http://www.avvocato-penalista-cirolla.blogspot.com/google4dd38cced8fb75ed.html Avvocato penalista ...: luglio 2015

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venerdì 31 luglio 2015

Avvocato penalista - I genitori rispondono per gli illeciti dei figli minorenni, salvo che non provino di non aver potuto impedire il fatto, Art. 2048 C. C .

Avvocato penalista - I genitori rispondono per gli illeciti dei figli minorenni, salvo che non provino di non aver potuto impedire il fatto, Art. 2048 C. C.
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Avvocato penalista - I genitori rispondono per gli illeciti dei figli minorenni, salvo che non provino di non aver potuto impedire il fatto, Art. 2048 C. C.
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"" Cassazione : salvo prova contraria i genitori rispondono per gli illeciti dei figli.

Cassazione Civile – sezione III – Sentenza 25.09.2012 n. 16265.

Salvo prova contraria i genitori rispondono per gli illeciti dei figli.

La Suprema Corte di Cassazione, trattando il caso relativo ad un fatto illecito commesso da parte di un minore, ha stabilito che la responsabilità per l’illecito ricadrà sui genitori salvo questi non forniscano una prova liberatoria.

In poche parole, i genitori rispondono del fatto illecito del figlio minore se non danno la prova liberatoria della loro responsabilità prevista dall’ultimo comma dell’art. 2048 c.c.

Certo non é la prima volta che la Corte si pronuncia sull’argomento.

Recentemente si era espressa nella stessa direzione con riferimento ad un caso relativo all’educazione dei figli.

Il caso che ha originato il procedimento giunto fino alla massima Corte riguardava l’incidente causato da un motociclista tredicenne che in questo modo procurava delle lesioni ad un altro utente della strada al quale, il genitore del ragazzino, doveva risarcire il danno subito quantificato dal Tribunale di Marsala in Lire 27.430.000, oltre agli interessi e alla rivalutazione.

Il genitore del mini-motociclista rappresentava che il figlio non era stato autorizzato ad utilizzare il motorino ma lo aveva sottratto senza chiedere il consenso al genitore.

Tale circostanza, confermata dal ragazzo, non ha convinto la Corte che sulla questione osservava che il genitore non ha fornito alcuna prova liberatoria di non aver potuto impedire il fatto e, pertanto, lo condannava e ribadiva che l’apprensione furtiva del veicolo già di per sé non esonera dalla propria responsabilità nemmeno il proprietario del veicolo. ""

Fonte sentenze-cassazione.com, qui:

http://www.sentenze-cassazione.com/cassazione-salvo-prova-contraria-i-genitori-rispondono-per-gli-illeciti-dei-figli/
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Avvocato penalista - I genitori rispondono per gli illeciti dei figli minorenni, salvo che non provino di non aver potuto impedire il fatto, Art. 2048 C. C.
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giovedì 30 luglio 2015

Avvocato penalista - Il P.O.S., Piano Operativo di Sicurezza, non può essere generico, ma deve avere disposizioni specifiche in relazione alle diverse e particolari attività che vengono svolte nel cantiere.

Avvocato penalista - Il P.O.S., Piano Operativo di Sicurezza, non può essere generico, ma deve avere disposizioni specifiche in relazione alle diverse e particolari attività che vengono svolte nel cantiere.
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Avvocato penalista - Il P.O.S., Piano Operativo di Sicurezza, non può essere generico, ma deve avere disposizioni specifiche in relazione alle diverse e particolari attività che vengono svolte nel cantiere.
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"" Cassazione : il contenuto del POS non deve essere generico.

Cassazione Sentenza n. 28136 del 13 luglio 2012.

Cassazione : il contenuto del POS non deve essere generico.

La Cassazione tra i vari argomenti che tratta quotidianamente dentro le aule del Palazzaccio, spesso e volentieri ne approfitta per dettare le linee guida in quei settori che, per carenza di norme specifiche o anche a causa di una possibile confusione legislativa, per ovvi motivi di chiarezza, necessitano di avere un’adeguata interpretazione giurisprudenziale.

Anche il Piano Operativo di Sicurezza è stato trattato recentemente dai giudici della Suprema Corte e la terza Sezione Penale, con la sentenza n. 28136 del 13 luglio 2012, ha affermato la responsabilità del datore di lavoro in materia di contenuti del POS.

Più nello specifico, trattandosi di un documento che rappresenta uno strumento di prevenzione dei rischi connessi allo svolgimento dell’attività, non può essere generico ma deve avere disposizioni specifiche in relazione alle diverse e particolari attività che vengono svolte nel cantiere al fine di raggiungere quelli che sono gli obiettivi del Piano di Sicurezza e Coordinamento (PSC).

Pertanto, dalla citata sentenza, in cui addirittura non veniva neppure indicato il numero dei dipendenti del cantiere o le attrezzature utilizzate, emerge che non  saranno conformi al dettato del TU 81/08 le indicazioni generiche se non anche ripetitive del PSC. ""

Fonte sentenze-cassazione.com, qui:

http://www.sentenze-cassazione.com/cassazione-il-contenuto-del-pos-non-deve-essere-generico/
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Avvocato penalista - Il P.O.S., Piano Operativo di Sicurezza, non può essere generico, ma deve avere disposizioni specifiche in relazione alle diverse e particolari attività che vengono svolte nel cantiere.

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mercoledì 29 luglio 2015

Avvocato penalista - Non commette Violazione degli obblighi di assistenza familiare, Articolo 570 del Codice Penale, la/il coniuge che abbandona il tetto coniugale perché la convivenza è impossibile.

Avvocato penalista - Non commette Violazione degli obblighi di assistenza familiare, Articolo 570 del Codice Penale, la/il coniuge che abbandona il tetto coniugale perché la convivenza è impossibile.
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Avvocato penalista - Non commette Violazione degli obblighi di assistenza familiare, Articolo 570 del Codice Penale, la/il coniuge che abbandona il tetto coniugale perché la convivenza è impossibile.
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"" La convivenza impossibile giustifica l’abbandono del tetto coniugale.

Cassazione Penale Sentenza n. 34562 dell’ 11/09/2012.

La convivenza impossibile giustifica l’abbandono del tetto coniugale.

La Suprema Corte di Cassazione con la sentenza in oggetto ha fatto chiarito alcuni aspetti relativi alle vicende che potrebbero insorgere tra i coniugi e che devono essere prese in considerazione dal giudicante al momento della decisione.

In particolare, il caso da cui hanno preso spunto gli ermellini riguardava la “fuga” di un marito dalla casa coniugale a causa del fatto che si era giunti ad avere dentro le mura una situazione invivibile tale da rendere impossibile l’ulteriore convivenza con la propria compagna.

Il Giudice a questo punto non deve limitarsi ad accertare il fatto storico (ovvero l’abbandono del tetto coniugale) e decidere di conseguenza ma deve invece ricostruire la situazione che si è concretamente verificata e che ha provocato la “fuga” da parte del marito.

In sostanza i giudici di legittimità, trattando questo caso, hanno indirizzato il giudice ad esprimere una decisione sulla questione partendo però da una analisi globale della situazione al fine di valutare in siffatto modo la presenza o meno di qualche causa di giustificazione idonea a provocare la condotta del marito e scoprire quali siano concretamente le cause che rendono la convivenza impossibile e intollerabile.

Pertanto, alla luce di questa interpretazione appare sempre di più chiara la strada consigliata dalla Corte che presuppone un vero e proprio conoscimento dei fatti di causa e delle situazioni concrete che hanno generato la crisi matrimoniale.

Bisogna fare una precisazione, anche se stiamo parlando di famiglia, di rapporto tra i coniugi e la massima che si desume dalla decisione della Corte sembrerebbe appartenere più al diritto di famiglia che al diritto penale, non dobbiamo dimenticare che il procedimento che ha portato la questione fino al Palazzaccio riguarda un reato e, pertanto, la sentenza in esame, che troverebbe certamente posto nella giurisprudenza citata dentro un ricorso per la separazione dei coniugi con relativa richiesta di addebito, di fatto è stata emessa dalla Sesta Sezione Penale nell’ambito quindi di un processo penale.

