio a giudizio

Notifica, imputato, nullità, assenza, rinvio a giudizio

Suprema Corte di Cassazione Penale Seconda Sezione
Sentenza del 21 Ottobre 2013 n. 43115

Secondo quanto è stato affermato dalla Suprema Corte di Cassazione nella sentenza che si riporta

“Non è abnorme, e quindi non è ricorribile per Cassazione, il provvedimento con cui il giudice del dibattimento, rilevata la mancata notificazione all’imputato dell’avviso di conclusione delle indagini preliminari, dichiara la nullità del decreto di citazione a giudizio, disponendo la restituzione degli atti al p.m.

(Fattispecie in cui il p.m., a seguito di declaratoria di incompetenza del giudice di pace, aveva emesso il decreto penale di condanna, senza procedere alla previa notifica dell’avviso di cui all’art. 415 bis c.p.p.)” ""

Fonte sentenze-cassazione.com, qui:

http://www.sentenze-cassazione.com/notifica-imputato-nullita-assenza-rinvio-a-giudizio/
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Avvocato penalista - Il decreto di citazione a giudizio è nullo se non è preceduto dalla notifica all’imputato dell’avviso di conclusione delle indagini.
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martedì 24 febbraio 2015

Avvocato penalista - Chi è titolare di una posizione di garanzia deve saper prevedere e prevenire le altrui imprudenze o avventatezze e uniformare la propria condotta ai comuni canoni di accortezza.

Avvocato penalista - Chi è titolare di una posizione di garanzia deve saper prevedere e prevenire le altrui imprudenze o avventatezze e uniformare la propria condotta ai comuni canoni di accortezza.
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Avvocato penalista - Chi è titolare di una posizione di garanzia deve saper prevedere e prevenire le altrui imprudenze o avventatezze e uniformare la propria condotta ai comuni canoni di accortezza.
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"" Caduta in piscina, omesso controllo e responsabilita’.

Caduta in piscina, omesso controllo e responsabilita’.

Suprema corte di Cassazione Quarta Sezione Penale
Sentenza del 21 giugno – 22 ottobre 2013, n. 43168.

Piscina – caduta – bambino – responsabilita’ – genitori – gestore – sicurezza – concausa – eccezionalita’ – salute – omesso controllo – omessa sorveglianza – penale.

La Cassazione, con la sentenza che si riporta, ha affrontato il tema dell’omesso controllo affermando che “L’omessa sorveglianza del minore – indiscutibilmente addebitabile ai genitori – da un lato era circostanza nota all’imputato (e quindi non imprevedibile) come testé si è osservato.

In ogni caso, non costituiva elemento del tutto eccezionale (e tantomeno imprevedibile) il fatto che un bambino di tre anni potesse comunque sfuggire al controllo dei genitori.

Deve quindi concludersi che il difetto di sorveglianza del minore ha integrato la condizione originaria della produzione dell’evento, ma non la condizione esclusiva.

Ha indubbiamente contribuito alla causazione dell’evento letale la mancata adozione delle basilari precauzioni cautelari – ascritte all’imputato – volte ad impedire l’accesso all’area della piscina e dell’acquascivolo in difetto, peraltro, di idoneo servizio di sorveglianza e di custodia.“

Inoltre, gli ermellini nella suddetta sentenza specificano che “Né – come in particolare sottolineato dal Giudice di prime cure (sentenza di primo grado, fgl. 18) – l’eventuale affidamento riposto dall’imputato nella condotta dei genitori (pur gravati, ex art. 147 cod. civ. dell’obbligo di salvaguardare l’incolumità fisica del figlio minore) non poteva valere ad escluderne la colpa, sul rilievo che l’incidenza, agli effetti della produzione dell’evento di concause prevedibili per l’agente, non implica l’interruzione del nesso eziologico, giacché “chi è titolare di una posizione di garanzia deve poter prevedere e prevenire le altrui imprudenze ed avventatezze e conseguentemente uniformare la propria condotta ai comuni canoni di accortezza“. ""

Fonte sentenze-cassazione.com, qui:

http://www.sentenze-cassazione.com/piscina-omessocontrolloresponsabilitapenale/
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Avvocato penalista - Chi è titolare di una posizione di garanzia deve saper prevedere e prevenire le altrui imprudenze o avventatezze e uniformare la propria condotta ai comuni canoni di accortezza.
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lunedì 23 febbraio 2015

Avvocato penalista - In caso di assoluzione dell’imputato dichiarato persona incapace di intendere e di volere, il giudice penale non può pronunciarsi sulle richieste delle parti civili.

Avvocato penalista - In caso di assoluzione dell’imputato dichiarato persona incapace di intendere e di volere, il giudice penale non può pronunciarsi sulle richieste delle parti civili.
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Avvocato penalista - In caso di assoluzione dell’imputato dichiarato persona incapace di intendere e di volere, il giudice penale non può pronunciarsi sulle richieste delle parti civili.

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"" Imputato incapace di intendere e di volere e parte civile

Imputato incapace di intendere e di volere e parte civile

Suprema Corte di Cassazione – Prima Sezione Penale
Sentenza 8 novembre 2013 n. 45228

Secondo quanto emerge dalla sentenza in commento nel caso di assoluzione dell’imputato dichiarato persona incapace di intendere e di volere, il giudice penale non può pronunciarsi sulle richieste delle parti civili.

Infatti, per gli ermellini, “in caso di assoluzione dell’imputato per qualsiasi causa, è inibito al giudice penale – che in tal senso ha una vera e propria incompetenza funzionale, perché finisce per invadere indebitamente la giurisdizione civile – emettere pronuncia sulle richieste civilistiche dei soggetti danneggiati costituiti in parte civile.

Il sistema ordinamentale prevede che la parte danneggiata, a fronte di assoluzione dell’imputato, non abbia altra via che quella di promuovere azioni davanti alla giurisdizione civile, giudice generale dei diritti“.

Infine, la Corte, con riferimento alla misura di sicurezza personale dell’assegnazione ad un ospedale psichiatrico giudiziario applicata all’imputato, continua affermando di non ritiene che tale misura “possa essere qualificata “condanna” penale in senso proprio, tale da legittimare pronuncia, ex art. 538 c.p.p., in favore delle parti civili.

Sul punto non può non essere rilevato che, nell’intero ordinamento penalistico, il termine “condanna” è sempre e solo ricollegato all’irrogazione di una pena”. ""

Fonte sentenze-cassazione.com, qui:

http://www.sentenze-cassazione.com/imputato-incapace-intendere-volere-parte-civile/
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Avvocato penalista - In caso di assoluzione dell’imputato dichiarato persona incapace di intendere e di volere, il giudice penale non può pronunciarsi sulle richieste delle parti civili.
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domenica 22 febbraio 2015

Avvocato penalista - La firma del consenso informato da parte del paziente non libera il medico dalle responsabilità derivanti dal fatto delittuoso proprio, colposo o doloso che sia.

