http://www.avvocato-penalista-cirolla.blogspot.com/google4dd38cced8fb75ed.html Avvocato penalista ...: giugno 2015

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martedì 30 giugno 2015

Avvocato penalista - Per la Cassazione anche una valanga di email non inquadrano, né costituiscono, il delitto di Atti persecutori (Stalking), Art. 612 bis c. p., perché "il fatto non è previsto dalla legge come reato".

Avvocato penalista - Per la Cassazione anche una valanga di email non inquadrano, né costituiscono, il delitto di Atti persecutori (Stalking), Art. 612 bis c. p., perché "il fatto non è previsto dalla legge come reato".
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Avvocato penalista - Per la Cassazione anche una valanga di email non inquadrano, né costituiscono, il delitto di Atti persecutori (Stalking), Art. 612 bis c. p., perché "il fatto non è previsto dalla legge come reato".
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"" Niente stalking se le molestie arrivano via mail.

Niente stalking se le molestie arrivano via mail.

Corte di Cassazione Sentenza n. 44855/2012.

La Cassazione affronta nuovamente il tema dello stalking ma questa volta i giudici sono stati chiamati a decidere se un determinato comportamento, consistente nell’invio continuo di mail, debba o meno considerarsi tale da  configurare la citata fattispecie di reato.

Recentemente la Corte aveva stabilito che il disturbo arrecato (dallo stalker alla vittima) con l’invio continuo di SMS era da considerarsi invasivo e idoneo alla configurazione del reato perché “il reato di cui all’art. 612 bis c.p. non richiede una particolare durata temporale delle condotte, essendo sufficiente la mera reiterazione delle stesse, ravvisabile anche nella commissione di due episodi di minaccia o molestia“ (sentenza n. 14997 del 18 aprile 2012).

In particolare, nella sentenza appena descritta la Corte ha ritenuto anche irrilevante il fatto che l’imputato abbia commesso il reato ubriaco e quindi, come sostenuto dalla sua difesa, non in grado di intendere e volere.

Le situazioni che si possono creare in materia di stlaking sono comunque tutte da valutare caso per caso infatti non sono rare le situazioni che hanno originato diversi trattamenti per lo stlaker o il presunto tale fino addirittura a disporre e giustificare nei confronti di quest’ultimo (nei casi un cui sia davvero assillante e recidivo) la custodia cautelare in carcere anche prima del processo non reputando esser sufficienti la misura degli arresti domiciliari oppure inibire allo stalker l’uso di pc e telefono (Sentenza n. 44133/11).

Il caso trattato dalla V Sezione penale della Suprema Corte di Cassazione riguarda invece l’invio continuo di Mail e ció che colpisce in questa ultima sentenza riguarda la differenza sostanziale che i giudici hanno fatto rispetto all’invio di SMS.

Se gli SMS sono invasivi e disturbano la vittima non é la stessa cosa per le mail perché possono essere cancellate senza essere aperte.

Questo é ció che ha stabilito la Corte con la sentenza n. 44855/2012 in cui ha affermato che non si configura alcuna molestia se giunge alla vittima sotto forma di mail.

Questa decisione é stata presa trattando il caso di un ufficiale addetto alle comunicazioni radio che a bordo di una nave crociera aveva conosciuto una ragazza instaurando con la stessa una relazione poi finita male.

La Cassazione ha accolto parzialmente il ricorso presentato dall’imputato perché non ha ritenuto invasivi i messaggi di posta elettronica inviati dall’ufficiale di Marina alla donna che lo aveva respinto.

Certamente le suddette mail importunavano la donna ma il fatto che questa potesse cestinarle senza leggerle ha portato il giudizio della corte verso una decisione diversa rispetto a quella presa per gli SMS.

Infatti, proprio per questo motivo, accolto dalla Cassazione, i giudici hanno emesso una sentenza diversa rispetto a quella della Corte d’Appello di Milano che aveva condannato l’uomo per i reati di tentata violenza privata, molestie, accesso abusivo ad un sistema informatico e intercettazione di comunicazioni telematiche.

Secondo i giudici del Palazzaccio “il reato di molestie non si può verificare qualora si tratti di messaggi di posta elettronica privi, in quanto tali, del carattere della invasività” tipica dei messaggi sms.

La Cassazione ha pertanto inviato tutto nuovamente alla Corte d’Appello per riconsiderare e rideterminare (al ribasso) la pena nei confronti dell’ufficiale.

In conclusione, per la Cassazione anche una valanga di mail non inquadrano non costituiscono stalking perché «il fatto non è previsto dalla legge come reato». ""

Fonte sentenze-cassazione.com, qui:

http://www.sentenze-cassazione.com/niente-stalking-se-le-molestie-arrivano-via-mail/
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Avvocato penalista - Per la Cassazione anche una valanga di email non inquadrano, né costituiscono, il delitto di Atti persecutori (Stalking), Art. 612 bis c. p., perché "il fatto non è previsto dalla legge come reato".
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lunedì 29 giugno 2015

Avvocato penalista - Integra il reato di Maltrattamento di animali, Art. 544 ter del Codice Penale, lasciare il cane chiuso all'interno di una autovettura.

Avvocato penalista - Integra il reato di Maltrattamento di animali, Art. 544 ter del Codice Penale, lasciare il cane chiuso all'interno di una autovettura.
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Avvocato penalista - Integra il reato di Maltrattamento di animali, Art. 544 ter del Codice Penale, lasciare il cane chiuso all'interno di una autovettura.
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"" Cassazione : é reato lasciare il cane in macchina

Cassazione : é reato lasciare il cane in macchina

Corte di Cassazione Terza Sezione Penale Sentenza n. 44902 / 2012

Guai a lasciare il cane in macchina si rischia una condanna per il reato di maltrattamento di animali, lo dice la Cassazione.

La terza sezione penale della Suprema Corte di Cassazione, rigettanto il ricorso di una donna presentato avverso la sentenza emessa nei suoi confronti dal Tribunale di Torre Annunziata (sezione distaccata di Sorrento) ha condannato l’imputata a pagare mille euro di multa perché  colpevole di essersi allontanata dal proprio veicolo lasciando all’interno il cane.

Secondo gli ermellini da quanto é emerso nel corso del processo «Il giudice del merito ha esposto in maniera assolutamente coerente il proprio percorso argomentativo a sostegno della condanna dell’imputata per maltrattamento di animali».

I giudici osservano che sia il vigile urbano che il veterinario intervenuti sul posto avevano confermato “la circostanza dell’abbandono dell’animale in auto con i finestrini chiusi, in una giornata soleggiata e con temperatura particolarmente elevata” e, riprendendo le parole del veterinario, ha affermato che “un tale comportamento è assolutamente incompatibile con la natura dell’animale, potendo provocargli paura e sofferenza e che gli escrementi rinvenuti nell’auto potevano essere stati provocati dallo stato di ansia e paura”.

La Corte, con la sentenza n. 44902 ha chiuso definitivamente il caso convalidando la suddetta multa. ""

Fonte sentenze-cassazione.com, qui:

http://www.sentenze-cassazione.com/cassazione-e-reato-lasciare-il-cane-in-macchina/
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Avvocato penalista - Integra il reato di Maltrattamento di animali, Art. 544 ter del Codice Penale, lasciare il cane chiuso all'interno di una autovettura.
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domenica 28 giugno 2015

Avvocato penalista - Gli insulti tra politici non costituiscono reato, ma solo se consistono in una critica politica e non si rivolgono alla persona.

Avvocato penalista - Gli insulti tra politici non costituiscono reato, ma solo se consistono in una critica politica e non si rivolgono alla persona.
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Avvocato penalista - Gli insulti tra politici non costituiscono reato, ma solo se consistono in una critica politica e non si rivolgono alla persona.
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"" Gli insulti tra politici non costituiscono reato, lo dice la Cassazione

Gli insulti tra politici non costituiscono reato, lo dice la Cassazione

Corte di Cassazione Sentenza n. 45014 / 2012

Un diverbio tra due politici (dello stesso partito) giunge dentro le aule del Tribunale perché, durante il congresso del partito, uno apostrofava l’altro con l’epiteto “becero”.

Per i giudici della Corte non c’è nessun reato perché si tratta solo di esercitare il proprio diritto di critica politica e, pertanto, annullavano la sentenza di condanna emessa dai giudici di merito.