L’imputato era accusato infatti del reato di cui all’art. 570, comma 1, c.p. ovvero di essersi sottratto agli obblighi di assistenza inerenti la potestà genitoriale e alla qualità di coniuge.

L’uomo si è difeso rappresentando ai giudici l’erronea applicazione dell’art. 570 c.p., poiché la Corte territoriale ha giustificato la colpevolezza dell’imputato in relazione alla condotta di abbandono del domicilio domestico senza considerare i motivi addotti per giustificare un tale comportamento.

Questo motivo è stato considerato valido dalla Corte di Cassazione che ha annullato la sentenza impugnata con rinvio ad altra sezione della Corte d’Appello di Catania per nuovo giudizio che tenga conto delle suddette osservazioni. ""

Fonte sentenze-cassazione.com, qui:

http://www.sentenze-cassazione.com/la-convivenza-impossibile-giustifica-labbandono-del-tetto-coniugale/
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Avvocato penalista - Non commette Violazione degli obblighi di assistenza familiare, Articolo 570 del Codice Penale, la/il coniuge che abbandona il tetto coniugale perché la convivenza è impossibile.
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martedì 28 luglio 2015

Avvocato penalista - Cacciare di casa la / il coniuge è reato, anche se e quando ritorna, dopo averla abbandonata, per andare a vivere coi suoi genitori.

Avvocato penalista - Cacciare di casa la / il coniuge è reato, anche se e quando ritorna, dopo averla abbandonata, per andare a vivere coi suoi genitori.
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Avvocato penalista - Cacciare di casa la / il coniuge è reato, anche se e quando ritorna, dopo averla abbandonata, per andare a vivere coi suoi genitori.
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"" Cassazione : cacciare di casa il coniuge è reato.

Cassazione Penale – Sentenza n. 40383/2012.

Basta mettere le valigie del coniuge fuori dalla porta.

Per la Cassazione: cacciare di casa il coniuge é reato.

Tra le mura domestiche ne succedono davvero di cotte e di crude.

Come al solito le sentenze più particolari hanno per protagonisti coniugi o condomini.

In questo caso, parliamo di coniugi.

Più nello specifico, la sentenza che stiamo per analizzare riguarda un burrascoso rapporto di coppia che ha “fruttato” al marito una condanna per i reati di violenza privata, lesioni personali, danneggiamento e ingiuria ai danni della moglie.

La Cassazione ha preso spunto dalla fattispecie esaminata per dettare alcune regole fondamentali del rapporto di coppia come ad esempio che non si può cacciare di casa il coniuge.

Forse siamo stati abituati dai film e con facilità riusciamo ad immaginare la scena in cui la moglie furiosa, cambia la serratura e lascia fuori dalla porta la valigia piena di vestiti del marito ma in questo caso le posizioni sono invertite.

Infatti, in questa occasione è stata la moglie a trovare la valigia sul pianerottolo di casa.

In sostanza la vicenda è stata questa: una donna siciliana (dopo una lite) torna dai genitori ma poi il marito non l’ha fatta più rientrare in casa.

Tutto proprio come il copione di un film se non fosse che nel nostro ordinamento a seguire il copione si commette reato.

Infatti, il reato di violenza privata si è configurato esattamente all’atto dell’espellere la consorte fuori dalle mura domestiche.

L’uomo 51 enne difendeva innanzi ai giudici affermando che, al momento del fatto, la consorte era tornata a vivere dai suoi genitori e, pertanto, la casa familiare era «in uso» soltanto a lui.

L’imputato ha inutilmente rappresentato alla Corte la propria versione dei fatti secondo la quale non sarebbe avvenuto alcun tipo di allontanamento forzato, ma gli ermellini hanno comunque deciso di non rigettare il ricorso dell’uomo chiarendo «la donna, anche se temporaneamente trasferitasi presso i genitori, aveva il diritto di tornare, né il marito poteva escluderla dalla casa coniugale».

In questo modo la quinta sezione penale della suprema corte di Cassazione ha confermato, con la sentenza n. 40383/2012, la condanna inflitta dalla Corte d’appello di Palermo all’imputato.

Stando così le cose sarà meglio pensarci due volte prima di comportarsi come gli attori di un film o magari iniziare a fare scene più originali e che imitandole non si rischia una sentenza di condanna. ""

Fonte sentenze-cassazione.com, qui:

http://www.sentenze-cassazione.com/cassazione-cacciare-di-casa-il-coniuge-e-reato/
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Avvocato penalista - Cacciare di casa la / il coniuge è reato, anche se e quando ritorna, dopo averla abbandonata, per andare a vivere coi suoi genitori.
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lunedì 27 luglio 2015

Avvocato penalista - Commette diffamazione chi denigra i propri collaboratori o dipendenti, ledendo pubblicamente la loro reputazione, quando non ricorre la necessità di tutelare interessi riconosciuti dall’ordinamento”.

Avvocato penalista - Commette diffamazione chi denigra i propri collaboratori o dipendenti, ledendo pubblicamente la loro reputazione, quando non ricorre la necessità di tutelare interessi riconosciuti dall’ordinamento”.
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Avvocato penalista - Commette diffamazione chi denigra i propri collaboratori o dipendenti, ledendo pubblicamente la loro reputazione, quando non ricorre la necessità di tutelare interessi riconosciuti dall’ordinamento”.
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"" ” Sparlare ” dei propri collaboratori potrebbe costar caro, lo dice la Cassazione.

Sparlare dei collaboratori potrebbe costar caro, lo dice la Cassazione.

Nel luogo di lavoro sono tante le situazioni che possono facilmente inclinare i rapporti tra colleghi, siano essi superiori o subalterni.

Il posto di lavoro e la vita sociale coi colleghi possono essere inquadrati rispettivamente come una seconda casa e una seconda famiglia proprio perché le ore trascorse insieme dentro le mura dell’Ufficio creano questa atmosfera di vicinanza e collaborazione ma, proprio come in una famiglia, le liti e le incomprensioni sono sempre in agguato e, a volte, basta una scintilla per scatenare l’inferno.

Il caso che esamineremo tratta di una situazione che non di rado si manifesta anche nelle migliori famiglie e che pone le basi per una sana litigata tra parenti.

In ogni famiglia, ma soprattutto in ogni ufficio, c’è sempre qualcuno con la “lingua lunga” ovvero qualcuno a cui piace sparlare di un proprio collaboratore anche innanzi a persone a cui le vicende raccontate poco interessano.

Sarebbe proprio il caso di dire che vicende come questa che andremo a descrivere costituiscono quelle classiche situazioni in cui l’oratore proprio non riesce a trattenersi.

La Cassazione ha dovuto pertanto affrontare un caso del genere e, anche se tra i compiti dell’alta corte non rientra quello di insegnare educazione e Bon Ton, non ha potuto fare a meno di precisare alcune regole di comportamento e buone maniere che dovremmo sempre ricordare.

Ovviamente non è educato sparlare di un proprio collaboratore ma se proprio lo si deve fare, se siamo spinti dalla voglia irrefrenabile di criticare l’operato del collega, sarebbe opportuno farlo con un minimo di discrezione e senza troppi interlocutori anzi meglio ancora senza che nessuno possa sentire le “belle” parole destinate al collaboratore.

Sia chiaro poi che la diversa posizione occupata in azienda resta indifferente ai fini della condotta sbagliata che è stata appena descritta.

Sparlare di una persona non è educato sia nel caso in cui a parlare male fosse il capo, (o qualcun altro dirigente dell'”ultimo piano”) sia se lo facesse il portiere (al “piano terra”).

Infatti, il caso che ha avviato l’iter giudiziario è stata proprio un’uscita infelice del manager di una Coop che, durante un seminario, ha citato un collaboratore come esempio da non imitare dal punto di vista lavorativo.

Il manager si è rivolto alla platea sparlando del collaboratore assente all’evento come esempio lavorativo da non seguire, perché addirittura rimosso dall’incarico “per incapacità a ricoprire il ruolo”.

La sola discrezione che ha avuto il suddetto dirigente è stata quella di non riferirsi al dipendente col suo nome ma questa accortezza non è stata determinante ai fini della decisione che sul punto hanno preso i Giudici infatti l’uomo venne reputato colpevole si avere offeso la reputazione del sottoposto ed era stato condannato per il reato di diffamazione, sia in primo sia in secondo grado.