Avvocato penalista - La firma del consenso informato da parte del paziente non libera il medico dalle responsabilità derivanti dal fatto delittuoso proprio, colposo o doloso che sia.
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Avvocato penalista - La firma del consenso informato da parte del paziente non libera il medico dalle responsabilità derivanti dal fatto delittuoso proprio, colposo o doloso che sia.
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"" Salute, risarcimento danni, negligenza, medico e consenso informato
 
Salute, risarcimento danni, negligenza, medico e consenso informato
 
Suprema Corte di Cassazione Quarta Sezione Penale
Sentenza 9 maggio – 17 ottobre 2013, n. 42656
 
Responsabilità del medico · salute · intervento chirurgico · consenso informato · complicazioni · civile · risarcimento danni · negligenza · dolo · colpa grave.
 
Con la sentenza in commento la Cassazione ha nuovamente trattato il caso del consenso informato e, nel caso di specie, ha affermato che “la sottoscrizione da parte della paziente del consenso informato, non libera da responsabilità derivante da fatto proprio colposo dell’operatore.”
 
Già ne avevamo discusso in occasione della Sentenza del 31 luglio 2013, n. 18341 in cui gli ermellini però, oltre agli aspetti riguardanti il consenso informato, si soffermavano principalmente su di un'altra questione ovvero il nesso causale tra la condotta del personale medico e i danni subiti e, nell’occasione sostenevano che “non assume rilievo decisivo l’affermazione contenuta nella sentenza impugnata circa l’impossibilità di escludere “quantomeno il ragionevole dubbio sul collegamento dei gravi danni del bambino alla condotta di quel personale”, non influenzando detta affermazione quelle precedenti della Corte territoriale in ordine alla ritenuta insussistenza della prova del nesso causale;
 
Nelle motivazioni della sentenza in esame che riguardano anche il consenso informato si legge: “Sostiene ancora il M. di essersi trovato a fronteggiare una situazione di particolare complessità tecnica e che la valutazione della sua responsabilità doveva essere effettuata in coordinamento con l’art. 2236 c.c. che, per le ipotesi di danno provocato dal prestatore d’opera qualora la prestazione richieda la soluzione di problemi tecnici di particolare difficoltà, il prestatore sia tenuto al risarcimento nei soli casi di dolo o colpa grave.
 
Il motivo, peraltro assai genericamente formulato, è infondato, considerato da un lato che è solo una mera enunciazione che il M. si sia trovato a fronteggiare una situazione di particolare complessità tecnica, dall’altro che l'(eventuale) maggiore complessità dell’intervento era stato determinato dalle stesse scelte “inopportune” dell’imputato che, peraltro, come sottolineato dai giudici di appello, aveva proceduto alla estrazione del fibroma ampliando una delle vie di ingresso dei trocar laterali, anziché praticare un taglio sufficiente al passaggio del fibroma sulla linea mediana, due centimetri sopra la sinfisi pubica (dato che una minilaparatomia sarebbe stata comunque meno invasiva, anche esteticamente, di quella poi in concreto resasi necessaria per bloccare l’emorragia) – cfr. p. 9 dell’impugnata sentenza.“
 
La Corte continua affermando che “è incontestabile che l’attività medico chirurgica, per essere legittima, presuppone il “consenso” del paziente, che non si identifica con quello di cui all’art. 50 c.p., ma costituisce un presupposto di liceità del trattamento: infatti, il medico, di regola ed al di fuori di taluni casi eccezionali (allorché il paziente non sia in grado per le sue condizioni di prestare un qualsiasi consenso o dissenso, ovvero, più in generale, ove sussistano le condizioni dello stato di necessità di cui all’art. 54 c.p.), non può intervenire senza il consenso o malgrado il dissenso del paziente.
 
In questa prospettiva, il “consenso”, per legittimare il trattamento terapeutico, deve essere “informato”, cioè espresso a seguito di una informazione completa, da parte del medico, dei possibili effetti negativi della terapia o dell’intervento chirurgico, con le possibili controindicazioni e l’indicazione della gravità degli effetti del trattamento.
 
Il consenso informato, infatti, ha come contenuto concreto la facoltà non solo di scegliere tra le diverse possibilità di trattamento medico, ma anche di eventualmente rifiutare la terapia e di decidere consapevolmente di interromperla, in tutte le fasi della vita, anche in quella terminale.
 
Tale conclusione, fondata sul rispetto del diritto del singolo alla salute, è tutelata dall’art. 32 Cost.”
 
Pertanto, “la mancanza del consenso (opportunamente informato) del malato o la sua invalidità per altre ragioni, determina l’arbitrarietà del trattamento medico-chirurgico e la sua rilevanza penale, in quanto posto in violazione della sfera personale del soggetto e del suo diritto di decidere se permettere interventi estranei sul proprio corpo, ma la valutazione del comportamento del medico, sotto il profilo penale, quando si sia in ipotesi sostanziato in una condotta (vuoi omissiva, vuoi commissiva) dannosa per il paziente, non ammette un diverso apprezzamento a seconda che l’attività sia stata prestata con o in assenza di consenso.
 
Cosicché il giudizio sulla sussistenza della colpa non presenta differenze di sorta a seconda che vi sia stato o no il consenso informato del paziente.
 
Dunque il consenso informato, anche se corretto e adeguato e corrisposto dalla reale ed integrale comprensione del paziente, non vale ad escludere la colpa del medico che abbia operato negligentemente o imperitamente ovvero in violazione delle leges artis.
 
Ne consegue che a nulla rileva, ex se, ai fini dell’esclusione della responsabilità, l’eventuale adeguatezza della comunicazione ed illustrazione dei rischi connessi all’intervento al paziente che si risolse, ciò nonostante, ad affrontarlo (cfr. Sez. 4, n. 4541 del 2013, Falasco (PC) c. Carlino).“
 
Il ricorso è stato rigettato e il ricorrente condannato al pagamento delle spese processuali. ""
 
Fonte sentenze-cassazione.com, qui:
 
 
Avvocato penalista - La firma del consenso informato da parte del paziente non libera il medico dalle responsabilità derivanti dal fatto delittuoso proprio, colposo o doloso che sia.
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sabato 21 febbraio 2015

Avvocato penalista - Il caso Ruby e le precisazioni della Cassazione circa le differenze tra i reati di Concussione e di Induzione indebita a dare o promettere utilità.

Avvocato penalista - Il caso Ruby e le precisazioni della Cassazione circa le differenze tra i reati di Concussione e di Induzione indebita a dare o promettere utilità.
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Avvocato penalista - Il caso Ruby e le precisazioni della Cassazione circa le differenze tra i reati di Concussione e di Induzione indebita a dare o promettere utilità.
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"" Legge Severino, il “no” delle Sezioni Unite alla linea dura. Sentenza Ruby

Legge Severino, il “no” delle Sezioni Unite alla linea dura

Le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, affrontando il tema della normativa penale relativa alla legge Severino, hanno emesso una sentenza (o meglio un dispositivo di sentenza) che sta facendo molto discutere poichè l’interpretazione della Corte potrebbe sicuramente tornare utile all’ex premier per ottenere una sentenza più “indulgente” nell’appello del processo “Ruby”.