In pratica, per gli ermellini se il predetto epiteto viene rivolto durane una discussione politica a un compagno di partito (come é accaduto nel caso di specie) ma anche nel caso in cui fosse rivolto ad un  avversario, la parola sarebbe comunque ammessa e discriminata dal diritto di critica politica perché indica la critica «alla perpetuazione di sistemi gestionali volti alla copertura di grumi di interessi di parte».

Questo é quanto emerge dalla sentenza n. 45014, con cui Piazza Cavour ha annullato la condanna per diffamazione emessa nei confronti di un militante politico di crotonese che aveva pronunciato la parola oggetto del processo «in riferimento al conferimento di incarichi regionali».

La Cassazione sul punto osserva che questo è «un tema capace per sua natura di sollevare, tanto più in un piccolo consesso, come quello del Comune di Crotone, confronti dialettici anche vivaci tra i rappresentanti delle contrapposte parti, pronte a rinfacciarsi, anche per il passato, gestioni della cosa pubblica tutt’altro che ispirate alla cura dell’interesse generale, quanto piuttosto orientate al perseguimento di interessi particolari, di natura clientelare e di scarsa trasparenza, se non proprio di patente illegittimità, su argomenti da sempre, ed ovunque, occasione di vivace scontro politico, come quello relativo alla ripartizione di incarichi presso una Regione».

I supremi giudici precisano che la parola ‘becero era da considerare come «una censura, assai colorita, ad un metodo di amministrazione, e il suo significato trascendeva l’ambito individuale o la sfera personale della persona alla quale era rivolta, per porsi come critica ad un sistema di gestione».

Per la Corte il termine usato è «discutibile sul piano quantomeno dello stile, dell’opportunità e del costume politico» ma comunque deve essere applicata la causa giustificativa della critica politica in nome della libertà di pensiero garantita dalla Costituzione e, per questo motivo la condanna è stata stracciata. ""

Fonte sentenze-cassazione.com, qui:

http://www.sentenze-cassazione.com/gli-insulti-tra-politici-non-costituiscono-reato-lo-dice-la-cassazione/
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Avvocato penalista - Gli insulti tra politici non costituiscono reato, ma solo se consistono in una critica politica e non si rivolgono alla persona.
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sabato 27 giugno 2015

Avvocato penalista - L’uso della violenza quale metodo educativo dei minori non è consentito ed è reato e causa di risarcimento danni a carico degli autori.

Avvocato penalista - L’uso della violenza quale metodo educativo dei minori non è consentito ed è reato e causa di risarcimento danni a carico degli autori.
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Avvocato penalista - L’uso della violenza quale metodo educativo dei minori non è consentito ed è reato e causa di risarcimento danni a carico degli autori.
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"" Risarcimento danni per il minore picchiato dai genitori

Risarcimento danni per il minore picchiato dai genitori

Corte di Cassazione Quinta Sezione Penale Sentenza n. 45859 / 2012

La Suprema Corte ha stabilito il risarcimento del danno per il minore picchiato.

Sulla scia delle raccomandazioni europee anche i giudici con la toga d’ermellino emettono una sentenza volta a tutelare ancora di piú i minori che subiscono violenze e maltrattamenti in famiglia anche per i casi meno gravi.

In poche parole, anche uno schiaffo puó far scattare nei confronti del figlio un risarcimento danni.

Una sentenza che manifesta l’orientamento dei giudici sui  etodi di educazione violenti usati dai genitori per “correggere” i comportamenti “ribelli” dei propri figli.

La Corte non é favorevole all’uso della violenza quale metodo educativo e, pertanto, punisce i genitori maneschi.

Il caso esaminato dai giudici di Piazza Cavour riguardava una ragazzina picchiata dal padre e dalla “matrigna” perché aveva fumato e, per questo motivo era stata presa a schiaffi e poi trascinata a terra e colpita con un calcio sul collo.

I genitori hanno cercato di difendersi dalle accuse sostenendo che era stata la ragazza a iniziare, prendendo a calci la compagna del padre e quest’ultimo era intervenuto proprio per difendere la donna esercitando sulla figlia “una modesta violenza fisica con finalità correttive della condotta arrogante e disobbediente”.

La Cassazione non crede a questa versione dei fatti soprattutto perché la ragazzina aveva evidenti segni di percosse sul viso, sul collo e sulla spalla.

La ragazzina ha detto di aver dato dei calci soltanto per difendersi dalla matrigna che oltre agli schiaffi le aveva tirato (colpendola) anche un cucchiaio.

Secondo il parere dei giudici del Palazzaccio il comportamento della coppia è andato ben oltre lo ius corrigendi poiché “le condotte poste in essere dagli imputati travalicavano i limiti dell’esercizio delle facoltà coercitive genitoriali, nel momento in cui si risolvevano in atti di violenti in nessun modo riconducibili a una legittima finalità correttiva” ""

Fonte sentenze-cassazione.com, qui:

http://www.sentenze-cassazione.com/risarcimento-danni-per-il-minore-picchiato-dai-genitori/
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Avvocato penalista - L’uso della violenza quale metodo educativo dei minori non è consentito ed è reato e causa di risarcimento danni a carico degli autori.
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venerdì 26 giugno 2015

Avvocato penalista - Il Presidente della società e il responsabile del punto vendita rispondono per gli incidenti dentro il supermercato.

Avvocato penalista - Il Presidente della società e il responsabile del punto vendita rispondono per gli incidenti dentro il supermercato.
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Avvocato penalista - Il Presidente della società e il responsabile del punto vendita rispondono per gli incidenti dentro il supermercato.
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"" Presidente della società e responsabile del punto vendita ne rispondono per gli incidenti dentro il supermercato

Presidente della società e responsabile del punto vendita ne rispondono per gli incidenti dentro il supermercato

Corte di Cassazione Sentenza n. 25739/2012

La Suprema Corte di Cassazione ha stabilito recentemente che nel caso di infortunio all’interno di un supermercato ne risponderanno il presidente della società e, ovviamente, il responsabile del punto vendita.

Per i giudici con l’ermellino la salute e la sicurezza dei lavoratori viene prima di ogni altra cose e, pertanto, il datore di lavoro deve sempre adottare le misure necessarie per ridurre al minimo i rischi di infortunio.

Il responsabile del punto vendita veniva condannato (sia nel primo che nel secondo grado di giudizio) per aver omesso di rendere sicuri i posti di lavoro contro la caduta di materiale del supermercato e, in particolare, i cartoni del latte e dell’acqua minerale erano disposti in maniera non adeguata, al punto che (cadendo) potevano facilmente recare danno non solo ai dipendenti ma anche ai clienti che vi passavano vicino.

La condanna peró é scattata anche per il Presidente del CdA della Società poiché non ha ben valutato i rischi per la sicurezza e salute dei lavoratori.

Del tutto inutile é stato il ricorso presentato alla Corte di Cassazione da parte degli imputati, infatti i Supremi giudici hanno rigettato i ricorsi affermando che il datore di lavoro deve garantire ai dipendenti le misure necessarie per la loro sicurezza e salute  «fornendo ai lavoratori i necessari e idonei dispositivi di protezione individuale, sentito il responsabile del servizio di prevenzione e protezione» (art. 4, comma 5, d.lgs. n. 626/1994).

Inoltre, nella sentenza n. 25739/2012, la Corte continua sostenendo che in sostanza si tratta «di un precetto contravvenzionale “di pericolo” che prescinde dall’accertamento di sinistri verificatisi in conseguenza della sua violazione, perché è legato ad una prognosi ex ante circa la necessità e idoneità dei dispositivi di protezione individuale forniti ai dipendenti».

Deve dunque effettuarsi una prognosi specifica, caso per caso, affinché si possa trovare la giusta armonia nella disposizione della merce del supermercato senza che vi sia rischio per chi lavora o i clienti del negozio.

Nel caso di specie, é stata fatta questa valutazione ma il datore di lavoro avrebbe dovuto impartire prescrizioni in ordine alle modalità di impilamento e avrebbe dovuto fornire scarpe antinfortunistiche ai dipendenti. ""

Fonte sentenze-cassazione.com, qui:

http://www.sentenze-cassazione.com/presidente-della-societa-e-responsabile-del-punto-vendita-ne-rispondono-per-gli-indicenti-dentro-il-supermercato/
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Avvocato penalista - Il Presidente della società e il responsabile del punto vendita rispondono per gli incidenti dentro il supermercato.
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giovedì 25 giugno 2015

Avvocato penalista - Integra il reato di alloggio e locazione a stranieri, Art. 12, comma 5 bis, della Legge 24.07.08, n°. 125, locare a stranieri irregolari.