Il presidente della Cooperativa per non esser condannato ha presentato ricorso in Cassazione ed a sua difesa ha rivendicato il diritto della  “libera manifestazione di pensiero consentita a chiunque in uno stato democratico, in via generale, e a maggior ragione nell’ambito di un rapporto subordinato dove e’ riconosciuto al datore di lavoro un potere valutativo e disciplinare”.

La Quinta sezione penale della Corte di Cassazione, ha accolto il ricorso ma ha disposto un nuovo esame della vicenda innanzi al Tribunale e ha osservato che “non e’ consentito con la parola o con qualsiasi altro mezzo di espressione, ledere l’altrui reputazione, salvo che per tutelare interessi riconosciuti dall’ordinamento”.

Secondo i supremi giudici è sempre necessario «accertare se il sacrificio della reputazione del dipendente sia proporzionato all’interesse perseguito posto che la valutazione della continenza non può prescindere dalla comparazione dei valori in gioco».

Con l’occasione la Corte ne ha approfittato per stilare (nella sentenza) un vero e proprio vademecum del “buon dirigente”, in cui la regola numero uno potrebbe proprio diventare quella che la reputazione dei dipendenti non si può “sacrificare” tanto alla leggera.

Specie se ci si trova in un contesto pubblico, davanti ad una platea.

Naturalmente, il dirigente rischia ancora di esser condannato e noi resteremo in attesa di vedere come si concluderà la vicenda. ""

Fonte sentenze-cassazione.com, qui:

http://www.sentenze-cassazione.com/sparlare-dei-propri-collaboratori-potrebbe-costar-caro-lo-dice-la-cassazione/
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Avvocato penalista - Commette diffamazione chi denigra i propri collaboratori o dipendenti, ledendo pubblicamente la loro reputazione, quando non ricorre la necessità di tutelare interessi riconosciuti dall’ordinamento”.
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domenica 26 luglio 2015

Avvocato penalista - Commette Violenza sessuale il medico che palpeggia la paziente nel corso della visita.

Avvocato penalista - Commette Violenza sessuale il medico che palpeggia la paziente nel corso della visita.
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Avvocato penalista - Commette Violenza sessuale il medico che palpeggia la paziente nel corso della visita. 
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"" Condannato medico per aver palpeggiato una paziente.

Cassazione Penale – Sentenza n. 40143/2012.

Violenza sessuale – Condannato medico per aver palpeggiato una paziente.

A volte andare dal mendico potrebbe essere rischioso. Non stiamo cercando di introdurre un articolo che analizza l’ennesima diagnosi errata oppure il caso di qualcuno che si è recato dal medico per qualche malore e gli sono state prescritte delle cure sbagliate.

Il caso di cui andremo a parlare si riferisce a tutt’altra cosa.

Il rischio corso dal paziente, o meglio dalla paziente visto che la fattispecie concretamente esaminata dalla Corte si riguarda una donna, è quello di esser violentata dal medico.

Pensandoci bene, bisogna seriamente fare attenzione quando ci si reca negli ambulatori medici infatti se in questo caso una donna è stata vittima del clinico poco tempo fa avevamo pubblicato una sentenza che diceva l’opposto, ovvero la dottoressa della guardia medica aveva subito delle avances da parte di un paziente (Leggi l’articolo e il testo della sentenza n. 33518/12).

Un altro caso “strano” successo dentro le mura di un ambulatorio medico qualche anno fa (forse qualcuno lo ricorderà il caso se non altro per l’insolita e involontaria vicenda che si è verificata) riguardava un ginecologo che è stato condannato a risarcire il danno alla paziente perché, a causa del “pollice tremolante”, ha provocato l’orgasmo di una donna che si era sottoposta alla visita.

La questione che la Corte ha trattato con la sentenza n. 40143/2012 riguarda un palpeggiamento.

Il medico fiscale è stato condannato a 20 mesi di carcere per aver palpeggiato la paziente.

La Cassazione, valutati i fatti emersi nel corso delle fasi precedenti, ha confermato la condanna per violenza sessuale nei confronti di un medico fiscale che visitando una lavoratrice in malattia, aveva iniziato a palparla cercando di baciarla.

Per la vicenda appena descritta l’uomo era già stato condannato dalla Corte di Appello di Napoli e, presentato il ricorso innanzi ai giudici di Piazza Cavour per impugnare la decisione dei giudici partenopei, questo veniva respinto affermando che il racconto della paziente è «chiaro e preciso» ed esclude ogni «motivo di rancore» nei confronti dell’imputato «dal momento che in occasione del controllo fiscale, il medico aveva confermato lo stato di malattia e l’inidoneità della donna a riprendere il lavoro, con una prognosi di sette giorni.» ""

Fonte sentenze-cassazione.com, qui:

http://www.sentenze-cassazione.com/condannato-medico-per-aver-palpeggiato-una-paziente/
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Avvocato penalista - Commette Violenza sessuale il medico che palpeggia la paziente nel corso della visita. 
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sabato 25 luglio 2015

Avvocato penalista - L'Ingiuria, Articolo 594 del Codice Penale, non è punibile se e quando è rivolta a un automobilista indisciplinato, poiché scaturisce dal fatto ingiusto di lui.

Avvocato penalista - L'Ingiuria, Articolo 594 del Codice Penale, non è punibile se e quando è rivolta a un automobilista indisciplinato, poiché scaturisce dal fatto ingiusto di lui.
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Avvocato penalista - L'Ingiuria, Articolo 594 del Codice Penale, non è punibile se e quando è rivolta a un automobilista indisciplinato, poiché scaturisce dal fatto ingiusto di lui.
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"" Cassazione : è lecito dare del cafone all’automobilista indisciplinato.

Cassazione : è lecito dare del cafone all’automobilista indisciplinato.

La  Cassazione giustifica l’insulto tra automobilisti.

Finalmente si può dare del “cafone” ad un automobilista scorretto senza ritrovarsi una condanna per ingiurie.

Questo è il succo della vicenda che ha originato il processo penale conclusosi innanzi ai giudici della massima corte che hanno confermato la pronuncia, con la quale, il Tribunale di Cagliari aveva annullato la condanna per ingiuria emessa nella fase precedente innanzi al giudice di pace nei riguardi di un uomo che, mentre conduceva il suo veicolo in mezzo al traffico, aveva apostrofato, “cafone” un altro utente della strada che, parcheggiando male il proprio veicolo, ostruiva la carreggiata impedendo la normale circolazione nella strada.

Gli ermellini sono giunti a questa decisione perché hanno considerato alcune circostanze di fatto, come il traffico e il comportamento dell’uomo che impediva il transito, come una scriminante per il reato di ingiuria in quanto l’imputato ha utilizzato le parole “incriminate” perché in presenza di una provocazione, derivante, da fatto ingiusto.

Per i giudici di legittimità «l’ingiuria, se provocata da fatto ingiusto» merita tutte le attenuanti senza escludere l’assoluzione.

I giudici ammettono ampi margini di tolleranza quando l’ingiuria viene evocata in mezzo al traffico mentre bacchettano molto altre situazioni che evidenziano soltanto una indifendibile maleducazione di chi insulta.

In poche parole per la Corte conta molto il contesto in cui gli insulti sono stati pronunciati e, a tal proposito osserva inoltre che «in tema di ingiuria, il criterio a cui fare riferimento ai fini della ravvisabilità del reato è il contenuto della frase pronunciata e il significato che le parole hanno nel linguaggio comune, prescindendo dalle intenzioni inespresse dell’offensore, come pure dalle sensazioni puramente soggettive che la frase può avere provocato nell’offeso.» ""

Fonte sentenze-cassazione.com, qui:

http://www.sentenze-cassazione.com/cassazione-e-lecito-dare-del-cafone-allautomobilista-indisciplinato/
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Avvocato penalista - L'Ingiuria, Articolo 594 del Codice Penale, non è punibile se e quando è rivolta a un automobilista indisciplinato, poiché scaturisce dal fatto ingiusto di lui.
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venerdì 24 luglio 2015

Avvocato penalista - Commette Abuso d’ufficio, Articolo 323 del Codice Penale, il medico che effettua le visite post-operatorie a pagamento o in privato.