Oltre alla prostituzione minorile, nel suddetto processo, Berlusconi è stato condannato anche per il reato di concussione per costrizione alla pena di sette anni di carcere e all’interdizione perpetua dai pubblici uffici.

Questa sentenza potrebbe presto cambiare poichè secondo quanto emerge da questa decisione, la Suprema Corte ha delineato una linea di applicazione meno rigida per il reato di cui all’art. 317 c.p. in quanto questa linea interpretativa permetterebbe alla difesa di Berlusconi di riconsiderare la questione nell’ambito di una accusa più lieve ovvero quella di induzione indebita che comporterebbe il vantaggio di una pena più mite, una prescrizione più breve e comunque niente pena accessoria.

Articolo 317 Codice Penale Concussione

Il pubblico ufficiale che, abusando della sua qualità o dei suoi poteri, costringe taluno a dare o a promettere indebitamente, a lui o a un terzo, denaro o altra utilità è punito con la reclusione da sei a dodici anni.

Secondo quanto viene deciso dalla Corte di Piazza Cavour, l’interpretazione della legge Severino deve condannare duramente soltanto chi “limita radicalmente” la libertà del soggetto sul quale viene esercitata la pressione mentre, in maniera più mite, nel caso in cui si esercitano delle forme di “pressione non irresistibile”.

Per farla breve, secondo la Cassazione si deve individuare il limite di confine tra le due forme di costrizione e determinarne la giusta pena, tenendo conto appunto dello “spacchettamento” della fattispecie di reato creato con la legge Severino.

Secondo il chiarimento della Cassazione “La fattispecie di induzione indebita è caratterizzata da una condotta di pressione non irresistibile da parte del pubblico ufficiale o dell’incaricato di un pubblico servizio, che lascia al destinatario della stessa un margine significativo di autodeterminazione e si coniuga con il perseguimento di un suo indebito vantaggio” mentre nella concussione “si è in presenza di una condotta del pubblico ufficiale che limita radicalmente la libertà di autodeterminazione del destinatario”.

Restiamo in attesa di conoscere le motivazioni della sentenza che saranno pubblicate tempestivamente sul blog non appena disponibili.

Articolo 319 Quater Codice Penale Induzione indebita a dare o promettere utilità

Salvo che il fatto costituisca più grave reato, il pubblico ufficiale o l’incaricato di pubblico servizio che, abusando della sua qualità o dei suoi poteri, induce taluno a dare o a promettere indebitamente, a lui o a un terzo, denaro o altra utilità è punito con la reclusione da tre a otto anni.

Nei casi previsti dal primo comma, chi dà o promette denaro o altra utilità è punito con la reclusione fino a tre anni. ""

Fonte sentenze-cassazione.com, qui:

http://www.sentenze-cassazione.com/legge-severino-il-delle-sezioni-unite-alla-linea-dura/
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Avvocato penalista - Il caso Ruby e le precisazioni della Cassazione circa le differenze tra i reati di Concussione e di Induzione indebita a dare o promettere utilità.
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venerdì 20 febbraio 2015

Avvocato penalista - Il carcere duro, previsto dall'Art. 41 bis dell'Ordinamento Penitenziario, non può applicarsi ai "boss" anziani o gravemente malati.

Avvocato penalista -  Il carcere duro, previsto dall'Art. 41 bis dell'Ordinamento Penitenziario, non può applicarsi ai "boss" anziani o gravemente malati.
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Avvocato penalista -  Il carcere duro, previsto dall'Art. 41 bis dell'Ordinamento Penitenziario, non può applicarsi ai "boss" anziani o gravemente malati.
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"" Cassazione, niente carcere duro per i boss gravemente malati
 
Cassazione, niente carcere duro per i boss gravemente malati
 
Suprema Corte di Cassazione Prima Sezione Penale
Sentenza n. 43890/13
 
No al «carcere duro» per i boss affetti da gravissime malattie è questo ciò che emerge dalla decisione della Cassazione che ha affrontato il tema in occasione del ricorso presentato da un 81enne, detenuto nel carcere di Novara e ritenuto essere un boss di ‘ndrangheta.
 
L’uomo, “per gravi motivi di salute” aveva chiesto di modificare la misura cautelare in carcere con quella degli arresti domiciliari ma il tribunale della libertà di Reggio Calabria incaricato di decidere la richiesta, lo scorso 20 marzo, negava la suddetta modifica poiché, a parere dei giudici calabresi, le patologie di cui era affetto, sebbene fossero gravi, potevano comunque essere curate in carcere.
 
Questa decisione ha portato la vicenda dentro le aule di Piazza Cavour dove gli ermellini hanno affermato il principio per cui “il diritto alla salute del detenuto è prevalente anche sulle esigenze di sicurezza”.
 
Secondo i giudici del Palazzaccio «le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità» e ciò vale anche quando riguarda esponenti di spicco della criminalità.
 
Per il supremo collegio il ricorrente presenta «un quadro patologico serio caratterizzato da patologie cardiache, artrosiche, discali e neurologiche» che lo hanno portato anche alla depressione.
 
Accogliendo il ricorso la Cassazione ha ricordato che il nostro «ordinamento penitenziario» prevede che le pene non possano «consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e che devono tendere alla rieducazione del condannato», attenendosi sempre al principio che «quello alla salute è diritto fondamentale dell’individuo» e, inoltre, «è nel rispetto di un siffatto quadro normativo che il legislatore, pur nel contesto nazionale di fenomeni diffusi e radicati di criminalità organizzata di estremo allarme socio-economico, fenomeni sconosciuti ai maggiori Paesi occidentali, ha articolato una disciplina della carcerazione preventiva attraverso la quale equilibrare le esigenze di giustizia, quelle di tutela sociale con i diritti individuali riconosciuti dalla Costituzione».
 
La Cassazione evidenzia poi che «è fatto divieto di disporre o mantenere la medesima custodia carceraria in costanza di persona affetta da malattia particolarmente grave tale da rendere le sue condizioni di salute incompatibili con lo stato detentivo ovvero non adeguatamente curabili» e, inoltre fa presente che il ricorrente è «persona ultra 80enne affetto da un complesso patologico di sicuro rilievo, di forte incidenza individuale, sicuramente debilitante di essenziali funzioni vitali: l’apparato cardiovascolare, quello articolare deputato alla deambulazione, quella neurologica incidente direttamente sulla percepibilità della funzione emendativa della pena e quella, infine, psicologica, essenziale per la condizione stessa della vivibilità quotidiana».
 
La Cassazione critica l’operato del TDL reggino poiché «nonostante siffatte oggettive premesse ha limitato la sua pur meticolosa disamina alla sola circostanza della compatibilità della detenzione carceraria interinale con lo stato di salute, per poi pervenire, all’esito di un faticosissimo iter procedimentale scandito da perizie e consulenze, ad un giudizio di compatibilità ad avviso del collegio soltanto parziale e non esaustivo».
 