Avvocato penalista - Integra il reato di alloggio e locazione a stranieri, Art. 12, comma 5 bis, della Legge 24.07.08, n°. 125, locare a stranieri irregolari.
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Avvocato penalista - Integra il reato di alloggio e locazione a stranieri, Art. 12, comma 5 bis, della Legge 24.07.08, n°. 125, locare a stranieri irregolari.
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"" Affitto troppo alto per diciotto immigrati irregolari. La Cassazione confisca l’immobile

Affitto troppo alto per diciotto immigrati irregolari. La Cassazione confisca l’immobile

Corte di Cassazione Sentenza n. 45033 / 2012

La Cassazione ha emesso una sentenza molto importante in materia di locazione di immobili agli immigrati.

Respingendo il ricorso di una donna che aveva affittato un appartamento di sua proprietà a 18 immigrati ha osservato che “Chiunque a titolo oneroso , al fine di trarre ingiusto profitto, dà alloggio  ovvero cede, anche in locazione, un immobile a uno straniero che sia privo di titolo di soggiorno è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni.

La condanna comporta la confisca dell’immobile…”

Con la norma introdotta dal pacchetto sicurezza del 2009 il Legislatore ha voluto complicare le cose agli extracomunitari irregolari ma allo stesso tempo ha fatto in modo che venissero puniti a che coloro che si approfittano della situazione di clandestinità imponendo affitti a prezzi elevati per abitazioni ridotte al limite della vivibilità.

La sentenza in esame ha quindi permesso di fare buon uso della norma e confiscare alla donna un attico di cinque vani sito nella periferia di Firenze.

Gli immigrati irregolari versavano alla proprietaria del l’immobile tre mila euro al mese.

Prezzo elevatissimo anche secondo l’opinione dei Supremi giudici che pertanto con la sentenza n. 45033/2012 confermavano la confisca dell’appartamento oggetto del processo.

I vicini di casa hanno scoperto e resa nota la vicenda giunta al giudizio degli ermellini.

Nel giudizio la donna, falsificando alcune ricevute, aveva sostenuto che l’affitto in realtà era di 1.800 euro ma i giudici hanno rigettato il ricorso, condannando la proprietaria dell’immobile anche a versare 1000 euro alla Cassa delle ammende. ""

Fonte sentenze-cassazione.com, qui:

http://www.sentenze-cassazione.com/affitto-troppo-alto-per-diciotto-immigrati-irregolari-la-cassazione-confisca-limmobile/
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Avvocato penalista - Integra il reato di alloggio e locazione a stranieri, Art. 12, comma 5 bis, della Legge 24.07.08, n°. 125, locare a stranieri irregolari.
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mercoledì 24 giugno 2015

Avvocato penalista - L’assoluta sproporzione della condotta offensiva, esorbitante dai limiti dell’esercizio della propria funzione e non giustificata da alcun fatto ingiusto del soggetto passivo, costituisce Ingiuria, Art. 594 del Codice Penale.

Avvocato penalista - L’assoluta sproporzione della condotta offensiva, esorbitante dai limiti dell’esercizio della propria funzione e non giustificata da alcun fatto ingiusto del soggetto passivo, costituisce Ingiuria, Art. 594 del Codice Penale.
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Avvocato penalista - L’assoluta sproporzione della condotta offensiva, esorbitante dai limiti dell’esercizio della propria funzione e non giustificata da alcun fatto ingiusto del soggetto passivo, costituisce Ingiuria, Art. 594 del Codice Penale.
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"" Attenzione agli insulti potrebbero costar caro, anche quando si ha ragione

Attenzione agli insulti potrebbero costar caro, anche quando si ha ragione

Corte di Cassazione Quinta Sezione Penale – Sentenza n.44968 / 2012

Lo sa bene un conducente di autobus che é stato condannato dalla quinta sezione penale della Suprema Corte di Cassazione a risarcire un ragazzo con una multa di 180 euro perché nel lontano 2004, é andato in escandescenza rivolgendo al giovane una serie di insulti.

L’autista aveva avuto questo attegiamento  nei confronti del ragazzo perché quest’ultimo aveva cercato piú volte di salire sul mezzo con un biglietto falso, o almeno ritenuto tale dal conducente.

L’autista, preso dall’ira, in maniera sicuramente sproporzionata visto che si rivolgeva ad un minorenne, ha iniziato a gridargli frasi del tipo: “O sei stupido o non capisci niente. Ti ho detto che questo biglietto e’ falso, scendi e comprati un altro biglietto se vuoi salire, altrimenti resti a terra”.

I genitori del ragazzo non hanno tollerato questo comportamento e si sono rivolti al giudice, iniziando nei confronti dell’autista del bus un procedimento terminato soltanto dopo la pronuncia della Suprema Corte.

Il Tribunale di Brindisi diede ragione al ragazzo e condannó il conducente a pagare una multa di 180 euro a titolo di risarcimento.

Quest’ultimo peró, convinto di avere ragione e di non meritare la condanna, soprattutto per il fatto che “le caratteristiche anomale del biglietto erano state accertate dagli stessi giudici di merito”, portó la vicenda al giudizio della massima corte.

Gli ermellini hanno peró bocciato il ricorso e con la sentenza n. 44968 hanno confermato la decisione presa dal Tribunale di Brindisi (aggiungendo anche le spese processuali sostenute dalla famiglia del ragazzo pari a ben 5.230 euro) osservando che “l’assoluta sproporzione della condotta offensiva dell’imputato, esorbitante dai limiti dell’esercizio della propria funzione e non giustificata da alcun fatto ingiusto del soggetto passivo”.

Dopo questa sentenza siamo certi che molti conducenti di autobus si iscriveranno ai corsi di buone maniere… ""

Fonte sentenze-cassazione.com, qui:

http://www.sentenze-cassazione.com/attenzione-agli-insulti-potrebbero-costar-caro-anche-quando-si-ha-ragione/
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Avvocato penalista - L’assoluta sproporzione della condotta offensiva, esorbitante dai limiti dell’esercizio della propria funzione e non giustificata da alcun fatto ingiusto del soggetto passivo, costituisce Ingiuria, Art. 594 del Codice Penale.
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martedì 23 giugno 2015

Avvocato penalista - E' indennizzabile l’infortunio occorso al lavoratore “in itinere”, ove sia derivato da eventi dannosi, anche imprevedibili ed atipici, indipendenti dalla condotta volontaria dell’assicurato.

Avvocato penalista - E' indennizzabile l’infortunio occorso al lavoratore “in itinere”, ove sia derivato da eventi dannosi, anche imprevedibili ed atipici, indipendenti dalla condotta volontaria dell’assicurato.
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Avvocato penalista - E' indennizzabile l’infortunio occorso al lavoratore “in itinere”, ove sia derivato da eventi dannosi, anche imprevedibili ed atipici, indipendenti dalla condotta volontaria dell’assicurato.
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"" La Cassazione si pronuncia nuovamente in materia di infortunio sul lavoro ‘in itinere’

La Cassazione si pronuncia nuovamente in materia di infortunio sul lavoro ‘in itinere’

Corte di Cassazione – Sentenza n. 21249 del 29 novembre 2012

La suprema corte pronunciandosi in materia di assicurazione contro gli incidenti sul lavoro, ha accolto il ricorso presentato da un lavoratore che aveva ottenuto dall’INAIL un indennizzo poiché recandosi al lavoro (accompagnato dal fratello che nel caso di specie si trovava al volante dell’automobile), è rimasto coinvolto in un incidente stradale.

Recentemente aveva trattato l’argomento parlando della risarcibilità del danno nel caso in cui il lavoratore venisse scippato durante il tragitto casa-lavoro (leggi articolo) ma anche della non risarcibilità del danno in caso di incidente stradale per chi si reca a lavoro in bicicletta e non con i mezzi pubblici (leggi articolo) adesso, con questa nuova sentenza, si parla un po’ di tutto passando anche per le aule del Tribunale penale.

Si proprio così.