Avvocato penalista - Commette Abuso d’ufficio, Articolo 323 del Codice Penale, il medico che  effettua le visite post-operatorie a pagamento o in privato.
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Avvocato penalista - Commette Abuso d’ufficio, Articolo 323 del Codice Penale, il medico che  effettua le visite post-operatorie a pagamento o in privato.
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"" Abuso d’ufficio effettuare le visite post-operatorie a pagamento.

Cassazione Sentenza n. 40824 del 17 ottobre 2012.

Abuso d’ufficio effettuare le visite post-operatorie a pagamento.

Ancora una volta la Cassazione bacchetta i camici bianchi e questa volta l’accusa è grave, in quanto a parere dei giudici con la toga d’ermellino, il medico che all'atto delle dimissioni dall'ospedale invita
esplicitamente i pazienti a recarsi per la visita di controllo post operatoria presso il suo studio professionale commetterebbe abuso d’ufficio.

La Suprema Corte di Cassazione è giunta a queste conclusioni esaminando il comportamenti di un medico che eseguiva delle visite a pagamento senza i formare i pazienti che avrebbero potuto fare la stessa visita presso il presidio ospedaliero e senza sborsare un euro essendo tale attività già remunerata dalla tariffa, onnicomprensiva, corrisposta per il ricovero e l’intervento chirurgico.

I giudici di Piazza Cavour hanno sottolineato che “il medico, con la visita post operatoria in ambito privato, viene a percepire, un ingiusto vantaggio (da doppia retribuzione), con danno del paziente (che viene a versare un emolumento già compreso nel ticket), quale conseguenza della dolosa e funzionale carenza di informazione, al paziente stesso, della possibilità di ottenere il medesimo risultato terapeutico in sede ospedaliera: alternativa questa favorevole alla ‘persona operata’, ma da essa non potuta esercitare per doloso difetto di informazione, in un contesto in cui il pubblico ufficiale ha violato manifestamente il dovere di astensione, indirizzando le parti nel suo studio privato per una prestazione che doveva essere contrattualmente praticata in ambito ospedaliero”.

La Corte precisa inoltre che il medico ha “l’obbligo di concludere l’intervento professionale nella sede naturale, ospedaliera, e senza ulteriori esborsi economici non dovuti, a meno che sia lo stesso paziente che opti, “re cognita”, per tale soluzione, volendo che l’autore della visita post operatoria sia lo stesso medico che ha praticato l’intervento. (…)

Né può sostenersi che si è trattato nella specie di una scelta volontaria dei pazienti posto che non risulta affatto che gli stessi siano stati informati del loro diritto di essere visitati, senza ulteriori aggravi economici, all'interno della struttura pubblica nella quale era stato praticato l’intervento chirurgico”. ""

Fonte sentenze-cassazione.com, qui:

http://www.sentenze-cassazione.com/abuso-dufficio-effettuare-le-visite-post-operatorie-a-pagamento/
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Avvocato penalista - Commette Abuso d’ufficio, Articolo 323 del Codice Penale, il medico che  effettua le visite post-operatorie a pagamento o in privato.
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giovedì 23 luglio 2015

Avvocato penalista - Integra il reato di interferenze illecite nella vita privata, Articolo 615 bis Codice Penale, filmare qualcuno dal giardino del vicino.

Avvocato penalista - Integra il reato di interferenze illecite nella vita privata, Articolo 615 bis Codice Penale, filmare qualcuno dal giardino del vicino.
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Avvocato penalista - Integra il reato di interferenze illecite nella vita privata, Articolo 615 bis Codice Penale, filmare qualcuno dal giardino del vicino.
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" Violazione della privacy filmare qualcuno dal giardino del vicino.

Cassazione Sentenza n. 41021 depositata il 19 ottobre 2012.

Violazione della privacy  filmare qualcuno dal giardino del vicino.

Filmare qualcuno nascondendosi nel giardino confinante potrebbe costituire reato infatti un tale comportamento potrebbe far comportate una condanna per interferenze illecite nella vita privata.

La Cassazione si è pronunciata sull’argomento infliggendo ad un investigatore privato una condanna a 2 mesi di reclusione e al risarcimento del danno non patrimoniale in favore della persona offesa.

La quinta sezione penale della Corte, prendendo questa decisione, che è stata sostituita con sanzione pecuniaria, ha confermato quanto era stato stabilito nella fase di merito dalla Corte d’appello di Milano.

Lo 007, era accusato per essersi procurato “indebitamente, mediante uso di strumento di ripresa visiva, immagini attinenti alla vita privata” di un uomo.

Con la sentenza n. 41021 depositata il 19 ottobre 2012, la Corte evidenzia che la legge “e’ intesa a tutelare le manifestazioni di vita privata che si svolgano, ancorché momentaneamente, in uno dei luoghi indicati nell’articolo 614 c.p.”, ossia i luoghi di privata dimora.

Per gli ermellini, il “riferimento ambientale ha il solo scopo di individuare l’ambito spaziale oggetto di tutela, come luogo di espressione della vita privata, indipendentemente dalla sua appartenenza in senso civilistico”. ""

Fonte sentenze-cassazione.com, qui:

http://www.sentenze-cassazione.com/violazione-della-privacy-filmare-qualcuno-dal-giardino-del-vicino/
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Avvocato penalista - Integra il reato di interferenze illecite nella vita privata, Articolo 615 bis Codice Penale, filmare qualcuno dal giardino del vicino.
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mercoledì 22 luglio 2015

Avvocato penalista - Commette Maltrattamenti in famiglia e tentata Violenza sessuale, il marito che fa pesare alla moglie di non avere un proprio reddito e prova a violentarla.

Avvocato penalista - Commette Maltrattamenti in famiglia e tentata Violenza sessuale, il marito che fa pesare alla moglie di non avere un proprio reddito e prova a violentarla.
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Avvocato penalista - Commette Maltrattamenti in famiglia e tentata Violenza sessuale, il marito che fa pesare alla moglie di non avere un proprio reddito e prova a violentarla.
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"" É reato far pesare alla moglie di non percepire un proprio reddito.

Corte di Cassazione – Terza Sezione Penale – Sentenza n. 40845.

É reato far pesare alla moglie di non percepire un proprio reddito.

La cassazione ha stabilio che cosrituisce reato offendere la propia moglie perché non porta uno stipendio in casa.

I giudici hanno precisato che se la moglie non lavora il marito, se non vuole commettere il reato di maltrattamenti in famiglia, non deve farglielo pesare.

Questo é quello che emerge dalla sentenza n. 40845 con la quale la Cassazione ha confermato la sentenza di condanna emessa in appello (2 anni di reclusione pena sospesa) nei confronti di un uomo colpevole di violenza sessuale e maltrattamenti in famiglia per il modo in cui, fin dai primi giorni i matrimoio, si rivolgeva alla moglie spesso apostrofata “con epiteti offensivi” e alla quale faceva “pesare il fatto di non contribuire al menage familiare e di essere a suo completo carico in quanto ancora impegnata negli studi universitari”.

Oggetto del procedimento penale instauratosi nei confronti dell’uomo vi era anche il reato di violenza sessuale che peró non si é concretizzato (se non a livello di tentativo) per la prontezza della moglie che é riuscita a chiudersi dentro il bagno.

La difesa chiedeva l’assoluzione dell’imputato ma sia la corte territoriale, sia quella di legittimitá hanno ravvisato nel comportamento dell’uomo degli elementi penalmente rilevanti e, pertanto, nonostante le attenuanti, la decisione finale é stata una sentenza di condanna.

La terza sezione penale, nelle motivazioni della sentenza, si é soffermata su “quei caratteri di ripetitivita’ degli episodi di violenza morale e fisica” che integrano il reato di maltrattamenti.

L’imputato, affermano i giudici, “era solito offendere la moglie rivolgendosi a lei con epiteti infamanti ed umilianti, facendole pesare di essere a suo carico non percependo un proprio reddito, si’ da instaurare un regime di vita logorante, volto al continuo discredito della moglie, annientandone la personalità”.