Sulla base di queste considerazioni, Piazza Cavour ha concluso disponendo un nuovo esame davanti al Tribunale della libertà di Reggio Calabria visto che «appare sottovalutato il dato essenziale dell’età del detenuto, ultra ottuagenario, e del pari sottovalutata appare la diagnosticata depressione, l’una e l’altra, nel quadro patologico accertato, complesso e grave, direttamente incidenti sulla normale tollerabilità dello stato detentivo e verosimilmente cagione di una sofferenza aggiuntiva intollerabile per il nostro sistema costituzionale» ricordando al giudice del successivo grado di giudizio che «la valutazione di compatibilità detentiva deve essere particolarmente rigorosa quanto alla sussistenza di una situazione di pericolosità e quanto alla sofferenza ulteriore che in un anziano può provocare lo stato di detenzione». ""
 
Fonte sentenze-cassazione.com, qui:
 
 
Avvocato penalista -  Il carcere duro, previsto dall'Art. 41 bis dell'Ordinamento Penitenziario, non può applicarsi ai "boss" anziani o gravemente malati.
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giovedì 19 febbraio 2015

Avvocato penalista - La procura rilasciata all’avvocato per la presentazione della querela sottende, almeno per quel momento, la nomina di difensore del querelante.

Avvocato penalista - La procura rilasciata all’avvocato per la presentazione della querela sottende, almeno per quel momento, la nomina di difensore del querelante.
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Avvocato penalista - La procura rilasciata all’avvocato per la presentazione della querela sottende, almeno per quel momento, la nomina di difensore del querelante.
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"" Querela, autentica, procura speciale avvocato e mandato alle liti

Querela, autentica, procura speciale avvocato e mandato alle liti

Suprema Corte di Cassazione, Penale Quarta Sezione
Sentenza 16 maggio – 19 novembre 2013, n. 46282
Presidente Brusco – Relatore Savino

Con la sentenza che si riporta la Cassazione ha affrontato un tema molto interessante relativo al mandato alla procura speciale conferita all’avvocato per il deposito della querela.

Nello specifico la Corte ha affermato che il suddetto conferimento di per investire il legale anche del mandato alle liti.

Secondo Piazza Cavour l’autenticazione da parte del legale “può valere anche come autenticazione della firma del querelante in relazione alla querela stessa”.

In conclusione, gli ermellini hanno precisato che “È vero che non è valido l’atto di querela qualora l’autenticazione della firma del querelante non sia effettuata dall’avvocato designato come difensore.

Tuttavia ritiene il collegio che l’avvocato cui sia stata conferita procura speciale per il deposito della querela sia investito anche del mandato alle liti, diversamente non avrebbe senso rilasciargli procura ai soli fini di un adempimento ben circoscritto se non fosse il difensore della parte offesa; in quanto tale, esso è legittimato ad autenticare la sottoscrizione della querela.

In definitiva la procura rilasciata all’avvocato per la presentazione della querela sottende necessariamente la nomina, almeno per quel momento, di difensore del querelante, anche se indicata in modo improprio, ed è dunque dimostrativa di un rapporto professionale fra la parte offesa e il legale in relazione all’instaurando procedimento cui la querela si riferisce, con la conseguenza che esso è legittimato all’autenticazione. (Cass. sez. V 17.2.010, n. 19469, rv 247146).“ ""

Fonte sentenze-cassazione.com, qui:

http://www.sentenze-cassazione.com/querela-autentica-procura-speciale-avvocato-e-mandato-alle-liti/
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Avvocato penalista - La procura rilasciata all’avvocato per la presentazione della querela sottende, almeno per quel momento, la nomina di difensore del querelante.
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mercoledì 18 febbraio 2015

Avvocato penalista - Integra il reato di Lesioni personali colpose, Articolo 590 del Codice Penale, il fatto di chi lasci il proprio cane senza guinzaglio.

Avvocato penalista - Integra il reato di Lesioni personali colpose, Articolo 590 del Codice Penale, il fatto di chi lasci il proprio cane senza guinzaglio.
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Avvocato penalista - Integra il reato di Lesioni personali colpose, Articolo 590 del Codice Penale, il fatto di chi lasci il proprio cane senza guinzaglio.
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"" Lesioni colpose, cane senza guinzaglio, condannato il padrone

Lesioni colpose, cane senza guinzaglio, condannato il padrone

Suprema Corte di Cassazione Penale Quarta Sezione
Sentenza del 20 novembre 2013 n. 46307

Con la sentenza in commento la Suprema Corte, in materia di lesioni colpose provocate da un cane lasciato senza guinzaglio, ha condannato il padrone dell’animale perché col suo comportamento,  non aveva messo in atto tutte le cautele necessarie per prevenire possibili aggressioni ai passanti da parte del dobermann.

Infatti, si legge in sentenza, il padrone “Aveva lasciato libero in area aperta al pubblico un cane doberman di notevoli dimensioni, senza guinzaglio, omettendo quindi le necessarie cautele dirette a prevenire azioni aggressive del cane, che infatti aveva aggredito una donna che procedeva in bicicletta, che cadeva a terra, procurandosi le lesioni di cui al capo di imputazione”. ""

Fonte sentenze-cassazione.com, qui:

http://www.sentenze-cassazione.com/lesioni-colpose-cane-senza-guinzaglio-condannato-il-padrone/
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Avvocato penalista - Integra il reato di Lesioni personali colpose, Articolo 590 del Codice Penale, il fatto di chi lasci il proprio cane senza guinzaglio.
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martedì 17 febbraio 2015

Avvocato penalista - Il sequestro per equivalente e il fondo patrimoniale dei coniugi in regime di separazione dei beni.

Avvocato penalista - Il sequestro per equivalente e il fondo patrimoniale dei coniugi in regime di separazione dei beni.
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Avvocato penalista - Il sequestro per equivalente e il fondo patrimoniale dei coniugi in regime di separazione dei beni.
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"" Confisca per equivalente, fondo patrimoniale, beni, coniugi

Confisca per equivalente, fondo patrimoniale, beni, coniugi

Suprema Corte di Cassazione Terza Sezione Penale
Sentenza del 7 gennaio 2014 n. 129

Con la sentenza che di seguito si riporta, la Cassazione ha esaminato un interessante caso relativo alla legittimità del sequestro per equivalente di un bene appartenente al fondo patrimoniale costituito dai coniugi in separazione dei beni.

Nello specifico, la terza sezione penale ha osservato che “non è richiesto, ai fini della sequestrabilità per equivalente delle somme sul c/c del coniuge dell’indagato, che debbano sussistere indizi chiari in ordine all’illecito utilizzo che dello stesso è stato fatto da parte del coniuge indagato, come sostenuto dalla difesa, giacché, altrimenti, si verrebbe a ristabilire la necessità di un nesso pertinenziale tra la “res” ed il reato che la legge, con l’istituto della confisca per equivalente, ha inteso invece escludere“. ""

Fonte sentenze-cassazione.com, qui:

http://www.sentenze-cassazione.com/confisca-equivalente-fondo-patrimoniale-beni-coniugi/
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Avvocato penalista - Il sequestro per equivalente e il fondo patrimoniale dei coniugi in regime di separazione dei beni.
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lunedì 16 febbraio 2015

Avvocato penalista - Lo Stalking (Atti persecutori, Art. 612 bis del Codice Penale) e la reciprocità delle molestie.