Nel caso di specie infatti, l’INAIL ha cambiato idea e convinta di esser stata dolosamente ingannata dal lavoratore circa la natura del sinistro che riteneva insussistente, provvedeva a querelare il ricorrente per truffa e sospendeva l’erogazione della rendita.

La vicenda viene portata innanzi ai giudici di merito dove il lavoratore veniva assolto dal reato di truffa perché «il fatto non sussiste» mentre riguardo al reato di danneggiamento il processo penale nei confronti dei due fratelli terminava con l’applicazione della pena a richiesta della parte.

Restava però da accertare se il predetto infortunio doveva considerarsi come infortunio sul lavoro in itinere oppure no.

Infatti, secondo i giudici “a fronte di risultanze processuali discordanti, la mera risultanza che il lavoratore fosse stato assolto dall’imputazione di truffa comportava solo che era stato accertato con autorità di giudicato che truffa non vi era stata, ma ciò non significava che l’infortunio avesse dovuto
considerarsi commesso in occasione di lavoro.”

Secondo gli ermellini il requisito della “occasione di lavoro implica la rilevanza di ogni esposizione a rischio, indipendentemente dal grado maggiore o minore di questo, in relazione al quale il lavoro assuma il ruolo di fattore occasionale, mentre il limite della copertura assicurativa è costituito esclusivamente dal “rischio elettivo”, intendendosi per tale quello che, estraneo e non attinente alla attività lavorativa, sia dovuto ad una scelta arbitraria del lavoratore, il quale crei ed affronti volutamente, in base a ragioni o ad impulsi personali, una situazione diversa da quella inerente alla attività lavorativa, ponendo così in essere una causa interruttiva di ogni nesso tra lavoro, rischio ed evento”.

In Appello erano emerse alcune circostanze non collegate all’attività lavorativa (che potrebbero interrompere il nesso di causalità) e, in particolare il fatto che i due conducenti in un certo senso avessero “voluto” lo scontro.

La Cassazione precisa quindi che nel caso in specie non si contestano i presupposti dell’indennizzabilità  dell’infortunio in itinere (nesso tra l’itinerario seguito e attività lavorativa e uso del veicolo privato per raggiungere il luogo di lavoro).

Per stabilire se vi sia una causa che possa interrompere il nesso tra lavoro e l’incidente in oggetto per i giudici era necessaria una indagine approfondita (ma non compiuta dal giudice territoriale) per poter stabilire se vi sia o meno un rapporto di causalità tra la condotta stessa e il sinistro.

I giudici di Piazza Cavour con la sentenza in oggetto, hanno ricordato che “in tema di assicurazione contro gli infortuni sul lavoro, pur nel regime precedente l’entrata in vigore del D. Lgs. n. 38 del 2000, è indennizzabile l’infortunio occorso al lavoratore “in itinere” ove sia derivato da eventi dannosi, anche imprevedibili ed atipici, indipendenti dalla condotta volontaria dell’assicurato, atteso che il rischio inerente il percorso fatto dal lavoratore per recarsi al lavoro è protetto in quanto ricollegabile, pur in modo indiretto, allo svolgimento dell’attività lavorativa, con il solo limite del rischio elettivo”.

Sulla base di tutte queste considerazioni, i giudici del Palazzaccio hanno affermato che la sentenza d’appello è affetta da vizio di motivazione per la violazione degli enunciati principi di diritto.

In conclusione, la decisione presa dai giudici territoriali é stata cassata con rinvio al fine di permettere alla Corte di effettuare le citate verifiche tenendo in considerazione i principi di diritto enunciati (accertare se la condotta del lavoratore possa aver contribuito alla causazione del sinistro o se questa abbia determinato in qualche modo l’interruzione del nesso eziologico tra prestazione ed attività assicurata). ""

Fonte sentenze-cassazione.com, qui:

http://www.sentenze-cassazione.com/la-cassazione-si-pronuncia-nuovamente-in-materia-di-infortunio-sul-lavoro-in-itinere/
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Avvocato penalista - E' indennizzabile l’infortunio occorso al lavoratore “in itinere”, ove sia derivato da eventi dannosi, anche imprevedibili ed atipici, indipendenti dalla condotta volontaria dell’assicurato.
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lunedì 22 giugno 2015

Avvocato penalista - Il rifiuto del minore a frequentare la scuola non esclude la responsabilità penale dei genitori per il reato di Inosservanza dell'obbligo dell'istruzione elementare dei minori, di cui all'Articolo 731 del Codice Penale.

Avvocato penalista - Il rifiuto del minore a frequentare la scuola non esclude la responsabilità penale dei genitori per il reato di Inosservanza dell'obbligo dell'istruzione elementare dei minori, di cui all'Articolo 731 del Codice Penale.
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Avvocato penalista - Il rifiuto del minore a frequentare la scuola non esclude la responsabilità penale dei genitori per il reato di Inosservanza dell'obbligo dell'istruzione elementare dei minori, di cui all'Articolo 731 del Codice Penale.
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"" Cassazione : genitori, occhio alle assenze scolastiche dei vostri figli

Cassazione : genitori, occhio alle assenze scolastiche dei vostri figli

Corte di Cassazione – Sentenza n. 47110 / 2012

La  Suprema Corte di Cassazione ha trattato un argomento molto interessante relativo alle attenzioni che i genitori devono avere riguardo all’istruzione dei propri figli.

Recentemente la Cassazione si è più volte pronunciata sull’importante ruolo educativo dei genitori.

Certamente la Corte esprimendo il proprio giudizio cerca sempre di favorire gli interessi dei minori ma sono sicuro che ai nostri lettori non sarà sfuggita qualche sentenza che “giustifica” alcuni comportamenti dei genitori che non sono proprio in linea con gli interessi dei figli.

Non stiamo dicendo che la Corte ha emesso delle sentenze a favore dei genitori e contro i figli minori ma solo che, valutando le situazioni di fatto che si sono concretizzate in alcuni casi trattati in quest’ultimo periodo dai giudici di Piazza Cavour si potrebbe dire che non sempre la colpa sia proprio tutta dei genitori.

Sull’argomento però la Corte, forse proprio per il fatto che in passato alcuni genitori, per forza di cose sono riusciti a “farla franca”, intende chiarire la propria posizione e l’occasione gli è stata fornita da due immigrati residenti a Trebisacce (in provincia di Cosenza) che hanno dato poca attenzione all’istruzione dei propri figli.

Sulla vicenda la Cassazione ha accolto il ricorso proposto da parte del Pg presso la Corte d’appello di Catanzaro avverso la decisione del Giudice di Pace che assolveva i suddetti genitori “per non aver
commesso il fatto” anche se i loro figli non avevano frequentato le scuole elementari nell’anno 2010-2011.

Con la sentenza n. 47110 / 2012, i giudici di legittimità hanno inviato tutto nuovamente al Giudice di Pace di Trebisacce poichè in precedenza il giudice “senza alcun esame delle risultanze processuali, si e’ limitato genericamente a fare riferimento ad una comunicazione del dirigente scolastico e ha apoditticamente ritenuto che da siffatta comunicazione emergesse che, nonostante l’impegno profuso dai genitori, i minori avevano rifiutato di frequentare la scuola dell’obbligo”.

Per la corte soltanto il «rifiuto categorico» dei minorenni di frequentare regolarmente la scuola, può “salvare” i genitori dalla condanna per aver omesso di fare impartire ai figli l’istruzione obbligatoria, quando si dimostra che a scuola i “ragazzi” proprio non ci vogliono andare e, dunque «il rifiuto volontario, categorico e assoluto, del minore non superabile con l’intervento dei genitori e dei servizi sociali» costituisce una causa di non punibilità.

Oppure, quando emergono elementi «che rendono inattuabile l’adempimento dell’obbligo di istruzione» e tali situazioni possono essere ad esempio «la mancanza assoluta di scuole o di insegnanti; lo stato di salute dell’alunno, la disagiata distanza tra scuola e abitazione se mancano mezzi di trasporto e le condizioni economiche della famiglia non consentono l’utilizzo dei mezzi privati».

Gli ermellini hanno osservato anche che il giudice di pace “non ha specificato da quali elementi abbia tratto la prova del rifiuto dei minori a frequentare la scuola dell’obbligo e quale sia stato e in che modo si sia manifestato l’impegno dei genitori per superare il rifiuto dei minori medesimi”.