Infine gli ermellini, riguardo alla violanza sessuale, ricordano che “cio’ che rileva ai fini della configurabilità del reato in esame é la sussistenza di un’offesa al bene giuridico protetto dalla norma incriminatrice, cioe’ la liberta’ di autodeterminazione in ambito sessuale”, e non puo’ “ritenersi rilevante, ai fini dell’esclusione dell’antigiuridicita’ della condotta, il particolare contesto in cui e’ stata posta in essere, caratterizzata dall’esistenza di un rapporto coniugale fra la vittima e l’imputato, da poco tempo naufragato, e le motivazioni del tentativo di recuperare il rapporto matrimoniale, prese in considerazione dai giudici di appello per riconoscere l’attenuante.” ""

Fonte sentenze-cassazione.com, qui:

http://www.sentenze-cassazione.com/e-reato-far-pesare-alla-moglie-di-non-percepire-un-proprio-reddito/
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Avvocato penalista - Commette Maltrattamenti in famiglia e tentata Violenza sessuale, il marito che fa pesare alla moglie di non avere un proprio reddito e prova a violentarla.

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martedì 21 luglio 2015

Avvocato penalista - Ingoiare una bustina di droga davanti agli agenti rientra nell’esimente prevista dall’art. 384 c. p. e, dunque, il colpevole va assolto.

Avvocato penalista - Ingoiare una bustina di droga davanti agli agenti rientra nell’esimente prevista dall’art. 384 c. p. e, dunque, il colpevole va assolto.
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Avvocato penalista - Ingoiare una bustina di droga davanti agli agenti rientra nell’esimente prevista dall’art. 384 c. p. e, dunque, il colpevole va assolto.
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"" Assolto l’uomo che ha ingoiato una bustina di eroina davanti agli agenti.

Assolto l’uomo che ha ingoiato una bustina di eroina davanti agli agenti.

Per la Corte il fatto non sussiste.

Proprio così.

La Cassazione ha elaborato una importante sentenza che sicuramente farà discutere.

Parliamo di droga, di autodifesa ma soprattutto di diritto penale perché é stato assolto un ultracinquantenne che era stato accusato e condannato in Appello per il reato di favoreggiamento personale perché, davanti alle forze dell’ordine che procedevano all’arresto del pusher, aveva ingoiato la dose che gli era stata poco prima ceduta dallo spacciatore.

Per i giudici della Suprema Corte di Cassazione l’uomo va assolto “perché il fatto non costituisce reato” perché l’atto di ingoiare la droga va inquadrato in una forma di “autodifesa” volta ad evitare “un nocumento alla sfera della sua libertà personale o del suo onore”.

Con questa decisione Piazza Cavour introduce un importante principio di diritto penale che merita di essere approfondito.

Nei prossimi giorni potremmo creare una specifica pagina per trattare ed evidenziare tutti gli aspetti relativi a questo tema.

La difesa dell’uomo faceva notare che il gesto incriminato “non aveva pregiudicato in alcun modo le indagini, ne’ aveva offeso l’amministrazione della giustizia”.

La Cassazione ha affermato che “l’azione realizzata dall’imputato, prima ancora che apprestare aiuto allo spacciatore di droga appare dettata dal precipuo intento di tenersi lontano dall’episodio e di evitare o prevenire il rischio di vedersi applicate le sanzioni amministrative” previsti dalla legge “quale acquirente di sostanza stupefacente destinata al proprio personale consumo non terapeutico”.

In conclusione, i giudici di legittimità hanno annullato senza rinvio la sentenza impugnata e hanno inoltre evidenziato che in maniera illegittima non e’ stata applicata l’esimente prevista dall’art. 384 c.p. sulla base del fatto che l’uomo aveva “il serio timore di poter subire dalla vicenda di cui era stato a suo modo protagonista passivo un nocumento alla sfera della sua liberta’ personale e del suo onore”. ""

Fonte sentenze-cassazione.com, qui:

http://www.sentenze-cassazione.com/assolto-luomo-che-ha-ingoiato-una-bustina-di-eroina-davanti-agli-agenti/
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Avvocato penalista - Ingoiare una bustina di droga davanti agli agenti rientra nell’esimente prevista dall’art. 384 c. p. e, dunque, il colpevole va assolto.
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lunedì 20 luglio 2015

Avvocato penalista - In caso di infortuni sul lavoro, ne risponde penalmente il datore di lavoro, se non fornisce una adeguata formazione in tema di sicurezza.

Avvocato penalista - In caso di infortuni sul lavoro, ne risponde penalmente il datore di lavoro, se non fornisce una adeguata formazione in tema di sicurezza.

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Avvocato penalista - In caso di infortuni sul lavoro, ne risponde penalmente il datore di lavoro, se non fornisce una adeguata formazione in tema di sicurezza.
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"" Infortuni : senza l’adeguata formazione dei dipendenti ne risponde penalmente il datore di lavoro.

Infortuni : senza l’adeguata formazione dei dipendenti ne risponde penalmente il datore di lavoro.

Cassazione Sentenza n. 41191 del 22 ottobre 2012.

 “Il datore di lavoro che non fornisce un'adeguata formazione sul funzionamento dei macchinari pericolosi risponde penalmente per le gravi lesioni subite dal lavoratore”.

Una miscela di diritto del lavoro e diritto penale, questo è il contenuto della decisione presa da parte dei supremi giudici della Corte di Cassazione che il 22 ottobre 2012 ha emesso la sentenza n. 41191 in cui si precisa questo importante principio di diritto.

Il datore di lavoro deve tutelare i lavoratori dai possibili infortuni sul lavoro soprattutto quando  i dipendenti devono far funzionare dei macchinari pericolosi.

Questi devono essere adeguatamente formati per poter utilizzare queste pericolose apparecchiature senza correre rischi ulteriori che l’inesperienza o la poca praticità e conoscenza della macchina potrebbero causare.

Nel caso analizzato dalla Corte il protagonista della vicenda era il direttore di un Supermercato che era stato condannato nei due precedenti gradi di giudizio proprio per il fatto di non aver preparato in maniera adeguata i lavoratori sui rischi derivanti dallo svolgimento delle mansioni.

Secondo il giudizio degli ermellini, la Corte di Appello “ha correttamente considerato che le norme antinfortunistiche sono destinate a garantire la sicurezza delle condizioni di lavoro, anche in considerazione della possibile negligenza con la quale gli stessi lavoratori effettuano le prestazioni; e che la responsabilità del datore di lavoro può essere esclusa solo in presenza di un comportamento del lavoratore del tutto imprevedibile, tale da presentare i caratteri della eccezionalità rispetto al procedimento lavorativo”.

Secondo quello che è stato accertato durante il processo infatti la donna che si è infortunata sul lavoro lavorava presso il reparto macelleria da poco tempo (circa tre mesi), e il corso di formazione organizzato dall’ipermercato era stato  molto breve pertanto la lavoratrice non aveva ricevuto una formazione specifica sufficiente per svolgere le proprie mansioni.

Piazza Cavour ritiene dunque che la circostanza presenti tutti gli elementi per confermare quanto già espresso in sede d’Appello e condannare per le motivazioni appena esposte il datore di lavoro.

I giudici concludono affermando che, “nel campo della sicurezza del lavoro, gli obblighi di vigilanza che gravano sull’imprenditore risultano funzionali anche rispetto alla possibilità che il lavoratore si dimostri imprudente o negligente verso la propria incolumità; e che può escludersi l’esistenza del rapporto di causalità unicamente nei casi in cui sia provata l’abnormità del comportamento del lavoratore infortunato e sia provato che proprio questa abnormità abbia dato causa all’evento.