Avvocato penalista - Lo Stalking (Atti persecutori, Art. 612 bis del Codice Penale) e la reciprocità delle molestie.
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Avvocato penalista - Lo Stalking (Atti persecutori, Art. 612 bis del Codice Penale) e la reciprocità delle molestie.
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"" Lo stalking e la reciprocità delle molestie

Lo stalking e la reciprocità delle molestie

Suprema Corte di Cassazione Sezione Terza Penale
Sentenza 14 novembre 2013 n. 45648

La Cassazione, nella sentenza che si riporta, in mateia di stalking ha fatto alcune precisazioni relative all’esclusione o meno della fattispecie delittuosa nel caso in cui si ha reciprocità nei comportamenti molesti.

Più nello specifico, la terza sezione penale ha spiegato che “la reciprocità dei comportamenti molesti non esclude la configurabilità del delitto di atti persecutori, incombendo, in tale ipotesi, sul giudice un più accurato onere di motivazione in ordine alla sussistenza dell’evento di danno, ossia dello stato d’ansia o di paura della presunta persona offesa”. ""

Fonte sentenze-cassazione.com, qui:

http://www.sentenze-cassazione.com/stalking-reciprocita-molestie/
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Avvocato penalista - Lo Stalking (Atti persecutori, Art. 612 bis del Codice Penale) e la reciprocità delle molestie.
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domenica 15 febbraio 2015

Avvocato penalista - Art. 157, quinto comma, del Codice Penale; è inammissibile la sua questione di legittimità costituzionale in tema di attenuanti generiche, recidiva, giudizio di comparazione delle circostanze di reato per i recidivi, usura e prescrizione.

Avvocato penalista -  Art. 157, quinto comma, del Codice Penale; è inammissibile la sua questione di legittimità costituzionale in tema di attenuanti generiche, recidiva, giudizio di comparazione delle circostanze di reato per i recidivi, usura e prescrizione.
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Avvocato penalista -  Art. 157, quinto comma, del Codice Penale; è inammissibile la sua questione di legittimità costituzionale in tema di attenuanti generiche, recidiva, giudizio di comparazione delle circostanze di reato per i recidivi, usura e prescrizione.
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"" Corte Costituzionale, reati, pena, prescrizione triennale

Corte Costituzionale, reati, pena, prescrizione triennale
Corte Costituzionale, ordinanza 28 – 30 gennaio 2014, n. 16
Presidente Silvestri – Redattore Criscuolo

Ordinanza

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 157, quinto comma, del codice penale, promosso dal Tribunale ordinario di Firenze, sezione distaccata di Empoli, nel procedimento penale a carico di S.S. ed altro, con ordinanza del 29 marzo 2007, iscritta al n. 183 del registro ordinanze 2013 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 36, prima serie speciale, dell’anno 2013.

Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 15 gennaio 2014 il Giudice relatore Alessandro Criscuolo.

Ritenuto che il Tribunale ordinario di Firenze, sezione distaccata di Empoli, con ordinanza del 29 marzo 2007 (r.o. n. 183 del 2013), pervenuta alla Corte costituzionale il 13 novembre 2012, ha sollevato – in riferimento all’art. 3 della Costituzione – questione di legittimità costituzionale dell’art. 157, quinto comma, del codice penale, come sostituito dall’art. 6 della legge 5 dicembre 2005, n. 251 (Modifiche al codice penale e alla legge 26 luglio 1975, n. 354, in materia di attenuanti generiche, di recidiva, di giudizio di comparazione delle circostanze di reato per i recidivi, di usura e di prescrizione), «nella parte in cui non prevede che il termine triennale di prescrizione non possa trovare applicazione con riferimento anche agli altri reati attribuiti alla competenza del Giudice di pace puniti con pena diversa da quella detentiva e da quella pecuniaria»;

che, secondo il rimettente, il termine triennale di prescrizione fissato dalla norma censurata troverebbe effettiva applicazione con riguardo ai reati attribuiti alla competenza del giudice di pace, per i quali possono essere irrogate le sanzioni «paradetentive» della permanenza domiciliare e del lavoro di pubblica utilità (art. 52 del decreto legislativo 28 agosto 2000, n. 274, recante «Disposizioni sulla competenza penale del giudice di pace, a norma dell’articolo 14 della legge 24 novembre 1999, n. 468»);

che nel giudizio a quo si procede, secondo quanto riferito dal rimettente, per il reato di lesioni personali (art. 582 cod. pen.), nonché per i reati di ingiuria (art. 594 cod. pen.) e minaccia (art. 612 cod. pen.);

che per la seconda e la terza fattispecie di reato non sono applicabili le sanzioni «paradetentive»;

che la prescrizione triennale prevista dall’art. 157, quinto comma, cod. pen., sarebbe quindi applicabile al reato più grave di lesioni personali, punibile, ai sensi dell’art. 52, comma 2, lettera b), del d.lgs. n. 274 del 2000, con pene diverse da quella detentiva e da quella pecuniaria, ma non ai reati meno gravi di ingiuria e minaccia, punibili, ai sensi dell’art. 52, comma 2, lettera a), del d.lgs. n. 274 del 2000, con la sola pena pecuniaria;

che per i delitti meno gravi, puniti con la sola pena pecuniaria, il tempo necessario a prescrivere sarebbe di sei anni, secondo il disposto del primo comma dell’art. 157 cod. pen.;

che, in questo quadro, ad avviso del rimettente la questione di legittimità costituzionale sollevata dai difensori con riferimento all’art. 3 Cost. non sarebbe manifestamente infondata;

che il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, è intervenuto in giudizio con atto depositato il 24 settembre 2013, chiedendo che la questione sia dichiarata non fondata;

che la difesa dello Stato ricorda come, con diversi provvedimenti (sono citate la sentenza n. 2 del 2008 e l’ordinanza n. 223 del 2008), la Corte costituzionale abbia già ritenuto infondate questioni dello stesso genere;

che in particolare, secondo la stessa Avvocatura, un unico termine triennale di prescrizione varrebbe per tutti i reati di competenza del giudice di pace, così da restare esclusa ogni ingiustificata disparità di trattamento.