Si riapre il processo in capo agli imputati quindi perchè dalle osservazioni dei Giudici «il semplice rifiuto del minore a frequentare la scuola non costituisce motivo di esclusione della responsabilità penale» dei genitori e, pertanto, si dovrà accertare se questi «si sono comunque adoperati» per far sì che i loro figli frequentassero la scuola. ""

Fonte sentenze-cassazione.com, qui:

http://www.sentenze-cassazione.com/cassazione-genitori-occhio-alle-assenze-scolastiche-dei-vostri-figli/
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Avvocato penalista - Il rifiuto del minore a frequentare la scuola non esclude la responsabilità penale dei genitori per il reato di Inosservanza dell'obbligo dell'istruzione elementare dei minori, di cui all'Articolo 731 del Codice Penale.
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domenica 21 giugno 2015

Avvocato penalista - Si può cacciare la suocera di casa e, se resta, si configura il reato di Violazione di domicilio, Art. 614 del Codice Penale.

Avvocato penalista -  Si può cacciare la suocera di casa e, se resta, si configura il reato di Violazione di domicilio, Art. 614 del Codice Penale.
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Avvocato penalista -  Si può cacciare la suocera di casa e, se resta, si configura il reato di Violazione di domicilio, Art. 614 del Codice Penale.
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"" Cassazione : é un diritto cacciare di casa la suocera

Cassazione : é un diritto cacciare di casa la suocera

Corte di Cassazione Quinta Sezione Penale – Sentenza n. 47500 / 2012

Per “tradizione” i rapporti tra suocera e nuora non possono essere idilliaci.

La saggezza popolare, che difficilmente si sbaglia, ci ricorda con quanta facilità si possano aprire le ostilità tra le due regine della casa, basta un attimo e l’atmosfera diventa incandescente.

La suocera, però, in famiglia non va d’accordo proprio con nessuno; infatti pensandoci bene non mancano neppure le barzellette e gli sketch che raccontano dei “cattivi” rapporti tra suocera e genero.

In poche parole, é proprio il “ruolo” della suocera il problema da risolvere e, per la gioia di tutti i mariti/generi (ma anche mogli/nuore) ci ha pensato la Cassazione a limitare l’invadenza delle suocere che arrivano in casa nostra e non vogliono piú andarsene via.

La quinta sezione panale ha stabilito che “si può cacciare la suocera e se resta si configura il reato di violazione di domicilio”.

Proprio cosí, con la sentenza n. 47500 / 2012 la Cassazione ha stabilito che la nuora ha il diritto di estromettere la suocera di casa soprattutto nei casi in cui la coppia è separata di fatto e la suocera continua ostinatamente a intrattenersi nella ex casa coniugale.

Duro colpo per la suocera che attuando questo comportamento rischia addirittura una condanna per violazione di domicilio.

La storia che ha originato la sentenza oggetto d’esame riguarda la vicenda di una suocera abruzzese novantenne che per prestare la dovuta assistenza al figlio, ricoverato in ospedale, si é piazzata nella vecchia casa coniugale in cui ci abita da sola la nuora dopo che il marito ha lasciato la casa per trasferirsi altrove.

Il giudice di primo grado aveva condannato l’anziana donna per il reato di cui all’art. 614 c.p. a sei mesi di reclusione, pena poi ridotta a quattro mesi nel secondo grado di giudizio.

La Cassazione infine ha precisato che “nel caso in cui, all’esito di una separazione di fatto, uno dei coniugi abbia abbandonato l’abitazione familiare, trasferendosi a vivere altrove, l’unico titolare del diritto di esclusione dei terzi va individuato nel coniuge rimasto nell’abitazione familiare, con conseguente configurabilita’ del delitto di violazione di domicilio nei confronti di chi vi si introduce o vi si intrattiene contro la volontà espressa o tacita di quest’ultimo ovvero clandestinamente o con l’inganno, ivi compreso il coniuge trasferitosi a vivere altrove”. ""

Fonte sentenze-cassazione.com, qui:

http://www.sentenze-cassazione.com/cassazione-e-un-diritto-cacciare-di-casa-la-suocera/
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Avvocato penalista -  Si può cacciare la suocera di casa e, se resta, si configura il reato di Violazione di domicilio, Art. 614 del Codice Penale.
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sabato 20 giugno 2015

Avvocato penalista - Commette il reato di Interruzione d'un servizio pubblico o di pubblica necessità, Art. 331 del Codice Penale, il farmacista di turno che chiuda la farmacia per andare a fare la pausa pranzo.

Avvocato penalista - Commette il reato di Interruzione d'un servizio pubblico o di pubblica necessità, Art. 331 del Codice Penale, il farmacista di turno che chiuda la farmacia per andare a fare la pausa pranzo.
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Avvocato penalista - Commette il reato di Interruzione d'un servizio pubblico o di pubblica necessità, Art. 331 del Codice Penale, il farmacista di turno che chiuda la farmacia per andare a fare la pausa pranzo.
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"" Niente pausa pranzo per il farmacista di turno, si rischia una condanna penale

Niente pausa pranzo per il farmacista di turno, si rischia una condanna penale

Corte di Cassazione – Sentenza n. 46755 del 3 dicembre 2012

La farmacia di turno non deve chiudere per la pausa pranzo, ma deve sempre dare la possibilità alla gente di poter accedervi per comprare i farmaci altrimenti si rischia una condanna penale integrando il reato di cui all’art. 331 del codice penale per ingiustificata inottemperanza delle funzioni proprie del servizio farmaceutico da parte del responsabile di farmacia in turno di reperibilità.

In buona sostanza la Farmacia di turno deve restare sempre aperta.

L’importante principio stabilito dalla Corte di Cassazione, ha annullato la sentenza di assoluzione emessa dai giudici territoriali nei confronti del farmacista che durante la reperibilità chiudeva tranquillamente l’esercizio per recarsi a pranzo apponendo un cartello in cui scriveva “mi trovo a pranzo e riapro dopo le ore 16″.

Il farmacista si preoccupava di indicare nel suddetto cartello il proprio di numero telefonico per chiamate urgenti, ma di fatto non rispondeva alla telefonata fatta da un uomo che doveva acquistare una tachipirina per la febbre del figlio di diciotto mesi.

Il Tribunale si é espresso pronunciando nei confronti del farmacista una sentenza di assoluzione perchè “il fatto non sussiste, ritenendo che il rifiuto della singola prestazione non integrasse il reato ascritto, stante la possibilità di ricorrere al pronto soccorso o alla farmacia di altro vicino comune, come accaduto poi effettivamente, al più potendosi configurare una mera irregolarità di eventuale rilievo disciplinare o il diverso reato di rifiuto di atti d’ufficio.”

La Corte di Cassazione peró non ha condiviso questa linea di giudizio e, con sentenza n. 46755 del 3 dicembre 2012, annullando la decisione presa dai giudici di merito e rinviando tutto alla Corte d’Appello per un nuovo giudizio,  ha anche precisato che “quando la singola farmacia in turno di reperibilità risulti non accessibile all’utenza, vi è un obiettivo turbamento della regolarità del servizio farmaceutico nel suo complesso.

Né il turbamento nel complesso del servizio viene escluso dalla disponibilità in zone contigue di altri punti reperibili, o addirittura del servizio urgente ospedaliero. (…)

Pertanto ogni qualvolta il farmacista in turno di reperibilità non assicuri il tempestivo adempimento del servizio farmaceutico vi è, secondo le contingenze dei casi, una condotta obiettiva di interruzione o di sospensione del servizio, che determina il turbamento della regolarità di tale servizio nel suo complesso.” ""

Fonte sentenze-cassazione.com, qui:

http://www.sentenze-cassazione.com/niente-pausa-pranzo-per-il-farmacista-di-turno-si-rischia-una-condanna-penale/
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Avvocato penalista - Commette il reato di Interruzione d'un servizio pubblico o di pubblica necessità, Art. 331 del Codice Penale, il farmacista di turno che chiuda la farmacia per andare a fare la pausa pranzo.
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venerdì 19 giugno 2015

Avvocato penalista - Commette Atti contrari alla pubblica decenza, Art. 726 del Codice Penale, chi passeggia per strada indossando una super minigonna.