Nella materia che occupa deve, cioè, considerarsi abnorme il comportamento che, per la sua stranezza e imprevedibilità, si ponga al di fuori di ogni possibilità di controllo da parte delle persone preposte all’applicazione delle misure di prevenzione contro gli infortuni sul lavoro; e la giurisprudenza di legittimità ha più volte affermato che l’eventuale colpa concorrente del lavoratore non può spiegare alcuna efficacia esimente per i soggetti aventi l’obbligo di sicurezza che si siano comunque resi responsabili della violazione di prescrizioni in materia antinfortunistica”. ""

Fonte sentenze-cassazione.com, qui:

http://www.sentenze-cassazione.com/infortuni-senza-ladeguata-formazione-dei-dipendenti-ne-risponde-penalmente-il-datore-di-lavoro/
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Avvocato penalista - In caso di infortuni sul lavoro, ne risponde penalmente il datore di lavoro, se non fornisce una adeguata formazione in tema di sicurezza.
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domenica 19 luglio 2015

Avvocato penalista - Nei casi di Violenza sessuale di gruppo o stupro, Art. 609 octies del Codice Penale, il branco dovrà risarcire anche i danni collaterali.

Avvocato penalista - Nei casi di Violenza sessuale di gruppo o stupro, Art. 609 octies del Codice Penale,  il branco dovrà risarcire anche i danni collaterali.
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Avvocato penalista - Nei casi di Violenza sessuale di gruppo o stupro, Art. 609 octies del Codice Penale,  il branco dovrà risarcire anche i danni collaterali.
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"" Stupro di gruppo: il branco dovrà risarcire anche i danni collaterali.
 
Stupro di gruppo: il branco dovrà risarcire anche i danni collaterali.
 
Cassazione Sentenza n. 40565/2012.
 
Con la sentenza in epigrafe la Cassazione ha affrontato il caso della ragazza che, a bordo di uno yacht durante una festa, é stata violentata da tre ragazzi.
 
I giudici della Cassazione hanno deciso che il «branco» dovrá risarcire anche i “danni collaterali” dello stupro.
 
Infatti la Corte ha confermato nei loro confronti la decisione presa dalla Corte territoriale in cui venivano condannati al risarcimento per la “sindrome di grave anoressia nervosa” e sicuramente “insanabile”, sviluppata dalla ragazza (di appena diciotto anni) violentata dagli imputati dopo averla fatta ubriacare.
 
La vacanza alle Eolie costerá ancora cara ai giovani e difficilmente riusciranno a dimenticarla perché gli ermellini, giustamente, non ci sono andati leggeri e, senza troppi preamboli, hanno stabilito che il  “branco” dovrà rispondere anche di questa “lesione gravissima” manifestata dalla vittima in conseguenza del trauma sofferto perché la brutalità di uno stupro soprattutto quando questo viene effettuato da più violentatori sulla medesima vittima, rende “prevedibile” un effetto dannoso sulla psicopatologia di chi subisce la violenza.
 
Nel caso specifico la Cassazione ha confermato il «collegamento» tra “il grave reato subito e la modifica esistenziale manifestata dalla persona offesa” ovvero l’anoressia (sviluppata dopo lo stupro) e, sulla base di tale convincimento, ha rigettato il ricorso presentato da uno degli imputati innanzi alla Corte d’Appello di Messina.
 
Soltanto uno dei tre ragazzi ha ottenuto uno sconto di pena per aver avuto un comportamento meno grave rispetto agli altri due imputati.
 
In sostanza, gli é stata ridotta la condanna perché non ha partecipato alla fase in cui la diciottenne é stata ubriacata ma era presente ed ha partecipato soltanto nel momento successivo quando si é consumato lo stupro.
 
La posizione di questo ragazzo, ai fini della corretta rivalutazione del trattamento sanzionatorio sarà decisa dalla Corte di Appello di Reggio Calabria. ""
 
Fonte sentenze-cassazione.com, qui:
 
 
Avvocato penalista - Nei casi di Violenza sessuale di gruppo o stupro, Art. 609 octies del Codice Penale,  il branco dovrà risarcire anche i danni collaterali.
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sabato 18 luglio 2015

Avvocato penalista - Lo Sfruttamento della prostituzione minorile è configurabile anche nella forma del tentativo.

Avvocato penalista - Lo Sfruttamento della prostituzione minorile è configurabile anche nella forma del tentativo.
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Avvocato penalista - Lo Sfruttamento della prostituzione minorile è configurabile anche nella forma del tentativo.
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"" Sfruttamento della prostituzione minorile : punibile anche il tentativo.

Sfruttamento della prostituzione minorile : punibile anche il tentativo.

Cassazione Penale – Sentenza n. 39452/2012.

La Suprema corte di Cassazione ha emesso una sentenza molto interessante in materia di prostituzione minorile.

Ciò che i giudici hanno ravvisato, analizzando i fatti di causa, è la possibile configurazione del suddetto reato anche nella forma del tentativo.

In pratica, chiedere ad una prostituta di procurare una minorenne per intrattenere con quest’ultima dei rapporti sessuali configura il reato di prostituzione minorile appunto nella forma del tentativo, nel caso in cui non si concretizzi o, come nel caso in esame non si concretizzi con una minorenne ma con una prostituta maggiorenne.

La sentenza n. 39452/2012 ha analizzato le sentenze emesse nella fase di merito, che riguardavano un cinquantenne condannato per aver intrattenuto rapporti sessuali a pagamento con ragazze minori di 16 anni e per la detenzione di numerose immagini pedopornografiche.

La difesa dell’imputato ha presentato il ricorso in cassazione perché sostengono l’insussistenza del reato di prostituzione minorile nella forma del tentativo e rappresentano ai giudici che «l’imputato aveva insistito presso una prostituta rumena perché quella gli procurasse una ragazza minore degli anni 16 con cui avere un rapporto sessuale a pagamento».

La prostituta, non avendo minorenni da “offrire” ma volendo comunque ottenere il compenso promesso dall’imputato, ingannò quest’ultimo «presentato una ragazza maggiorenne che sarebbe potuta apparire come minore senza esserlo».

In un altro processo la prostituta veniva assolta dall’accusa di sfruttamento della prostituzione minorile e, pertanto, per gli avvocati difensori, emettere una sentenza di condanna nei confronti dell’imputato sarebbe stato ingiusto poiché, appurata la maggiore età della donna con cui è stato consumato il rapporto sessuale, una pronuncia in tal senso era illogica perché l’imputato sarebbe stato condannato non per aver intrattenuto un rapporto sessuale con una minorenne ma solo per aver avuto l’intenzione di farlo.

La Cassazione, richiamando la decisione quadro della UE del 22/12/2003, ha osservato che «vulnerare all’origine l’illecito fenomeno della prostituzione minorile, colpendo non solo l’offerta ma anche la domanda di essa, cioè la condotta del “cliente”».

La corte continua dicendo che «il reato si consuma al momento del compimento dell’atto sessuale in cambio di un corrispettivo, ma prima di allora, in presenza del compimento di atti idonei ed univoci, ben può configurarsi il delitto tentato».

In poche parole, gli atti parzialmente realizzati manifestano l’intenzione criminosa che non si è realizzata soltanto per circostanze indipendenti dalla volontà dell’agente.

L’imputato, infatti, era intenzionato a commettere il delitto per questo, anche con l’aiuto della prostituta rumena, aveva compiuto atti idonei diretti in modo non equivoco alla commissione dello stesso. ""

Fonte sentenze-cassazione.com, qui:

http://www.sentenze-cassazione.com/sfruttamento-della-prostituzione-minorile-punibile-anche-il-tentativo/
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Avvocato penalista - Lo Sfruttamento della prostituzione minorile è configurabile anche nella forma del tentativo.
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venerdì 17 luglio 2015

Avvocato penalista - E' reo di Accesso abusivo a un sistema informatico o telematico, Articolo 615 ter del Codice Penale, chiunque violi il domicilio informatico altrui.

Avvocato penalista - E' reo di  Accesso abusivo a un sistema informatico o telematico, Articolo 615 ter del Codice Penale, chiunque violi il domicilio informatico altrui.
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Avvocato penalista - E' reo di  Accesso abusivo a un sistema informatico o telematico, Articolo 615 ter del Codice Penale, chiunque violi il domicilio informatico altrui.
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"" Violazione del domicilio informatico. Tecnico condannato dalla Cassazione.

Violazione del domicilio informatico. Tecnico condannato dalla Cassazione.

Cassazione Sentenza n. 42021 del 26 ottobre 2012.

La Cassazione, sempre al passo coi tempi, si pronuncia sui nuovi temi introdotti dalle nuove tecnologie che avanzano senza tregua nella nostra vita quotidiana.