Considerato che la questione sollevata dal Tribunale ordinario di Firenze, sezione distaccata di Empoli, relativamente al quinto comma dell’art. 157 del codice penale, è manifestamente inammissibile;

che, infatti, l’ordinanza di rimessione risulta priva di un’adeguata descrizione della fattispecie concreta;

che, in particolare, il giudice rimettente ha omesso di indicare quali fossero i capi di imputazione, limitandosi ad enunciare le norme incriminatrici poste ad oggetto della contestazione, e neppure ha riferito la data di commissione dei reati;

che il giudice a quo non ha fornito informazioni circa il corso della prescrizione e l’esistenza di eventuali cause di interruzione o sospensione;

che tali carenze precludono a questa Corte la possibilità di svolgere ogni controllo sulla rilevanza della questione nel giudizio a quo;

che, infine, il rimettente non ha esposto con sufficiente chiarezza le ragioni del ritenuto contrasto tra la norma censurata e l’art. 3 Cost.;

che, secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte, sono inammissibili le questioni caratterizzate da genericità della prospettazione, omessa indicazione del contenuto dei parametri di riferimento e carente motivazione in ordine alle ragioni per cui le disposizioni censurate ne comporterebbero la violazione (ex plurimis: sentenze n. 326 e n. 168 del 2008, n. 38 del 2007; ordinanze n. 48 del 2012, n. 175 del 2009);

Visti gli articoli 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, comma 2, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

per questi motivi LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell’art. 157, quinto comma, del codice penale, come sostituito dall’art. 6 della legge 5 dicembre 2005, n. 251 (Modifiche al codice penale e alla legge 26 luglio 1975, n. 354, in materia di attenuanti generiche, di recidiva, di giudizio di comparazione delle circostanze di reato per i recidivi, di usura e di prescrizione), sollevata, in riferimento all’art. 3 della Costituzione, dal Tribunale ordinario di Firenze, sezione distaccata di Empoli, con l’ordinanza indicata in epigrafe.""

Fonte sentenze-cassazione.com, qui:

http://www.sentenze-cassazione.com/corte-costituzionale-reati-pena-prescrizione-triennale/
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Avvocato penalista -  Art. 157, quinto comma, del Codice Penale; è inammissibile la sua questione di legittimità costituzionale in tema di attenuanti generiche, recidiva, giudizio di comparazione delle circostanze di reato per i recidivi, usura e prescrizione.
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sabato 14 febbraio 2015

Avvocato penalista - In tema di impugnazioni in ambito penale, la specificità che deve connotare i motivi di appello deve essere intesa alla luce del principio del favor impugnationis.

Avvocato penalista - In tema di impugnazioni in ambito penale, la specificità che deve connotare i motivi di appello deve essere intesa alla luce del principio del favor impugnationis.
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Avvocato penalista - In tema di impugnazioni in ambito penale, la specificità che deve connotare i motivi di appello deve essere intesa alla luce del principio del favor impugnationis.
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"" Appello generico inammissibile e il favor impugnationis

Appello generico inammissibile e il favor impugnationis

Corte di Cassazione, Seconda Sezione Penale
Sentenza 4 – 20 dicembre 2012, n. 49424
Presidente Esposito – Relatore Iasillo

Il caso relativo alla sentenza in commento, riguarda la decisione presa dalla Corte d’appello di Milano che aveva dichiarato inammissibile un ricorso perché ritenuto troppo generico.

L’imputato, costretto ad adire la Corte di Piazza Cavour, ha proposto ricorso avverso tale ordinanza contestando quanto stabilito dalla Corte territoriale e rappresentando ai Supremi Giudici le specifiche questioni che erano state sollevate nel primo ricorso.

La Cassazione, nel valutare il caso, ha ritenuto che “l’atto di impugnazione riscontra i requisiti di cui art. 581 cod. proc. penale.

Infatti, si tratta, in buona sostanza, di doglianze non scollegate dalla sentenza di primo grado impugnata, con le quali l’appellante, continuando a coltivare la propria linea difensiva, si era dunque tuttavia comunque confrontato, così formulando motivi di appello che presentavano quelle necessarie, sia pur ridotte all’essenziale, connotazioni di specificità, idonee a far sorgere il diritto ad una risposta della Corte d’Appello, in applicazione del principio del “favor impugnationis”.

Invece, la Corte territoriale non ha affrontato nessuno dei temi proposti con l’appello e ha utilizzato un modello stereotipato di ordinanza che può valere per qualsiasi caso.

In proposito questa Corte Suprema ha più volte affermato il principio che in tema di impugnazioni, la specificità che deve caratterizzare i motivi di appello deve essere intesa alla luce del principio del “favor impugnationis”, in virtù del quale, in sede di appello, l’esigenza di specificità del motivo di gravame ben può essere intesa e valutata con minore rigore rispetto al giudizio di legittimità, avuto riguardo alle peculiarità di quest’ultimo (Sez. 4, Ordinanza n. 48469 del 07/12/2011 Cc. – dep. 28/12/2011 – Rv. 251934)“. ""

Fonte sentenze-cassazione.com, qui:

http://www.sentenze-cassazione.com/appello-generico-inammissibile-il-favor-impugnationis/
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Avvocato penalista - In tema di impugnazioni in ambito penale, la specificità che deve connotare i motivi di appello deve essere intesa alla luce del principio del favor impugnationis.
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venerdì 13 febbraio 2015

Avvocato penalista - Il concorso esterno in associazione mafiosa e la presunzione di adeguatezza della custodia cautelare secondo i criteri indicati dall'Art. 275 del Codice di Procedura Penale.

Avvocato penalista - Il concorso esterno in associazione mafiosa e la presunzione di adeguatezza della custodia cautelare secondo i criteri indicati dall'Art. 275 del Codice di Procedura Penale.
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Avvocato penalista - Il concorso esterno in associazione mafiosa e la presunzione di adeguatezza della custodia cautelare secondo i criteri indicati dall'Art. 275 del Codice di Procedura Penale.
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"" Presunzione di adeguatezza, custodia cautelare e concorso esterno in associazione mafiosa

Presunzione di adeguatezza, custodia cautelare e concorso esterno in associazione mafiosa

Suprema Corte di Cassazione Penale Prima Sezione
Sentenza 22 gennaio 2014 (ud. 17 ottobre 2013), n. 2946
Presidente Siotto, Relatore Magi

Ancora una volta, dopo la sentenza n.57 del 2013, la Cassazione ha affronta il tema del concorso esterno in associazione mafiosa.

L’esame della Corte si è soffermato nella distinzione tra la figura del concorso esterno in associazione mafiosa e quella differente dell’ipotesi della commissione di un reato aggravato dall’art. 7 legge 203 del 1991 –  l’aggravante per i delitti commessi avvalendosi delle condizioni previste dall’articolo 416-bis del codice penale ovvero al fine di agevolare l’attività delle associazioni previste dallo stesso articolo.

Articolo 275 Codice di Procedura Penale Criteri di scelta delle misure.

1. Nel disporre le misure, il giudice tiene conto della specifica idoneità di ciascuna in relazione alla natura e al grado delle esigenze cautelari [274] da soddisfare nel caso concreto.

1bis. Contestualmente ad una sentenza di condanna, l’esame delle esigenze cautelari è condotto tenendo conto anche dell’esito del procedimento delle modalità del fatto e degli elementi sopravvenuti, dai quali possa emergere che, a seguito della sentenza, risulta taluna delle esigenze indicate nell’articolo 274, comma 1, lettere b) e c).