Avvocato penalista - Commette Atti contrari alla pubblica decenza, Art. 726 del Codice Penale, chi passeggia per strada indossando una super minigonna.
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Avvocato penalista - Commette Atti contrari alla pubblica decenza, Art. 726 del Codice Penale, chi passeggia per strada indossando una super minigonna. 
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"" Cassazione, giusto multare la donna che passeggia indossando una super minigonna

Cassazione, giusto multare la donna che passeggia indossando una super minigonna

Corte di Cassazione Terza Sezione Penale – Sentenza n.47868 del 10 dicembre 2012

La Corte di Cassazione ha emesso una sentenza molto interessante che riguarda tutti coloro che amano farsi notare in giro, anche grazie a vestiti poco “innocenti”.

La vicenda che ha originato tutto riguardava una donna straniera che per le via di Bologna andava in giro quasi svestita grazie a ridottissimi abiti che mostravano molte parti scoperte, lasciando poco
all’immaginazione.

Un piccolo scandalo finito davanti ai giudici della Suprema Corte perchè la donna  lasciava vedere il seno e la minigonna inguinale lasciava vedere tutto il suo “lato B”.

Se l’intento della donna era quello di non passare inosservata per le vie di bologna ha certamente raggiunto il suo scopo.

Purtroppo, lungo la sua strada, ha incontrato un poliziotto che per aver infranto l’articolo 726 del codice penale (Atti contrari alla pubblica decenza) l’ha multata per  €. 600,00.

Il caso è giunto alla terza sezione penale della suprema corte di cassazione che con la sentenza n. n.47868 del 10 dicembre 2012 ha confermato la multa osservando che “la tipicità del reato in contestazione consiste nel porre in essere atti contrari alla pubblica decenza”, e cioè “quegli atti che, in se stessi o a causa delle circostanze, rivestono un significato contrario alla pubblica decenza, assunti in luogo pubblico o aperto o esposto al pubblico” proprio perchè la donna era “abbigliata in modo da fare vedere le parti intime del corpo, in particolare il seno e il fondo schiena, ed era in mutande, che lasciavano scoperti i glutei”.

Per la sussistenza del reato, continua la Corte, è sufficiente che “detti atti siano percepiti da terzi essendo sufficiente la mera possibilita’ della percezione di essi, in quanto l’articolo 726 del codice penale tutela i criteri di convivenza e decoro che, se non osservati e rispettati, provocano disgusto e disapprovazione”.

L’avvocato della donna ha cercato in tutti i modi di convincere gli ermellini a ridimensionare la multa ma non c’è stato niente da fare, secondo i giudici del Palazzaccio  pena comminata è giusta “vista la gravità della condotta, l’insensibilità della prevenuta all’offesa arrecata alla collettività, comprovante il completo disinteresse (…) alle interferenze negative che il suo comportamento avrebbe potuto determinare al comune vivere civile”, tenuto anche conto dei “precedenti penali” dell’imputata. ""

Fonte sentenze-cassazione.com, qui:

http://www.sentenze-cassazione.com/cassazione-giusto-multare-la-donna-che-passeggia-indossando-una-super-minigonna/
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Avvocato penalista - Commette Atti contrari alla pubblica decenza, Art. 726 del Codice Penale, chi passeggia per strada indossando una super minigonna. 
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giovedì 18 giugno 2015

Avvocato penalista - Integra il reato di istigazione all’odio razziale anche una isolata manifestazione a connotazione razzista costituente propaganda.

Avvocato penalista - Integra il reato di istigazione all’odio razziale anche una isolata manifestazione a connotazione razzista costituente propaganda.
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Avvocato penalista - Integra il reato di istigazione all’odio razziale anche una isolata manifestazione a connotazione razzista costituente propaganda.
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"" Cassazione, a generalizzare contro un’etnia si rischia una condanna penale
 
Cassazione, a generalizzare contro un’etnia si rischia una condanna penale
 
Corte di Cassazione Prima Sezione Penale – Sentenza n. 47894/2012
 
Vietato generalizzare. Guai a dire che gli zingari sono “delinquenti”, “assassini” e “canaglie” perchè tali espressioni sono discriminazione razziale.
 
Fare (cattive) considerazioni troppo generalizzate contro una intera etnia potrebbe portare dei provvedimenti giudiziari come una condanna per istigazione all’odio razziale.
 
In pratica, dobbiamo imparare ad essere un popolo proiettato verso la globalizzazione e, pertanto, non farebbe male iniziare a comportarci in maniera più tollerante verso le minoranze presenti nel nostro territorio nel rispetto della sempre più necessaria multi-etnicità in breve, meno razzismo.
 
I fatti di causa riguardano un uomo (che all’epoca dei fatti era un consigliere comunale), finito sotto processo a causa di un intervento tenuto nella seduta consiliare, in cui avrebbe diffuso “idee fondate sull’odio e sulla discriminazione razziale nei confronti delle comunita’ Rom e Sinti”.
 
Nel merito l’imputato era dapprima giudicato in primo grado dal Tribunale di Trento colpevole di propaganda divulgativa razzista ma poi, in appello, veniva assolto poichè le sue frasi non vennero inquadrate dai giudici della Corte come parte di quella  propaganda di idee fondate sulla superiorità o sull’odio razziale.
 
La Cassazione però ha dato una diversa lettura ai fatti di causa annullando con rinvio la sentenza dalla corte d’appello di Trento.
 
Per gli ermellini infatti  nell’intervento del consigliere comunale, relativo alla mancata frequenza della scuola da parte dei bambini di etnia Rom, si ravvisano note razziste.
 
La Corte ha osservato che “l’intervento dell’imputato era avvenuto nell’ambito del consiglio comunale che, come e’ noto a tutti, e’ di norma assemblea pubblica”.
 
L’uomo, riferendosi alla vita dei nomadi avrebbe usato parole come “sedicente cultura” e “discutibili tradizioni” rappresentando l’idea di un un vero e proprio “sequestro di Stato” come se “l’unica possibilita’ di salvezza per i bambini di detta etnia era quella di sottrarli alle famiglie d’origine”.
 
In sostanza, secondo i giudici del Palazzaccio il consigliere comunale è andato molto oltre ai limiti consentiti anzi il discorso di questo è degenerando in una vera e propria incitazione alla pulizia etnica: “la funzione di consigliere comunale non legittima sicuramente di esprimersi con frasi di generalizzazione, afferente alla ‘etnia’, offensive non solo della dignità delle persone, ma additive di inferiorità legate alla cultura e tradizioni di un popolo, tanto da auspicare il sequestro di stato, mezzo con cui operare la sottrazione di famiglie dei bambini, indicato come unico strumento attraverso il quale si sarebbe potuto rompere la ‘catena generazionale'”.
 
Con la sentenza n. 47894/2012 la prima sezione penale della Suprema Corte di Cassazione ha osservato che “l’elemento che caratterizza la fattispecie e’ la propaganda discriminatoria, intesa come diffusione di una idea di avversione tutt’altro che superficiale, non gia’ indirizzata verso un gruppo di zingari (magari quelli dediti ai furti), ma verso tutti gli zingari indicati come assassini, ladri, pigri, canaglie, aguzzini e via dicendo, quindi verso il loro modo di essere, verso la loro etnia evocata espressamente, avversione apertamente argomentata sulla ritenuta diversita’ e inferiorità”.
 
Per la Corte dunque “anche una manifestazione isolata a connotazione razzista puo’ costituire propaganda”e quindi essere passibile di condanna per istigazione all’odio razziale.
 
Con questa decisione la Cassazione rimanda tutto alla Corte d’appello giudicare affinchè possa nuovamente rivalutare il caso, tenendo conto naturalmente delle indicazioni emerse dalla sentenza. ""
 
Fonte sentenze-cassazione.com, qui:
 
 
Avvocato penalista - Integra il reato di istigazione all’odio razziale anche una isolata manifestazione a connotazione razzista costituente propaganda.
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mercoledì 17 giugno 2015

Avvocato penalista - Solo la reale probabilità di reiterare il reato - e non la mera possibilità - giustifica il carcere per le mamme con figli in tenera età.