Con questa sentenza la Corte affronta un argomento che interessa tutti perché chiarisce alcuni aspetti importanti che riguardano la tutela e la protezione del domicilio ma non quello classico, tradizionale, ma quello informatico.

“Con la previsione dell’art. 615 ter c. p., introdotto a seguito della legge 23 dicembre 1993, n. 547, il legislatore ha assicurato la protezione del “domicilio informatico” quale spazio ideale (ma anche fisico) in cui sono contenuti i dati informatici di pertinenza della persona, ad esso estendendo la tutela della riservatezza della sfera individuale, quale bene anche costituzionalmente protetto.

Tuttavia l’art. 615 ter c. p. non si limita a tutelare solamente i contenuti personalissimi dei dati raccolti nei sistemi informatici protetti, ma offre una tutela più ampia che si concreta nello “jus excludendi alios“, quale che sia il contenuto dei dati racchiusi in esso, purché attinente alla sfera di pensiero o all’attività, lavorativa o non, dell’utente; con la conseguenza che la tutela della legge si estende anche agli aspetti economico-patrimoniali dei dati, sia che titolare dello “jus excludendi” sia persona fisica, persona giuridica, privata o pubblica, o altro ente”.

In questo modo la Cassazione si é espressa nella sentenza n. 42021 del 26 ottobre 2012, dichiarando inammissibile il ricorso presentato da parte di un uomo ( un tecnico informatico lavorava come responsabile dell’ufficio del personale in un’azienda) che é stato ritenuto responsabile del reato ex artt. 81 cpv e 615 ter c.p, per essersi introdotto abusivamente nel server di posta elettronica della società e aver provato più volte ad accedere (e in alcuni casi anche riuscendo a entrare) dentro le caselle postali (e-mail) dei dipendenti della società, divertendosi poi a inviare mail utilizzando proprio gli account delle mail violate.

La Cassazione ha confermato la sentenza emessa dalla Corte territoriale che ha condannato l’imputato a 10 mesi di reclusione. ""

Fonte sentenze-cassazione.com, qui:

http://www.sentenze-cassazione.com/violazione-del-domicilio-informatico-tecnico-condannato-dalla-cassazione/
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Avvocato penalista - E' reo di  Accesso abusivo a un sistema informatico o telematico, Articolo 615 ter del Codice Penale, chiunque violi il domicilio informatico altrui.
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giovedì 16 luglio 2015

Avvocato penalista - L'acquisto di oggetti contraffatti non è reato, ma illecito amministrativo, soltanto se è fatto per uso personale e non per commercio o profitto.

Avvocato penalista - L'acquisto di oggetti contraffatti non è reato, ma illecito amministrativo, soltanto se è fatto per uso personale e non per commercio o profitto.
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Avvocato penalista - L'acquisto di oggetti contraffatti non è reato, ma illecito amministrativo, soltanto se è fatto per uso personale e non per commercio o profitto.
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"" Comprare oggetti contraffatti non costituisce reato ma soltanto un illecito amministrativo.

Comprare oggetti contraffatti non costituisce reato ma soltanto un illecito amministrativo.

Corte di Cassazione Sez. Seconda Pen. – Sent. del 29.10.2012, n. 42106.

La Cassazione ha esaminato un caso relativo all’acquisto, per uso personale, di un Cartier e un Rolex, palesemente contraffatti stabilendo che la vicenda concretamente verificatasi sia inquadrabile come illecito amministrativo e non invece come un reato penalmente rilevante.

In primo grado il Tribunale di Bergamo dichiarava che il fatto non é previsto dalla legge come reato ma in Appello veniva accolta il ricorso del P.G. e il reato di cui agli artt. 56 e 648 cod. pen. veniva dichiarato prescritto.

Per i giudici il comportamento dell’imputato era mosso dalla finalità di ottenere un profitto e, pertanto,  effettuava l’ordine (tramite corriere espresso) compiendo cosí atti idonei diretti in modo non equivoco a ricevere i due orologi oggetto del procedimento penale che recavano uno il marchio contraffatto Rolex e l’altro quello di Cartier.

Per i giudici questi orologi potevano benissimo essere oggetti provenienti da delitto di cui all’art. 473 cod. pen. e il fatto che l’imputato non sia riuscito ad ottenere questa merce proveniente dalla Cina non deriva da un proprio ravvedimento ma solo per cause indipendenti dalla sua volontà (controllo doganale).

L’imputato non ci sta perché, dopo la modifica legislativa apportata dalla legge n. 99 del 2009 all’art. 1 D.L. n. 32 del 2005, non residuano spazi per la sussistenza del reato di cui all’art. 648 cod.pen., e, pertanto la Corte d’appello avrebbe dovuto confermare la sentenza di assoluzione emessa nei suoi confronti in primo grado e quindi si rivolge alla Suprema Corte per chiedere l’annullamento della sentenza anche per erronea applicazione della legge penale per la mancata assoluzione perché il fatto non è previsto dalla legge come reato.

L’acquisto venne fatto in un sito internet che dichiarava la riproduzione degli orologi e, pertanto, l’uomo era consapevole della loro “falsità” ma allo stesso tempo, veniva meno anche il fatto che gli oggetti potessero essere frutto di altro reato perchè il sito internet aveva caratteristiche di ufficialità.

La Corte con la sentenza n. 42106 depositata dalla Seconda Sezione Penale il 29 ottobre 2012, richiamando una recente decisione delle Sezioni Unite, ha annullato senza rinvio l’impugnata sentenza perché il fatto non è previsto dalla legge come reato.

In particolare, ha ricordato un episodio analogo intercorso tra la Rolex S.A. e Rolex Italia SpA dove era sulla questione è stato deciso che l’acquirente finale di un prodotto con marchio contraffatto o comunque di origine e provenienza diversa da quella indicata, risponde dell’illecito amministrativo previsto dal D. L. 14 marzo 2005, n. 35, conv. in L. 14 maggio 2005, n. 80, nella versione modificata dalla L. 23 luglio 2009, n. 99, e non di ricettazione (art. 648 cod. pen.) o di acquisto di cose di sospetta provenienza (art. 712 cod. pen.), attesa la prevalenza del primo rispetto ai predetti reati alla luce del rapporto di specialità desumibile, oltre che dall’avvenuta eliminazione della clausola di riserva “salvo che il fatto non costituisca reato”, dalla precisa individuazione del soggetto agente e dell’oggetto della condotta nonché dalla rinuncia legislativa alla formula “senza averne accertata la legittima provenienza”, il cui venir meno consente di ammettere indifferentemente dolo o colpa; hanno inoltre puntualizzato che per acquirente finale di un prodotto con marchio contraffatto o comunque di origine e provenienza diversa da quella indicata si deve intendere precipuamente colui che non partecipa in alcun modo alla catena di produzione o di distribuzione e diffusione dei prodotti contraffatti, ma si limita ad acquistarli per uso personale. (SS.UU. n. 22225 del 2012 Rv. 252455).

Le Sezioni Unite hanno precisato che: “… la soluzione interpretativa che attribuisce carattere di specialità all’illecito amministrativo in esame si fonda sulla progressione modificativa del testo originario della norma dell’art. 1, comma 7, legge n. 35 del 2005, che trova la sua sistemazione finale con la legge n. 99 del 2009, entrata in vigore il 15 agosto 2009, così che si comprende come l’interpretazione offerta dalla citata sentenza delle Sezioni Unite n. 47164 del 20 dicembre 2005 (v. retro par. 2) resta superata proprio dalle citate modifiche.

Del resto, la previsione di un semplice illecito amministrativo per gli acquirenti finali di prodotti contraffatti rende la normativa in esame congruente con quella relativa all’acquisto di supporti audiovisivi, fonografici o informatici o multimediali non conformi alle prescrizioni legali, in relazione ai quali la suddetta sentenza delle Sezioni Unite ha ritenuto che, a seguito dell’entrata in vigore del d.lgs. 9 aprile 2003, n. 68, si configuri una fattispecie penalmente rilevante a carico di coloro che effettuino l’acquisto a fine di commercializzazione, configurandosi l’illecito amministrativo previsto dall’art. 174-ter legge n. 633 del 1941 soltanto quando l’acquisto o la ricezione siano destinati a uso esclusivamente personale…”.