2. Ogni misura deve essere proporzionata all’entità del fatto e alla sanzione che sia stata o si ritiene possa essere irrogata.

2bis. Non può essere disposta la misura della custodia cautelare [284, 285, 286] se il giudice ritiene che con la sentenza possa essere concessa la sospensione condizionale della pena.

2ter. Nei casi di condanna di appello le misure cautelari personali sono sempre disposte, contestualmente alla sentenza, quando, all’esito dell’esame condotto a norma del comma 1bis, risultano sussistere esigenze cautelari previste dall’articolo 274 e la condanna riguarda uno dei delitti previsti dall’articolo 380, comma 1, e questo risulta commesso da soggetto condannato nei cinque anni precedenti per delitti della stessa indole.

3. La custodia cautelare in carcere[285] può essere disposta soltanto quando ogni altra misura risulti inadeguata [292 lett. c-bis)]. Quando sussistono gravi indizi di colpevolezza in ordine ai delittidi cui all’articolo 51, commi 3 -bis e 3 -quater , nonché in ordine ai delitti di cui agli articoli 575, 600 -bis , primo comma, 600 -ter , escluso il quarto comma, e 600 -quinquies del codice penale, è applicata la custodia cautelare in carcere, salvo che siano acquisiti elementi dai quali risulti che non sussistono esigenze cautelari [347 3].

4. Non può essere disposta la custodia cautelare in carcere [285], salvo che sussistano esigenze cautelari di eccezionale rilevanza, quando imputatisiano donna incinta o madre di prole di età inferiore a tre anni con lei convivente, ovvero padre, qualora la madre sia deceduta o assolutamente impossibilitata a dare assistenza alla prole, ovvero persona che ha superato l’età di settanta anni.

4bis. Non può essere disposta né mantenuta la custodia cautelare in carcere quando l’imputato è persona affetta da AIDS conclamata o da grave deficienza immunitaria accertate ai sensi dell’articolo 286bis, comma 2, ovvero da altra malattia particolarmente grave, per effetto della quale le sue condizioni di salute risultano incompatibili con lo stato di detenzione e comunque tali da non consentire adeguate cure in caso di detenzione in carcere.

4ter. Nell’ipotesi di cui al comma 4bis, se sussistono esigenze cautelari di eccezionale rilevanza e la custodia cautelare presso idonee strutture sanitarie penitenziarie non è possibile senza pregiudizio per la salute dell’imputato o di quella degli altri detenuti, il giudice dispone la misura degli arresti domiciliari presso un luogo di cura o di assistenza o di accoglienza.

Se l’imputato è persona affetta da AIDS conclamata o da grave deficienza immunitaria, gli arresti domiciliari possono essere disposti presso le unità operative di malattie infettive ospedaliere ed universitarie o altre unità operative prevalentemente impegnate secondo i piani regionali nell’assistenza ai casi di AIDS, ovvero presso una residenza collettiva o casa alloggio di cui all’articolo 1, comma 2, della legge 5 giugno 1990, n. 135.

4quater. Il giudice può comunque disporre la custodia cautelare in carcere qualora il soggetto risulti imputato o sia stato sottoposto ad altra misura cautelare per uno dei delitti previsti dall’articolo 380, relativamente a fatti commessi dopo l’applicazione delle misure disposte ai sensi dei commi 4bis e 4ter. In tal caso il giudice dispone che l’imputato venga condotto in un istituto dotato di reparto attrezzato per la cura e l’assistenza necessarie.

4quinquies. La custodia cautelare in carcere non può comunque essere disposta o mantenuta quando la malattia si trova in una fase così avanzata da non rispondere più, secondo le certificazioni del servizio sanitario penitenziario o esterno, ai trattamenti disponibili e alle terapie curative.

5. Non può essere disposta la custodia cautelare in carcere, salvo che sussistano esigenze cautelari di eccezionale rilevanza, quando imputata è una persona tossicodipendente o alcooldipendente che abbia in corso un programma terapeutico di recupero nell’ambito di una struttura autorizzata [283 5], e l’interruzione del programma può pregiudicare la disintossicazione dell’imputato.

Con lo stesso provvedimento, o con altro successivo, il giudice stabilisce i controlli necessari per accertare che il tossicodipendente o l’alcooldipendente prosegua il programma di recupero.

Le disposizioni del presente comma non si applicano nel caso in cui si procede per uno dei delitti previsti dal comma 3.

Nelle motivazioni della sentenza la Corte osserva che “il concorrente esterno, infatti, è – in modo non difforme rispetto all’ordinario partecipe del reato associativo – un soggetto che assicura, con condotta causalmente orientata, il raggiungimento dei fini cui mira il sodalizio criminoso (la sua condotta è pienamente espressiva dei connotati di  illiceità di cui all’art. 416-bis c.p.); il soggetto che, invece, compie una specifica ipotesi di reato aggravata dalla finalità di agevolazione mafiosa esprime un disvalore limitato al singolo episodio incriminato e non tale da determinare un materiale effetto di stabilizzazione del suo rapporto con il clan.

Tali elementi di differenziazione, d’altronde, sono stati considerati dalla citata pronuncia della Corte Costituzionale secondo cui “la posizione dell’autore di delitti commessi avvalendosi del cd. “metodo mafioso”  o al fine di agevolare le attività delle associazione di cui non faccia parte, si rivela non equiparabile a quella dell’associato o del concorrente nella fattispecie associativa, per la quale la presunzione dell’art. 275 c.3 c.p.p risponde a dati di esperienza generalizzati“. ""

Fonte sentenze-cassazione.com, qui:

http://www.sentenze-cassazione.com/presunzione-adeguatezza-custodia-cautelare-concorso-esterno-associazione-mafiosa/
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Avvocato penalista - Il concorso esterno in associazione mafiosa e la presunzione di adeguatezza della custodia cautelare secondo i criteri indicati dall'Art. 275 del Codice di Procedura Penale.
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giovedì 12 febbraio 2015

Avvocato penalista - Nei casi di detenzione di droga a fine di spaccio occorre differenziare la figura del concorrente nel reato dalla figura del connivente.

Avvocato penalista - Nei casi di detenzione di droga a fine di spaccio occorre differenziare la figura del concorrente nel reato dalla figura del connivente.
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Avvocato penalista - Nei casi di detenzione di droga a fine di spaccio occorre differenziare la figura del concorrente nel reato dalla figura del connivente. 
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"" Detenzione droga, assistenza passiva, concorrente, connivente

Detenzione droga, assistenza passiva, concorrente, connivente

Suprema Corte di Cassazione IV Sezione Penale
Sentenza 12 dicembre 2013 – 29 gennaio 2014, n. 4055
Presidente Brusco – Relatore Iannello

Con la sentenza in commento la Cassazione ha esaminato un interessante caso che gli ha permesso di differenziare le figure di chi concorre nel reato da quella di assistenza passiva nello stesso ovvero del connivente nel reato.