Avvocato penalista - Solo la reale probabilità di reiterare il reato - e non la mera possibilità - giustifica il carcere per le mamme con figli in tenera età.
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Avvocato penalista - Solo la reale probabilità di reiterare il reato - e non la mera possibilità - giustifica il carcere per le mamme con figli in tenera età.
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"" Niente carcere per le mamme se non c’é una reale possibilità di reiterare il reato

Niente carcere per le mamme se non c’é una reale possibilità di reiterare il reato

Corte di Cassazione – Sentenza n. 47861/2012

La Cassazione ha emesso una sentenza molto interessante riguardo alle madri detenute.

Fare la madre da dietro le sbarre non puó certo essere il miglior modo per crescere un figlio ecco perché la Corte ha voluto chiarire alcuni significativi aspetti relativi all’argomento in esame che dovrebbero essere tenuti in considerazione (come la reiterazione del reato) ai fini di una corretta valutazione da parte del giudicante per applicare o meno la custodia cautelare in carcere al posto degli arresti domiciliari.

In poche parole, secondo gli ermellini serve quasi la certezza matematica della recidiva per applicare la custodia cautelare in carcere al posto degli arresti domiciliari, nei confronti di quelle madri che hanno figli minori di sei anni anche se queste ultime hanno commesso dei reati gravi.

Il caso che ha permesso ai giudice della Cassazione di esprimere il loro giudizio su questo tema riguardava una giovane mamma di una bimba di 18 mesi, arrestata perché, insieme al proprio compagno, voleva sequestrare e uccidere una venditrice ambulante alla quale avevano fatto letteralmente “scavare” la fossa da un moldavo.

Fortunatamente il moldavo si é pentito prima che venissero commessi i suddetti reati e proprio grazie a lui questi non si sono concretizzati in quanto ha collaborato coi carabinieri avvisandoli del rischio che correva l’anziana donna.

Il ricorso della donna é stato accolto dalla Cassazione che, con la sentenza 47861/2012, ha annullato l’ordinanza del Tribunale della libertà di Bologna che aveva mandato in carcere la donna togliendola dai domiciliari decisi dal GIP.

La corte ha sottolineato che “La eccezionale rilevanza delle esigenze cautelari per disporre o mantenere, nei confronti di madre di bambino di tenera età con lei convivente, la misura della custodia in carcere, nell’ipotesi in cui sia stata applicata ai sensi dell’art. 274, comma 1, lett. c) cpp., sussiste se il concreto pericolo di commissione di gravi delitti o di delitti della stessa specie per cui si procede sia elevatissimo, così da permettere una prognosi di sostanziale certezza in ordine al fatto che l’indagata, se sottoposta a misure cautelari diverse dalle custodia in carcere, continuerebbe i predetti delitti”.

Secondo la Cassazione il tribunale del riesame ha commesso un errore decidendo di rimettere in cella l’imputata in quanto ha preso questa decisione ritenendo solo “possibile” la reiterazione del reato.

In poche parole, per gli ermellini era necessario esprimere un giudizio di “sostanziale certezza circa la ripetizione di una condotta del genere” anche in considerazione che il complice della donna era in carcere e, pertanto, non avrebbe potuto aiutarla nell’impresa delittuosa. ""

Fonte sentenze-cassazione.com, qui:

http://www.sentenze-cassazione.com/niente-carcere-per-le-mamme-se-non-ce-una-reale-possibilita-di-reiterare-il-reato/
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Avvocato penalista - Solo la reale probabilità di reiterare il reato - e non la mera possibilità - giustifica il carcere per le mamme con figli in tenera età.
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martedì 16 giugno 2015

Avvocato penalista - Non può condannarsi per lesioni un chirurgo estetico per aver peggiorato l’aspetto di una paziente, perché i danni estetici non sono malattie.

Avvocato penalista - Non può condannarsi per lesioni un chirurgo estetico per aver peggiorato l’aspetto di una paziente, perché i danni estetici non sono malattie.
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Avvocato penalista - Non può condannarsi per lesioni un chirurgo estetico per aver peggiorato l’aspetto di una paziente, perché i danni estetici non sono malattie.
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"" Cassazione, niente risarcimento per i danni estetici post-operatori, non si tratta di malattie

Cassazione, niente risarcimento per i danni estetici post-operatori, non si tratta di malattie

Corte di Cassazione – Sentenza n. 47265 / 2012

La Suprema Corte di Cassazione ha giudicato un caso particolare dove un paziente, rivoltosi al chirurgo estetico per migliorare il proprio aspetto, si è ritrovato, al termine dell’intervento, “peggio” di prima.

Il caso riguardava una signora 47enne che, fiduciosa dei miracoli della chirurgia estetica, si era messa nelle mani di un professionista del settore per migliorare alcune imperfezioni del proprio addome, del dorso, delle ginocchia, delle cosce e delle mammelle.

In buona sostanza, la Signora era pronta per un accurato “restauro” ma le cose non sono andate nel modo in cui aveva immaginato.

Infatti, i risultati ottenuti dall’operazione chirurgica non hanno soddisfatto la paziente che guardandosi allo specchio non aveva esitato a denunciare il chirurgo.

La donna, che voleva abbellire il proprio aspetto, dopo l’intervento aveva notato un eccesso di tessuti e delle irregolarità sulla pancia che comunque erano la cosa minore rispetto al risultato ottenuto dalla mastoplastica additiva, (che la paziente non aveva neppure chiesto), dove le erano state inserite due protesi di “differente volume e peso”, nella parte “retro ghiandolare” invece che in quella “retro muscolare”.

Infine, i seni dopo l’operazione risultavano essere del tutto asimmetrici e innaturali.

Disagi e che avevano provocato seri problemi alla donna compromettendone anche la sfera sessuale non riuscendo più a  mostrarsi senza gli abiti addosso.

La causa arriva a Piazza Cavour ma la Cassazione, indifferente dei disagi dalla donna, ha deciso di rigettare le sue richieste.

Proprio così, la Corte non ha dato ragione alla donna perchè non può condannarsi per lesioni un chirurgo estetico per aver peggiorato l’aspetto di una paziente.

La Suprema Corte infatti basandosi sul fatto che gli inestetismi non sono una malattia ha escluso l’ipotesi di reato relativa agli interventi chirurgici non riusciti escludendo in questo modo anche la condanna del clinico al pagamento del conseguenziale maxi risarcimento.

Con la sentenza n. 47265/2012 la Corte ne ha approfittato anche per fare alcune precisazioni sull’argomento e, più in particolare, ha affermato che in vicende del genere ciò che deve essere preso in considerazione riguarda anche l’età e l’aspetto estetico che si ha prima di arrivare sul tavolo operatorio e, senza troppi giri di parole osserva che “non c’è dubbio che l’insulto estetico, tuttavia da rapportarsi all’età e alla pregeressa condizione estetica possa essere causa di responsabilità non patrimoniale da fonte contrattuale ed extracontrattuale, ove ne sussistano le condizioni.

Esso però non può essere confuso con lo stato di malattia richiesto dalla legge penale, perché resti integrato il delitto di lesioni”.

Resta però “in gioco” (innanzi al giudice civile) il risarcimento per la mastoplastica additiva che la donna non aveva richiesto ma è stata comunque fatta per una libera iniziativa del chirurgo.

In definitiva, possiamo dire che la sentenza della corte cerca di far contenti tutti perchè non condanna il medico ma comuque invita i giudici del merito a rivedere la loro decisione riguardo alla scelta di escludere il reato di lesioni colpose relativamente ad una grave emorrargia che la paziente aveva avuto durante l’operazione all’addome che aveva portato ad un drastico abbassamento dell’emoglobina, cosa che poteva essere fatale per la paziente, seguita  in una struttura privata di day surgery da un solo medico senza una equipe pronta ad intervenire.

La corte conclude dicendo però che un disastroso intervento estetico ben potrebbe essere fonte di una vera e propria depressione e quindi di malattia anche se, nel caso di specie, la paziente non aveva affermato di essere depressa. ""

Fonte sentenze-cassazione.com, qui:

http://www.sentenze-cassazione.com/cassazione-niente-risarcimento-per-i-danni-estetici-post-operatori-non-si-tratta-di-malattie/
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Avvocato penalista - Non può condannarsi per lesioni un chirurgo estetico per aver peggiorato l’aspetto di una paziente, perché i danni estetici non sono malattie.
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lunedì 15 giugno 2015

Avvocato penalista - La zooerastia è reato poiché è una delle forme di maltrattamento degli animali.