Condividendo questa motivazione la Cassazione ha ritenuto fondato il motivo su cui si basava il ricorso presentato dall’imputato e gli ha dato ragione inquadrando la vicenda dentro l’ambito degli illeciti amministrativi e non penali. ""

Fonte sentenze-cassazione.com, qui:

http://www.sentenze-cassazione.com/comprare-oggetti-contraffatti-non-costituisce-reato-ma-soltanto-un-illecito-amministrativo/
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Avvocato penalista - L'acquisto di oggetti contraffatti non è reato, ma illecito amministrativo, soltanto se è fatto per uso personale e non per commercio o profitto.
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mercoledì 15 luglio 2015

Avvocato penalista - Nei casi di Diffamazione occorre stabilire se il contenuto delle espressioni rivolte a più persone rechino in sé la portata lesiva della reputazione altrui, che costituisce l'essenza del reato.

Avvocato penalista -  Nei casi di Diffamazione occorre stabilire se il contenuto delle espressioni rivolte a più persone rechino in sé la portata lesiva della reputazione altrui, che costituisce l'essenza del reato.
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Avvocato penalista -  Nei casi di Diffamazione occorre stabilire se il contenuto delle espressioni rivolte a più persone rechino in sé la portata lesiva della reputazione altrui, che costituisce l'essenza del reato.
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"" Requisiti da valutare nella diffamazione: verità, interesse alla notizia e continenza

Requisiti da valutare nella diffamazione: verità, interesse alla notizia e continenza.

Corte di Cassazione Sez. Quinta Pen. – Sent. del 25.10.2012, n. 41661

La Cassazione ha trattato una caso molto interessante che riguardava una denuncia (all’Ordine) fatta (da una cliente) nei confronti di un commercialista accusato di “spartirsi clienti e onorari” con un avvocato.

La vicenda ha avuto un esito molto incerto fino alla fine in quanto il processo per diffamazione sorto per la questione appena descritta ha portato, nella fase di merito, a decisioni dei giudici opposte e la donna, imputata del processo, é stata condannata in primo grado (Giudice di Pace) e assolta in appello (Tribunale di Milano).

In pratica, veniva presentato un esposto al consiglio dell’Ordine dei dottori commercialisti di Milano in cui si affermava lo spartimento di clienti ed onorari tra un commercialista e un suo amico avvocato.

Dalla vicenda si creava un procedimento penale per diffamazione con tanto di costituzioni di parte civile.

Anche la Corte di legittimità ha fatto del suo meglio in termini di originalità e senza dare ragione o torto ai giudici territoriali si é limitata a dettare alcune precisazioni sull’argomento per poi annullare con rinvio la sentenza impugnata.

La Cassazione ha ritenuto ammissibile e fondato il ricorso del pubblico ministero e si é soffermata su alcuni punti per dare una migliore chiarezza sulla scansione del procedimento logico-giuridico da seguire in tema di accertamento della punibilità dell’imputato a titolo di diffamazione.

Per la Corte è necessario stabilire se il contenuto della comunicazione rivolta a più persone rechi in sé la portata lesiva della reputazione altrui, che costituisce il proprium del reato contestato.

Solo dopo che sia stato stabilito il concorso degli elementi costitutivi del delitto di diffamazione, il giudice può valutare le situazioni tali che possano giustificare il fatto sotto il profilo della scriminante di cui all’art. 51 cod. pen. e, pertanto, verificare la sussistenza dei noti requisiti di verità, interesse alla notizia e continenza.

Per la Cassazione la sentenza del Tribunale di Milano, che ha sostanzialmente eluso l’obbligo di accertamento della verità dei fatti descritti nell’esposto, deve essere annullata e il giudice di rinvio, che si designa nello stesso Tribunale di Milano (in persona di altro magistrato), sottoporrà la vicenda a nuovo giudizio nell’osservanza dei principi suesposti. ""

Fonte sentenze-cassazione.com, qui:

http://www.sentenze-cassazione.com/requisiti-da-valutare-nella-diffamazione-verita-interesse-alla-notizia-e-continenza/
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Avvocato penalista -  Nei casi di Diffamazione occorre stabilire se il contenuto delle espressioni rivolte a più persone rechino in sé la portata lesiva della reputazione altrui, che costituisce l'essenza del reato.
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martedì 14 luglio 2015

Avvocato penalista - La falsa dichiarazione dei redditi, per ottenere il gratuito patrocinio o patrocinio a spese dello Stato, sussiste quand’anche le alterazioni od omissioni di fatti veri risultino poi ininfluenti per il superamento del limite di reddito previsto dalla legge per l’ammissione al beneficio da cui, per ciò, si è esclusi.

Avvocato penalista - La falsa dichiarazione dei redditi, per ottenere il gratuito patrocinio o patrocinio a spese dello Stato, sussiste quand’anche le alterazioni od omissioni di fatti veri risultino poi ininfluenti per il superamento del limite di reddito previsto dalla legge per l’ammissione al beneficio da cui, per ciò, si è esclusi.
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Avvocato penalista - La falsa dichiarazione dei redditi, per ottenere il gratuito patrocinio o patrocinio a spese dello Stato, sussiste quand’anche le alterazioni od omissioni di fatti veri risultino poi ininfluenti per il superamento del limite di reddito previsto dalla legge per l’ammissione al beneficio da cui, per ciò, si è esclusi.
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"" Gratuito patrocinio e falsa dichiarazione dei redditi

Gratuito patrocinio e falsa dichiarazione dei redditi

Cassazione  Sentenza 25409/12

Il caso trattato dalla Suprema Corte riguardava una donna che, inizialmente ammessa al gratuito patrocinio a spese delle Stato, per un processo che la riguardava, si è vista poi revocare d’ufficio il provvedimento di ammissione dal Tribunale, su richiesta dell’Agenzia dell’Entrate, perché i redditi dell’imputata risultavano essere superiori al limite stabilito per ottenere il predetto beneficio.

Per la donna «il giudice non avrebbe dovuto tener conto del reddito dichiarato nell’anno precedente in quanto non più corrispondente alla realtà» e quindi, spiega ai giudici di Piazza Cavour che il giudice doveva tener conto del fatto che era stata licenziata dopo la presentazione dell’ultima dichiarazione dei redditi e prima della presentazione dell’istanza di ammissione al gratuito patrocinio.

La Cassazione ne approfitta per mettere in chiaro alcune situazioni relative al gratuito patrocinio e in particolare, con la sentenza n. 25409/2012 definisce la questione osservando che il principio di diritto evocato dalla donna «secondo cui in tema di patrocinio a spese dello Stato, sono rilevanti le variazioni di reddito, intervenute successivamente alla presentazione della dichiarazione dei redditi, le quali comportino un ammontare inferiore al reddito già indicato» non risulta pertinente al caso di specie.

La questione che interessa alla Corte riguarda altro.

Infatti ciò su cio si concentra la sentenza è concentrato principalmente sul fatto che è stata presentata una dichiarazione non corrispondente o meglio l’imputata aveva reso una dichiarazione rivelatasi oggettivamente non corrispondente alla sua effettiva situazione reddituale.

Nonostante fossero ininfluenti le alterazioni commesse dalla donna per i giudici con l’ermellino questa non ha diritto al gratuito patrocinio.

I giudici del Palazzaccio rigettano dunque il ricorso presentato dalla donna (condannandola anche al pagamento delle spese) e ribadiscono che «l’inganno potenziale della falsa attestazione di dati necessari per determinare al momento dell’istanza le condizioni di reddito, sussiste quand’anche le alterazioni od omissioni di fatti veri risultino poi ininfluenti per il superamento del limite di reddito, previsto dalla legge per l’ammissione al beneficio». ""

Fonte sentenze-cassazione.com, qui:
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Avvocato penalista - La falsa dichiarazione dei redditi, per ottenere il gratuito patrocinio o patrocinio a spese dello Stato, sussiste quand’anche le alterazioni od omissioni di fatti veri risultino poi ininfluenti per il superamento del limite di reddito previsto dalla legge per l’ammissione al beneficio da cui, per ciò, si è esclusi.
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