Piazza Cavour rileva che “la distinzione tra connivenza non punibile e concorso nel reato va individuata nel fatto che, mentre la prima postula che l’agente mantenga un comportamento meramente passivo, inidoneo ad apportare alcun contributo alla realizzazione del reato, nel concorso di persona punibile è richiesto, invece, un contributo partecipativo – morale o materiale – alla condotta criminosa altrui, caratterizzato, sotto il profilo psicologico, dalla coscienza e volontà di arrecare un contributo concorsuale alla realizzazione dell’evento illecito (Sez. 6, n. 14606 del 18/02/2010, lemma, Rv. 247127) assicurando all’altro concorrente, anche implicitamente, una collaborazione sulla quale questi può contare (cfr. Sez. 6, n. n. 49764 del 11/11/2009, Hammani, non mass.).

Il concorso ex art. 110 cod. pen. esige infatti un contributo causale in termini, sia pur minimi, di facilitazione della condotta delittuosa, mentre la semplice conoscenza o anche l’adesione morale, l’assistenza inerte e senza iniziative a tale condotta non realizzano la fattispecie concorsuale (v. ex plurimis sez. 4, n. 3924 del 05/02/1998, Brescia, Rv 210638; Sez. 6, n. 9930 del 03/06/1994, Campostrini, Rv. 199162; Sez. 6, n. 11383 del 20/10/1994, Bonaffini, Rv. 199634; Sez. 5, n. 2 del 22/11/1994 – dep. 04/01/1995, Sbrana, Rv. 200310).

Più precisamente, in tema di detenzione illecita di sostanza stupefacente, la giurisprudenza di questa Corte suprema – spesso con riferimento al caso del coniuge o convivente, che però non presenta profili tali da non consentire di desumerne affermazioni applicabili anche al caso in esame – ha costantemente escluso il concorso ex art. 110 cod. pen. in ipotesi di semplice comportamento negativo di chi assiste passivamente alla perpetrazione del reato e non ne impedisce ed ostacola in vario modo la esecuzione, dato che non sussiste in tal caso un obbligo giuridico (art. 40 comma 2 cod. pen.) di impedire l’evento (cfr. Sez. 6, n. 12725 del 22 dicembre 1994, Riggio, Rv. 199894).

Ne consegue che il solo comportamento omissivo, di mancata opposizione alla detenzione di droga da parte di “altri” non costituisce segno univoco di partecipazione morale; ferma restando la regola che, ai fini della configurazione del concorso nel reato di cui all’art. 73, comma 1, d.P.R. n. 309 del 1990, è necessario e sufficiente che taluno partecipi all’altrui attività criminosa con la semplice volontà di adesione, che può manifestarsi in forme di agevolazione della detenzione anche solo assicurando al correo una relativa sicurezza, consistente nella consapevolezza dell’agente di apportare un contributo causale alla condotta altrui, già in atto ovvero nella disponibilità, anche implicitamente manifestata, di addurre, in caso di bisogno e di necessità, comunque una propria attiva collaborazione, per cui l’aiuto che in seguito dovesse essere prestato viene a rientrare nella fattispecie del concorso di persona nel reato e non del favoreggiamento (Sez. 4, n. 4243 del 22/04/1997, Contaldo, Rv. 207799)”.

La Corte però ribadisce anche che “il concorso è parimenti configurabile anche in ragione della semplice presenza, purché non meramente casuale, sul luogo dell’esecuzione del reato, quando essa sia servita a fornire all’autore del fatto stimolo all’azione o un maggior senso di sicurezza nella propria condotta (v. Sez. 6, n. 1108 del 4/12/1996 – dep. 06/02/1997, Famiano, Rv. 206785)”.

Secondo gli ermellini dunque il giudice di merito non ha fatto corretta ed integrale applicazione dei principi suindicati e, per questo motivo hanno annullato senza rinvio la sentenza impugnata per non aver l’imputato commesso il fatto. ""

Fonte sentenze-cassazione.com, qui:

http://www.sentenze-cassazione.com/detenzione-droga-assistenza-passiva-concorrente-connivente/
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Avvocato penalista - Nei casi di detenzione di droga a fine di spaccio occorre differenziare la figura del concorrente nel reato dalla figura del connivente. 
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mercoledì 11 febbraio 2015

Avvocato penalista - Essere incensurato non impone, solo per ciò, la concessione delle attenuanti generiche.

Avvocato penalista - Essere incensurato non impone, solo per ciò, la concessione delle attenuanti generiche.
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Avvocato penalista - Essere incensurato non impone, solo per ciò, la concessione delle attenuanti generiche.
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"" Incensuratezza e attenuanti generiche

Incensuratezza e attenuanti generiche

Suprema Corte di Cassazione III Sezione Penale
Sentenza 15 gennaio – 10 febbraio 2014, n. 6102
Presidente Mannino – Relatore Gentili

La Cassazione, con la sentenza che ripotiamo, ha esaminato una questione di grande interesse, relativa alla concessione delle attenuanti generiche nei confronti di chi è incensurato.

La questione giunta fino a Piazza Cavour era stata trattata nelle precedenti fasi di merito con decisioni discordanti tra la Corte d’Appello e il Giudice di prime cure.

Gli ermellini hanno ribadito che “come è noto, (l’incensuratezza) non può da sola sostenere il beneficio” ma sul punto hanno anche precisato che è stato per lunghi anni jus receptum che “l’incensuratezza dell’imputato costituisce elemento valido di giudizio per concedere le attenuanti generiche” (Corte di cassazione, Sez. Ili penale, 10 maggio 1965, n. 1600, si cita volutamente una lontana sentenza onde mettere in luce il radicamento temporale del detto orientamento); tale indirizzo, coerente con l’allora vigente assetto normativo, è stato, di recente, superato per effetto dell’espresso dettato legislativo; infatti l’attuale testo dell’art. 62-bis, comma terzo, cod. pen. prevede che: “In ogni caso, l’assenza di precedenti condanne per altri reati a carico del condannato non può essere, per ciò solo, posta fondamento della concessione delle circostanze di cui al primo comma“.

“È questo, evidentemente, il vincolo negativo cui si riferisce la Corte territoriale nell’escludere la concedibilità delle circostanze attenuanti generiche nel caso di specie.

Va, però, precisato che, inserita la predetta disposizione, sotto forma di novella, nel testo originario dell’art. 62-bis, cod pen., a seguito della entrata in vigore della legge 24 luglio 2008, n. 125, di conversione del decreto legge 27 maggio 2008, n. 92, essa è applicabile, stante la sua schietta natura di norma di diritto penale sostanziale, solo per i fatti commessi successivamente alla sua entrata in vigore (Corte di cassazione, Sez. I penale, 19 maggio 2009, n. 23014)”. ""

Fonte sentenze-cassazione.com, qui:

http://www.sentenze-cassazione.com/incensuratezza-attenuanti-generiche/
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Avvocato penalista - Essere incensurato non impone, solo per ciò, la concessione delle attenuanti generiche.

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