Avvocato penalista - La zooerastia è reato poiché è una delle forme di maltrattamento degli animali.
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Avvocato penalista - La zooerastia è reato poiché è una delle forme di maltrattamento degli animali.
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"" E’ reato girare film a luci rosse con animali, lo dice la Cassazione

E’ reato girare film a luci rosse con animali, lo dice la Cassazione

Ancora una volta la Corte di Cassazione si schiera a favore degli animali, fortunatamente.

I giudici della Suprema Corte hanno condannato un allevatore di Bolzano perchè usava i propri cani per girare dei film hard.

In Europa questa forma di reato è già prevista in molti Stati (es. Germania, Austria e Olanda) ma in Italia questa è forse la prima sentenza emessa sull’argomento da parte dai giudici di legittimità.

Meglio tardi che mai.

Finalmente gli animali godono di una maggiore tutela perchè la Corte, con la sentenza in esame, ha considerato il comportamento dell’uomo come una forma di maltrattamento nei confronti degli animali sfruttati per girare le scene hard.

L’allevatore, che era già stato condannato in precedenza per vendita di cani con falso pedigree e vi era stato anche il forte sospetto che lo stesso si fosse in qualche circostanza spacciato per veterinario, aveva ingaggiato un’attrice e con questa (e i cani) aveva girato le suddette scene rivendute su internet a 20 euro ciascuno.

Per i Giudici di Piazza Cavour, il sesso con gli animali è reato perchè è contrario alla loro natura. In questo modo i Supremi Giudici hanno confermato la linea dei colleghi di primo e secondo grado condannando l’uomo per maltrattamento anzi per zooerastia. ""

Fonte sentenze-cassazione.com, qui:

http://www.sentenze-cassazione.com/e-reato-girare-film-a-luci-rosse-con-animali-lo-dice-la-cassazione/
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Avvocato penalista - La zooerastia è reato poiché è una delle forme di maltrattamento degli animali.
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domenica 14 giugno 2015

Avvocato penalista - Commette Maltrattamenti e Violenza il marito che obbliga la moglie a fare il saluto fascista e ad avere rapporti, contro la sua volontà.

Avvocato penalista - Commette Maltrattamenti e Violenza il marito che obbliga la moglie a fare il saluto fascista e ad avere rapporti, contro la sua volontà.
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Avvocato penalista - Commette Maltrattamenti e Violenza il marito che obbliga la moglie a fare il saluto fascista e ad avere rapporti, contro la sua volontà.
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"" Condannato per maltrattamenti e violenza l’uomo che costringeva le moglie a fare il saluto nazista

Condannato per maltrattamenti e violenza l’uomo che costringeva le moglie a fare il saluto nazista

Corte di Cassazione Prima Sezione Penale – Sentenza n. 35805 / 2012

La Suprema Corte di Cassazione ha convalidato la sentenza emessa dalla Corte d’appello di Milano con cui veniva deciso il pagamento di un risarcimento per un importo di 80 mila euro nei confronti di una donna che, quasi ogni giorno, costretta dal marito, a fare il saluto nazista.

L’uomo rincasando “imponeva il saluto nazista e pretendeva che la donna si mettesse a terra e durante i rapporti contro il volere di lei”.

Un caso molto particolare quello che ha originato la sentenza oggetto del nostro esame e, come poteva immaginarsi, dai fatti di causa sono emersi degli episodi raccapriccianti.

La donna infatti era costretta ad un totale stato di prostrazione arrivando anche a rannicchiarsi in un angolino della casa per paura di essere malmenata oltre che violentata.

La prima sezione penale della Corte di Cassazione non ha avuto alcuna esitazione nel confermare la sentenza emessa dai giudici territoriali, che ritenevano il marito responsabile dei maltrattamenti subiti dalla moglie e per la violenza sessuale dato che le donna veniva costretta a subire rapporti contri il proprio volere.

La sentenza n. 35805 / 2012 mette fine alla triste vicenda e alle aggressioni subite dalla donna. Il processo penale a carico dell’uomo è stato proprio la conseguenza di una denuncia fatta dalla moglie dopo un grave episodio di violenza, l’ennesimo, che però ha chiuso la questione una volta per tutte.

Da quanto ha dichiarato la moglie emergeva che il loro rapporto di coppia non era mai stato improntato alla parità “in quanto era il marito che prendeva ogni decisione sia nel campo lavorativo che in quello personale, facendo le scelte che riguardavano la loro vita di coppia, quanto alle frequentazioni sociali, ai luoghi di vacanze, spesso ispirate a logiche affaristiche, cui lui era molto attento”.

La Cassazione, con riferimento al reato di maltrattamento osserva che “non occorrono necessariamente manifestazioni di violenza fisica, potendosi esse concretare anche in condotte vessatorie, prevaricatrici, mortificanti dell’umana dignità che valutate isolatamente, assumono una rilevante offensività con riguardo alla libertà morale della vittima per il loro carattere abituale e la loro ripetitività nel tempo tale da determinare l’instaurarsi di un sistema di vita penoso mortificante teso all’annientamento psicologico della vittima”.

Il discorso appena fatto vale chiaramente anche riguardo al reato di violenza sessuale e sul punto gli ermellini hanno ricordato che il marito “pure se titolare in astratto di un diritto/dovere di prestazione sessuale nei confronti del coniuge, non può di certo costringere la moglie a subire passivamente ogni desiderio e pulsione fisica dello stesso”.

Per questi motivi la corte ha condannato l’imputato anche a risarcire la donna con una provvisionale di 80 mila euro. ""

Fonte sentenze-cassazione.com, qui:

http://www.sentenze-cassazione.com/condannato-per-maltrattamenti-e-violenza-luomo-che-costringeva-le-moglie-a-fare-il-saluto-nazista/
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sabato 13 giugno 2015

Avvocato penalista - Apostrofare “babbuino” o “barbagianni” qualcuno integra il reato di Ingiuria, previsto e punito dall'Art. 594 c. p.

Avvocato penalista - Apostrofare “babbuino” o “barbagianni” qualcuno integra il reato di Ingiuria, previsto e punito dall'Art. 594 c. p.
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Avvocato penalista - Apostrofare “babbuino” o “barbagianni” qualcuno integra il reato di Ingiuria, previsto e punito dall'Art. 594 c. p.
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"" Dare del “babbuino” a qualcuno potrebbe costar caro

Dare del “babbuino” a qualcuno potrebbe costar caro

Corte di Cassazione Quinta Sezione Penale – Sentenza n. 44966/2012

La suprema corte di cassazione, trattando il caso di un cinquantenne di Castrovillari, imputato in un processo per ingiuria, ha stabilito che appioppare alle persone degli epiteti evocativi di animali puo’ far rischiare una condanna penale.

Secondo gli ermellini tali frasi “hanno una obiettiva valenza denigratoria in quanto, assimilando un essere umano ad un animale, ne negano qualsiasi dignita’ in un processo di reificazione e di assimilazione ad una ‘res’ comunemante ritenuta disgustosa o comunque di disumanizzazione”.

Sulla base di questa considerazione, la quinta sezione, ha condannato per ingiuria il suddetto imputato per essersi rivolto ad un suo vicino di casa chiamandolo “barbagianni” e “babbuino”.

Innanzi al Giudice di Pace il cinquantenne era stato assolto per la particolare tenuità del fatto ma Tribunale e Cassazione hanno ribaltato la prima decisione emettendo entrambe sentenze di condanna nei confronti dell’uomo.

E’ stato del tutto inutile trasferire il processo innanzi ai giudici di Piazza Cavour per rappresentare ai togati d’ermellino che le ingiurie oggetto del processo non erano idonee a ledere l’onore del querelante specie per il fatto che queste, sorte quale sfogo dell’imputato per tutelare le proprietà da una costruzione che da lì a poco avrebbe costruito il vicino che a parer dell’imputato sarebbe stata abusiva, hanno una obiettiva valenza denigratoria proprio perchè evocativi di animali.

La sentenza n. 44966/2012 ha chiuso definitivamente la vicenda tra i due “irrequieti” vicini.

La Corte ha condannato il cinquantenne a risarcire il danno subito dal querelante per esser stato accostato a degli animali. ""

Fonte sentenze-cassazione.com, qui:

http://www.sentenze-cassazione.com/dare-del-babbuino-a-qualcuno-potrebbe-costar-caro/
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